EXCALIBUR 157 - luglio/agosto 2023
in questo numero

Le due battaglie dell'Ucraina

Dal fronte alla diplomazia è una guerra continua

di Angelo Marongiu
<b>Yevgeny Prigozhin</b>, il capo della 'Wagner'
Sopra: Yevgeny Prigozhin, il capo della "Wagner"
Sotto: le "bombe a grappolo" sono costituite da un
grosso involucro che contiene un gran numero di
bombe più piccole, quelle inesplose sono un gran
pericolo per i civili durante e dopo il conflitto
le 'bombe a grappolo' sono costituite da un grosso involucro che contiene un gran numero di bombe più piccole, quelle inesplose sono un gran pericolo per i civili durante e dopo il conflitto
Dopo oltre 500 giorni di guerra, l'"operazione speciale" promossa da Putin e che, in pochi giorni, avrebbe dovuto spazzar via l'Ucraina e promuovere un favorevole cambio di regime, è ancora in corso.
E, soprattutto, l'esito diviene sempre più incerto, dopo l'inizio della controffensiva ucraina e la riconquista di vasti territori prima in mano russa.
Nel frattempo, quella vasta area diventata il centro del mondo vive vicende paradossali al limite dalla farsa.
Sabato 24 giugno abbiamo assistito a un episodio che ha attraversato tutta la gamma delle possibilità politiche: si è partiti dal "colpo di stato" che avrebbe cambiato decisamente lo scenario globale e si è arrivati al ridicolo.
Il fido Prigozhin, amico e cuoco di Putin, stanco della disastrosa campagna di guerra dei generali russi, con la sua armata Wagner parte da Rostov e si dirige verso Mosca, gettando il mondo in fibrillazione e in profonde elucubrazioni sui possibili scenari futuri.
I competenti appaiono in scena e discettano sui nuovi equilibri mondiali di un "dopo Putin".
Il cuoco si stanca, forse la pietanza era troppo salata o forse si sarà chiesto «e dopo che faccio?», e a 200 chilometri da Mosca si ferma, sparisce per un po' e poi riappare a Minsk, in Bielorussia.
Riappaiono gli esperti e osservando la marcia di Prigozhin, un po' festeggiato e un po' ignorato, con la gente che a piedi o in bicicletta passava tra i carri armati, ha subito sentenziato che no, la Cia non c'entrava per nulla, Prigozhin e Putin erano d'accordo, era tutta una messa in scena.
E tra milioni di euro che comparivano all'improvviso, con Lukashenko che rifulge di gloria come "mediatore" (come se potesse agire autonomamente e non solo dopo il placet di Putin), la storia finisce per ora con una immagine di Prigozhin in mutande, scattata non si quando né dove.
Nel frattempo qualche generale russo è stato rimosso, o arrestato, volti nuovi si affacciano sulla scena militare e noi - ormai scettici su tutto, anche che il sole sorga a est - ci siamo rilassati.
Intanto la guerra continua.
Ogni giorno muoiono dei ragazzi, Ucraini e Russi, muoiono donne e bambini per strada o nelle case bombardate, quel paese continua a essere distrutto economicamente e fisicamente. Tra milioni di rifugiati e di sfollati e tra diplomazie che continuano a insultarsi e a proferire minacce, tra continui e appariscenti vertici della Nato e dell'Europa il dramma continua.
C'è anche un'altra battaglia.
Spulciando tra le varie notizie di un solo giorno, il 12 luglio, ne colgo alcune:
- Medvedev: «il vertice Nato avvicina la terza guerra mondiale». Ha aggiunto che l'"operazione militare speciale" continuerà con gli stessi obiettivi, uno dei quali è «impedire al gruppo nazista di Kiev di aderire alla Nato»;
- Lavrov: «la guerra non finisce finché l'Occidente non rinuncerà a sconfiggere la Russia»;
- la Norvegia fornisce all'Ucraina nanodroni da ricognizione;
- accordo Svezia-Ucraina su scambio di intelligence;
- Kuleba: gli aerei F-16 ucraini voleranno il prossimo inverno;
- la Casa Bianca valuta l'invio di missili Atacms con portata superiore ai 300 km e la Gran Bretagna ha inviato missili da crociera "Storm Shadows".
Armi e minacce, nient'altro.
Intanto ha preso la scena la notizia che la Casa Bianca (non gli Stati Uniti, è una scelta di Joe Biden) fornirà all'Ucraina le famigerate "bombe a grappolo". Ma come: esiste una convenzione dell'8 agosto 2008 sulle "cluster munitions" alla quale anche gli Usa hanno aderito e ora placidamente viene disattesa?
La Casa Bianca ha subito precisato che c'è una bella differenza; quelle usate dai Russi uccidono civili e quelle inesplose restano lì, anche per anni, come mine antiuomo; quelle americane cadranno solo in Ucraina sui soldati russi. Insomma, sono bombe "buone".
Cade un po' di ipocrisia. Non si può continuare a dire che noi siamo i buoni e loro i cattivi o, ancora più infantilmente, «hanno cominciato prima loro». Sarebbe il caso di fermarsi a riflettere un momento: e pensare a morti, feriti, rifugiati e alla distruzione di un paese che impiegherà chissà quante generazioni prima di riprendersi economicamente e strutturalmente. Con un vicino confinante col quale sarà obbligatorio imparare a convivere.
Ma queste considerazioni e la speranza che questo massacro finisca quanto prima non possono mai giustificare la svendita della propria dignità.
La seconda battaglia combattuta dall'Ucraina è un po' più sottile e - a parer mio - denota tanta stanchezza sia da parte ucraina che dell'Occidente.
Zelensky è arrivato a Vilnius al vertice dell'Alleanza su invito degli alleati. Poco prima dell'inizio degli incontri è apparso un comunicato dell'Alleanza in cui si diceva che «il futuro dell'Ucraina è nella Nato», ma mancava del tutto un accenno a un orizzonte temporale.
Zelensky ha ribattuto stizzito: «Ho fede nella Nato, ma non ho fiducia».
Le foto di rito con i partecipanti al vertice con il premier ucraino o non lo ritraggono o lo ritraggono un po' in disparte. Hanno fatto il giro del mondo e ognuno ha letto quel che voleva. Zelensky lasciato solo per la sua furibonda ingratitudine o Zelensky adirato con i leader e quindi volontariamente isolato a dimostrare una sorta di abbandono?
Mi chiedo sempre a cosa servano queste ridicole istantanee alla fine di ogni incontro con i partecipanti in posa in un ordine non certo casuale ma rigidamente stabilito (in ordine di importanza? O di Pil nazionale?). Proporrò una foto anch'io alla prossima riunione di condominio.
L'argomento Ucraina-Nato è una pura esercitazione dialettica. La Nato ha soprattutto una funzione di "dissuasione": serve a convincere gli altri che non è il caso di attaccare un qualunque paese aderente all'alleanza poiché tutti gli altri sarebbero spinti a intervenire in sua difesa.
Spostandoci temporalmente in avanti, a guerra finalmente conclusa, è lapalissiano che una Ucraina dentro l'alleanza sarebbe una granitica garanzia che Putin o chiunque altro non potrebbe cominciare un'altra "operazione speciale".
Ovvio che il presidente ucraino chieda questa garanzia, un po' meno ovvio è che ne chieda una precisa traccia temporale.
Una Ucraina nella Nato a guerra non conclusa implicherebbe immediatamente una Nato in guerra con la Russia. Quindi, oltre a una generica promessa che se ne parlerà a fine guerra, non può né chiedere né ottenere altro.
E se Biden è dall'altra parte dell'Oceano, noi Europei siamo vicini di casa.
Non tutto è cristallino: questa voluta incertezza temporale può anche essere letta come arma di pressione nei confronti di Zelensky per spingerlo ad accelerare la ricerca di una pace con la Russia, rinunciando a una parte dei territori in mano russa.
Sarebbe un discorso logico, anche se non può essere detto chiaramente.
C'è molta stanchezza da tutte le parti e le elezioni americane saranno tra poco più di un anno.
Da questa parte i Paesi Baltici e la Polonia in particolare vorrebbero maggiori garanzie temporali; hanno fretta di ristabilire una nuova "cortina di ferro", perché loro stavolta sarebbero da questa parte e finalmente l'auspicio di Milan Kundera sarebbe realtà (vedere Excalibur n. 142, luglio 2022, "L'Occidente prigioniero").
Prima dell'"operazione speciale" la Russia confinava con paesi aderenti alla Nato per circa 1.340 chilometri.
Con l'ingresso della Finlandia i chilometri di confine sono diventati oltre 2600: non c'è che dire, un ottimo investimento!
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