La Sardegna nel segno dell'apertura al mondo esterno
Al riguardo Michelangelo Pira, intellettuale originario di Bitti, con la sua opera, purtroppo prematuramente interrotta, aveva saputo collegare la riflessione antropologica alla storia e questa all'azione politica per il rilancio dell'autonomia e la rinascita della Sardegna. Pira era convinto che la conquista di una forma alta ed efficace di autonomia non si potesse realizzare in Sardegna senza lo sviluppo, accanto alle lotte politiche e sociali, di un'azione culturale di ampio respiro diretta a rinnovare in profondità i contenuti, gli indirizzi e l'orizzonte del nostro sapere inteso come cultura distinta, differente, portatrice di valori autonomi, radicati nel passato e validi nel presente.
Pira è stato uno dei primi a riconoscere che la storia sarda dovesse essere letta come storia civile dell'idea autonomista, attraverso il pensiero e l'azione dei gruppi dirigenti interni protagonisti della plurisecolare lotta per l'autonomia. Ciò richiede un lavoro rigoroso, in grado di indicare e approfondire le ragioni dei tanti insuccessi e fallimenti, e grande capacità di autocritica, perché non vi è dubbio che la fiaccola dell'autonomismo sardo potrà restare accesa e guidare il nostro percorso a condizione che sappia illuminare anche gli angoli più bui della nostra storia, quelli che forse ognuno di noi vorrebbe che non esistessero e che invece costituiscono parte della nostra essenza.
Va anche detto che, nel corso dei 75 anni di autonomia regionale, la Sardegna si è trasformata profondamente sotto i più importanti punti di vista. In particolare è cresciuta la coscienza della propria soggettività etnostorica e politica, che sta alla base della stessa autonomia e delle ragioni della specialità. Ciò ovviamente non è da ascrivere a merito esclusivo dell'istituzione della Regione (come ente) essendo in gran parte dovuto all'evoluzione culturale e al processo di crescita civile, sociale ed economica che - pur tra notevoli limiti e contraddizioni - si è verificato a tutti i livelli.
Oggi ripensare l'autonomia significa comprendere la nostra storia e la nostra "identità", cioè quel complesso rapporto che si instaura fra "tradizione" (il passato e la civiltà regionale) e "modernità" (il futuro e la società globale). Ripensare l'autonomia significa anche avere capacità di autogoverno che non vuol dire ripiegare in un'antistorica "separazione", che non trova spazio nella nostra tradizione, ma ferma volontà di esprimere una propria classe dirigente e quindi un proprio modello di sviluppo che valorizzi al meglio, nella società contemporanea, la memoria storica e la cultura che la Sardegna ha espresso nel corso dei secoli.
La cultura sarda autoctona, prodotta dall'interno per endogenesi, deve sempre più sapersi relazionare con la cultura che penetra dall'esterno in una dialettica fatta di scambio e di reciproco arricchimento e non secondo una logica di signoria e di oppressione. La cultura sarda, dunque, non deve qualificarsi per il suo isolamento e per il suo arcaismo, che sono le cause principali delle nostre sconfitte e dello stato di subalternità a lungo vissuto e di cui permangono forti segni nel presente: cause che devono essere superate.
In tale prospettiva, deve affermarsi, a tutti i livelli, anche la volontà di superare quel confine ancestrale, quel limite non solo fisico ma anche esistenziale che la condizione di insularità sembra aver segnato, per tanto tempo, nella nostra coscienza e nella prassi storica. L'isolamento fisico - che costituisce la percezione più comune e più immediata dell'insularità - ha accentuato nel mistero quei tratti di complessità e di unicità che da sempre sono stati peculiari alla Sardegna. Esso suscita sentimenti contrastanti: da un lato costituisce, infatti, fonte di vantaggi non trascurabili in termini di salvaguardia degli equilibri naturali e di quieto vivere; dall'altro, presenta diseconomie e svantaggi non meno trascurabili.
È per questo che la battaglia per il superamento della condizione di insularità può - e, ad avviso di chi scrive, deve - costituire una delle carte fondamentali da giocare per ribadire, a livello costituzionale, il diritto di cittadinanza dei Sardi e, al tempo stesso, per affermare il principio di "specialità" dell'autonomia regionale nell'età della globalizzazione. Ed è per questo che la battaglia implica la costruzione di un fronte comune con le altre realtà territoriali che vivono la stessa condizione di marginalità e che reclamano una maggiore tutela giuridica ed economica.
I Sardi, prigionieri da millenni all'interno degli stessi confini, isolani e isolati, riflettono tuttora, nella loro indole e nel modo di operare, l'accento forte e l'ombrosa malinconia di un mondo pietroso e inerte. Ma racchiudono anche l'ansia di superare tale condizione, di scoprire nuove terre e nuove verità. Esprimono il sentimento forte e la volontà ferma di costruire una nuova cultura regionale e dell'autonomia critica, intesa come sintesi di memoria storica, di conoscenza delle proprie radici e peculiarità e, al tempo stesso, di apertura al mondo moderno quale condizione imprescindibile di progresso e vero sviluppo.