La Sardegna nel segno della tradizione
C'è da chiedersi ora quali prospettive possa aprire per la Sardegna il disegno di legge sull'autonomia differenziata. Poco o nulla, in quanto lo stesso riguarda espressamente le sole regioni a statuto ordinario. Tuttavia può rappresentare, anche in chiave comparatistica, il contesto per ripensare i concetti di autonomia, identità e specialità che - nel corso di una vicenda plurisecolare - hanno segnato in modo indelebile, la coscienza e la cultura dei Sardi e il loro modo di operare.
Del resto, non vi è dubbio che lo studio del nostro passato, della nostra storia - fatta di luci e di ombre, di avvenimenti felici e drammatici, di vicende tristi e gloriose - costituisca uno stimolo alla riflessione e all'impegno per il presente. Ciò a condizione che la storia plurisecolare della Sardegna si studi non solo come res gestae dei dominatori di turno (vale a dire come storia punica, romana, pisana, spagnola o piemontese), ma anche e soprattutto come storia di un "gruppo" autoctono, etnicamente e culturalmente distinto, ancorché subalterno, quale premessa per capire come quel "gruppo" possa operare, con la sua peculiare identità e personalità, nella contemporaneità - all'interno della compagine nazionale italiana, dell'Unione Europea e del mondo intero - salvaguardando la memoria, il valore e la tradizione dalla quale deriva.
Nell'attuale società, la globalizzazione determina, sempre più, una unificazione, su scala planetaria, degli stili di vita, dei comportamenti culturali e dei valori di riferimento. Presenta dunque un forte impatto sulla cultura e sul sapere locale. Peraltro il processo di continua e sempre più diffusa integrazione e interdipendenza nella vita dei diversi popoli della terra - processo complesso e in rapida evoluzione - non fa venir meno e anzi accentua la necessità di un'adeguata tutela delle identità culturali, come è testimoniato dall'esplodere, su scala mondiale, delle questioni nazionali o delle "minoranze" che hanno sempre, come radice e forza motrice, il fatto che un popolo si sente minacciato nella propria identità culturale ed etnostorica.
La globalizzazione fa sì che siamo a casa in ogni parte del mondo, ma in realtà siamo sempre più senza una casa, una cultura, una chiara identità, a livello sia personale che comunitario e sociale, esposti al rischio dell'annientamento del nostro essere e della nostra cultura che resta l'elemento essenziale dell'identità della persona umana e di una comunità. Il diritto all'esistenza, infatti, implica sempre, per ogni popolo e per ogni nazione, anche il diritto alla propria lingua e alla propria cultura mediante le quali una comunità esprime e promuove anche quella che è la sua sovranità psicologica e spirituale.
Del resto non vi è dubbio che, con riferimento alla Sardegna, si possa parlare di "gruppo etnico" o di "popolo distinto" in quanto si è in presenza di una collettività stanziata da lungo tempo in un dato territorio, che ha in comune alcuni elementi differenziali (carattere, lingua, costumi e tradizioni) e alla quale la storia - nel corso dei secoli e dei millenni - ha dato un comune sentire, un diffuso senso di sé (seppure rimasto per più aspetti a livello incompiuto), così da farne, almeno entro certi limiti, un soggetto attivo di azione storica, per quanto tale collettività sia stata spesso soggiogata e resa subalterna dal soverchiare di gruppi egemoni e altri centri di potere esterno.
Questo diffuso "senso di sé", questa consapevolezza di costituire un "popolo distinto" dai dominatori di turno si è lentamente sedimentato e, in Sardegna, si è tradotto nel "sentimento della nazione", elemento di natura immateriale che è coscienza di una propria soggettività culturale e storica e, al tempo stesso, premessa di unità e sovranità politica. È l'ulteriore anello che si aggiunge alla catena degli elementi costitutivi classici: popolo, territorio e vincolo giuridico. La Nazione, infatti, è tale quando alle ragioni di natura materiale si aggiunge il "sentimento comune" (inteso come consapevolezza collettiva) che genera la volontà, vale a dire quando gli elementi sopra indicati si unificano e ricevono la forma del volere.
Ciò spiega anche perché non tutti i popoli siano diventati "nazione" in senso moderno, come pure non tutte le nazioni siano diventate "stati" indipendenti e sovrani. La constatazione, tuttavia, non toglie che quei popoli distinti, quei gruppi etnici particolari, tali rimangono nel presente e pongono problemi delicati, complessi e urgenti, che richiedono risposte adeguate, dagli Stati di cui fanno parte, in termini di riconoscimento delle specificità: esigenza che si fa più forte soprattutto quando quei popoli, come nel caso della Sardegna, per contingenze storiche, non siano stati in grado di esprimere gruppi dirigenti fondatori di Stato.
In tale ambito, per noi Sardi, la discussione sulla natura e i compiti dell'autonomia regionale - nel quadro di uno Stato che riconosce l'autonomia differenziata - pone, tra gli altri, il problema di ricercare, nel passato della storia politica e civile dell'Isola, le origini dell'idea autonomista e le forme attraverso le quali questo principio-guida dell'azione di governo si è manifestato nei diversi momenti della storia isolana. In particolare, la ricostruzione del percorso dell'autonomia sarda va condotta indagando anche il rapporto - di tipo braudeliano - tra la montagna e la pianura, tra la cultura delle zone interne (siano esse a vocazione agricola o pastorale) e la cultura urbana, soprattutto espressa dalle grandi città.
Occorre capire come il sentimento di identità, di appartenenza e di autonomia si raccoglie, si radica e si approfondisce ulteriormente nelle aree più interne, maggiormente conservative. Tale constatazione, peraltro, non deve portare a ritenere che la tradizione autonomista si sia nutrita esclusivamente di una linfa ancestrale. Infatti, la civiltà e la cultura dei Sardi non è solo natura, oralità e coralità, non è solo primitività e istinto, ma è anche e principalmente riflessione e tradizione alta di pensiero politico, giuridico e civile.