È con un certo timore che affronto un tema così spinoso e controverso sul quale è chiaramente impossibile esprimere qualsiasi giudizio definitivo.
La spinta a esporre alcune considerazioni nasce dalla lettura su questo argomento di due libri in particolare, uno di diversi anni fa e uno più recente.
Il primo è di Daniel Jonah Goldhagen, "Una questione morale. La Chiesa cattolica e l'Olocausto"; il secondo è stato pubblicato lo scorso anno ed è di Johan Ickx, "Pio XII e gli Ebrei".
Il pontificato di Pio XII coincise con gli eventi storici più drammatici del XX Secolo: salito al soglio pontificio nel 1939, egli attraversò da Papa le vicende della Seconda Guerra Mondiale e in particolare la tragedia dell'Olocausto perpetrata dalla Germania nazista.
Le scelte che dovette affrontare durante un periodo storico caratterizzato dagli scontri ideologici e militari più duri della storia, non potevano che mettere Pio XII e il suo operato al centro di polemiche che ancora oggi non sono risolte.
Un punto nodale delle polemiche suscitate dalle scelte di Pio XII fu la rappresentazione nel 1963 della pièce teatrale "Il Vicario" di Rolf Hochhuth, attivista comunista. L'opera fu rappresentata a Berlino e rapidamente tradotta in quasi tutte le lingue europee: in essa il Papa fu accusato di non essersi adeguatamente adoperato nella difesa degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, mantenendo un colpevole silenzio sullo sterminio degli Ebrei del quale era a conoscenza essendone stato ripetutamente informato.
L'opera teatrale - per inciso - fu allestita in Italia dal regista teatrale Gian Maria Volontè nel 1965 e rappresentata per un solo giorno: fu sospesa dalla polizia per la chiusura del teatro privo del certificato di agibilità e successivamente vietata dal Prefetto di Roma in quanto contraria alle norme del Concordato. L'opera è stata poi rappresentata in Italia a partire dal 2007.
Chi ha affrontato in maniera approfondita il problema cruciale del rapporto tra Chiesa cattolica e Olocausto è lo storico Goldhagen, studioso certamente polemico ma non certo superficiale o impreciso.
Già alla ribalta per il suo discusso "I volenterosi carnefici di Hitler", il suo volume sull'argomento, "Una questione morale", analizza una considerevole mole di documenti: corrispondenze del Pontefice, comunicazioni dei comandi militari alleati, documenti degli archivi vaticani.
Il libro si articola in tre parti distinte.
Nella prima parte ("Accertare la condotta") egli espone le colpe della Chiesa cattolica nel suo insieme, evitando di focalizzare l'attenzione sulla figura del Papa. Analizza le azioni gravissime commesse da prelati molto importanti e autorevoli: dall'arcivescovo di Croazia Aloizjie Stepinac, dal cardinale tedesco Adolf Bertram, dal presidente slovacco monsignor Josef Tiso.
La seconda parte ("Giudicare le colpe") analizza le colpe dal punto di vista del giudizio e si sofferma sull'analisi delle stesse secondo la morale e la dottrina della Chiesa stessa, per la quale «
assistere al compimento del male e, potendo, non fare nulla per impedirlo, rende colpevole allo stesso modo di chi il male lo compie». Il discrimine è dato da quell'inciso, "potendo": la Chiesa poteva impedire le atrocità dei Tedeschi nei confronti delle vittime dell'Olocausto?
Forse non poteva impedirle, ma poteva denunciarle ad alta voce e non tramite le missive diplomatiche che attraversavano le felpate sale del Vaticano e delle Cancellerie statali.
La terza parte ("Risarcire i danni") è un monito alla Chiesa a caricarsi sulle spalle il peso (non la responsabilità) dell'Olocausto e ad abbandonare definitivamente la teoria della "sostituzione", ovvero la presunzione che l'ebraismo sia stato sostituito dal cristianesimo e che quindi gli Ebrei devono convertirsi.
Veniamo ora al secondo libro, "Pio XII e gli Ebrei" di Johan Ickx.
Ickx lavora da oltre 20 anni negli archivi della Santa Sede e oggi dirige l'Archivio Storico della Sezione per i rapporti con gli stati della Segreteria di Stato; senza dubbio l'uomo adatto a gettare luce sulle carte desecretate da Papa Francesco e chiarire quei fatti ormai lontani ma sempre controversi.
Egli si affida alle testimonianze documentali per ricostruire le vicende che videro protagonisti Pacelli e i suoi più stretti collaboratori. Con essi il Papa formava il cosiddetto "Bureau", la sua ristretta cerchia di fidati uomini i quali portavano avanti la sua attività diplomatica. Ne facevano parte, tra gli altri, il Segretario di Stato (Mangione), il segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari (Tardini) e il suo sottosegretario (Malusardi), il sostituto per gli Affari Ordinari e segretario del codice (Montini, poi Papa Paolo VI), uno staff di altri prelati e i cosiddetti attori esterni.
Questo gruppo di persone guidava praticamente la Chiesa dal punto di vista diplomatico e operativo durante gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale.
Attraverso le propaggini delle varie nunziature esso era a conoscenza dei fatti che avvenivano nelle diverse sedi e stabiliva le conseguenti azioni.
Al termine della guerra Pio XII fu salutato come il salvatore di Roma dallo scempio dell'occupazione tedesca, di averla salvata dal bombardamento degli Alleati e di aver contribuito alla messa in salvo di numerose persone dalle atrocità della deportazione e della morte.
Poi le cose cambiarono e il giudizio sul Papa e sull'operato della Chiesa mutò radicalmente.
Cosa sapeva il Papa delle atrocità commesse durante la guerra? Cosa c'era dietro lo scambio epistolare tra Roosevelt e Pio XII per prevenire l'incrudelirsi della guerra?
Le carte desecretate e l'uscita di questo libro dovrebbero far chiarezza sui molti punti controversi.
L'ho letto e devo confessare che è una lettura piuttosto arida e per nulla chiarificatrice.
Attraverso un'esposizione che - parole dell'autore - si ispirano alla "narrativa" tramite racconti più o meno brevi, narra di vicende umane con lo scopo di dare evidenza della frenetica attività che coinvolgeva il Bureau in quegli anni.
Ickx porta il lettore nel misterioso mondo della curia romana e della diplomazia vaticana; le informazioni di natura confidenziale e diplomatica sono comunicate in un linguaggio a volte criptico, in cui alla cautela diplomatica si aggiunge quella della Chiesa.
Il risultato è - almeno per me - deludente e in tanti episodi esposti la luce che doveva illuminarli non è assolutamente apparsa.
Si comincia con la Slovacchia: in quella regione i prelati potevano occupare cariche pubbliche; il suo presidente era infatti Monsignor Tiso.
Quando il vescovo Vojtassak fu nominato a far parte del Consiglio di Stato (in una nazione che già aveva aderito alle idee discriminatorie di Hitler) e informò la Santa Sede della nomina, questa, invece di utilizzare la solita formula "nessuna obiezione", per mettere in evidenza che non era assolutamente opportuna l'accettazione della carica rispose che "non si opponeva".
Nulla di più perentorio che forse sarebbe stato opportuno.
Questa era la diplomazia vaticana e il modus operandi del Bureau nei confronti dei suoi rappresentanti in una nazione nella quale il Primo Ministro Tuka aveva già messo in chiaro quale sarebbe stata l'evoluzione delle condizioni degli Ebrei in Slovacchia.
«
L'Ebreo è per sua natura nemico irreconciliabile del nazionalsocialismo, perché gli Ebrei sono o capitalisti o comunisti. Perciò dobbiamo risolvere radicalmente la questione ebraica» (pag. 41).
Un'altra sezione documentale esplorata dall'autore è intitolata "Ebrei": in essa sono contenute le storie di singole azioni messe in opera per aiutare o salvare decine di Ebrei che si rivolsero alle autorità religiose per ottenere aiuto o visti per l'espatrio.
Ma, così come la corrispondenza diplomatica con le cancellerie degli altri stati (Slovacchia, Romania), anche le azioni di aiuto personale o di richiesta di non discriminazione riguardavano esclusivamente Ebrei convertiti al cattolicesimo. Per essi il Bureau e le sue emanazioni chiedevano fosse concesso un trattamento analogo a quello dei cattolici, ignorando quindi la meticolosa casistica stilata da vari stati nella definizione di "Ebrei" basata non sulla religione ma sulla genetica.
Sono storie interessanti che dimostrano il dispiegarsi dell'azione diplomatica della Santa Sede e che, come dice lo stesso Ickx, «
gettano luce su un'altra storia nascosta, quella del coraggioso, misericordioso e attivo silenzio di Pio XII» (pag. 68).
Attivo silenzio.
L'azione diplomatica posta in azione in Transilvania per impedire la deportazione degli Ebrei battezzati (per i quali fu espressamente richiesta la riduzione dei tempi di preparazione al battesimo - sei mesi - perché il tempo valeva la vita) fu anch'essa sotto traccia, attraverso messaggi e incontri con le autorità: il linguaggio era sempre quello morbido della diplomazia volto anche ad attenuare il sospetto delle troppe "conversioni" di quei tempi.
Al termine del "racconto" Ickx dice: «
le loro azioni, come gocce che scavano nella roccia [...], si muovevano nella politica locale con abilità, ingegno e senza far rumore» (pag. 133).
Anche qui l'elemento da privilegiare era il silenzio.
Nella parte dedicata ai suoi rapporti con il Presidente americano Roosevelt ("Racconto di due figli della luce"), volti in particolare a evitare il paventato bombardamento di Roma da parte degli Inglesi, il capitolo si conclude con la frase significativa «
Ovvero diplomazia morbida alla massima potenza» (pag. 97).
Era lo stile ormai collaudato del Bureau.
Accennando brevemente alla enciclica "Mit brennender Sorge" (Con viva preoccupazione), emanata da Pio XI, scritta in Tedesco, nella quale si condannava la prassi e la filosofia del nazismo, Ickx sottolinea che Hitler reagì furiosamente e che nel maggio 1937 furono arrestati 1.100 sacerdoti e tre mesi dopo 304 di loro furono deportati a Dachau.
«
Quegli eventi si erano fissati per sempre nella memoria di Pacelli (allora Nunzio Apostolico in Germania). Il Papa sapeva che sfidare i nazisti in pubblico poteva implicare gravi conseguenze per i cattolici» (pag. 179).
Quando rapporti e testimoni oculari ("Racconto su luoghi cupi e sinistri a Est") riferiscono dell'enorme massa di Ebrei che in Polonia veniva deportata nei campi di concentramento, fu preparato un dossier da sottoporre al Papa; in esso fu allegata anche una nota redatta dall'ambasciatore americano Taylor che chiedeva un'esplicita presa di posizione del Pontefice.
Monsignor Dell'Acqua, consigliere di nunziatura facente parte del Bureau, osservò: «
le notizie contenute nella lettera dell'ambasciatore Taylor sono gravissime, non v'è alcun dubbio. Ma come sempre occorre, però, accertarsi che corrispondano a verità, perché l'esagerazione è facile, anche fra gli Ebrei». E circa le notizie fornite dal metropolita ruteno-cattolico: «
anche gli orientali non sono un esempio in fatto di sincerità». E, sulla mossa dell'ambasciatore: «
mi sembra di percepire anche uno scopo politico» (pag. 210).
Ci sono poi descritti altri episodi simili nei quali la cautela diplomatica è stata l'elemento ispiratore delle azioni della Santa Sede.
È indubbio che l'opera meritoria del Vaticano e di Pio XII sia stata determinante per la salvezza di decine di migliaia di persone e che la sua incessante azione presso le cancellerie di diversi stati abbia contribuito a mitigare le condizioni di tanti. Di queste azioni c'è stato un unanime riconoscimento, non ultima la modifica nella scritta dedicata a Pio XII nel nuovo Memoriale dell'Olocausto a Yad Vashem a Gerusalemme, inaugurato nel 2005.
In particolare, l'accusa di non aver protestato pubblicamente nel nuovo testo è più sfumata. E viene aggiunta la citazione del radiomessaggio del dicembre 1942 nel quale il Papa parlava della sorte delle «
centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talvolta solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate a morte o a un progressivo deperimento».
Un discorso da molti elogiato ma da altrettanti criticato: lungo 45 minuti, 26 pagine complessive, circa 25 parole sulle stragi e nessun accenno alla Germania o agli Ebrei.
Resta infine, almeno a me, una grande perplessità.
Silenzio, niente rumore, diplomazia morbida, grande prudenza, attenzione alle strumentalizzazioni.
Questi sono gli elementi sui quali la Santa Sede ha improntato la sua azione diplomatica.
Chissà se un possente urlo, gettato a piena voce la domenica mattina al consueto appuntamento dell'Angelus in Piazza San Pietro, avrebbe potuto cambiare qualcosa.