Giorgia Meloni e Bettino Craxi: sono poi così distanti?
Perché parlare di Craxi proprio in questo momento?
L'idea mi è venuta leggendo sul quotidiano "Il Riformista" un articolo pubblicato il 28 settembre dal giornalista Gaetano Amatruda dal titolo intrigante: "Il filo rosso che collega Giorgia Meloni e Bettino Craxi". Lo riportiamo qui integralmente.
C'è qualcosa che lega Giorgia Meloni e Bettino Craxi. C'è la previsione sui tempi di durata a Palazzo Chigi, un filo rosso sulle riforme, la formazione. Molti osservatori e addetti ai lavori, l'ultimo Carlo Calenda, prevedono per il leader di Fratelli d'Italia una durata massima di sei mesi. Non è l'unico perché altri immaginano una esperienza complicata e carica di insidie. Il mantra «tanto durerà poco» è l'auspicio che rassicura molti. Si sbagliano.
Erano gli stessi umori di quelli che pronosticavano, nel 1983, una breve parentesi di Bettino Craxi alla Presidenza del Consiglio. Andò diversamente e il leader socialista animò il governo più longevo della Prima Repubblica. Mise nella compagine governativa i leader dei partiti e lavorò, senza rinnegare la collocazione assegnata dalla storia, a un profilo internazionale autorevole e mai scontato.
La Meloni farà lo stesso. Coinvolgerà i leader dei partiti, affiderà loro ruoli centrali per non aprire crepe e confermerà la collocazione internazionale del Paese ma con un profilo diverso. Autonomo e non culturalmente subalterno ai luoghi comuni. D'altra parte, in relazione alla guerra in Ucraina, fu Ignazio La Russa, intervenendo in aula, ad auspicare iniziative simili a quelle che Craxi mise in campo a Sigonella.
La prima donna a Palazzo Chigi, con queste mosse che naturalmente sono solo parte di una azione che dovrà essere più ampia e complessa, supererà ogni pronostico. Non sarà una meteora e animerà un'esperienza di governo fra le più stabili e incisive della storia repubblicana.
E riuscirà, con la efficace idea della Bicamerale, a gettare le basi per il presidenzialismo. Un vecchio pallino della destra dai tempi di Giorgio Almirante, ma anche e soprattutto un'idea di Bettino Craxi. Le Grandi Riforme del segretario socialista andavano nella stessa direzione.
La partita è appena iniziata. Chi sottovaluta la Meloni, che come Craxi è diplomata ma laureata alla università della vita, che come Craxi è cresciuta nella militanza e lontana dai poteri forti e dai salotti radical chic, commetterà un grave errore. Craxi militò nel partito socialista sin da giovanissimo militando nella corrente autonomista di Pietro Nenni. Divenne segretario nel 1976 nel famoso congresso del Midas. Da segretario di partito, Craxi dovette affrontare almeno due grandi problemi, collegati fra loro: la perdita di rilevanza del Psi e la sua scarsa performance elettorale.
Craxi era socialista ma anti-comunista. Voleva una sinistra di tipo europeo, lontana da Mosca. Provò a mettere in discussione l'egemonia del Pci nella sinistra italiana attraverso una serie di iniziative. Sganciò innanzitutto il partito dalla deriva marxista per abbracciare il pensiero del filosofo francese Pierre Joseph Proudhon, che definiva il comunismo «
una assurdità antidiluviana». Inserì poi il partito nel solco della sinistra risorgimentale, attualizzando il mito di Garibaldi, di cui Craxi era grande estimatore.
Tolse poi dal simbolo del partito la storica falce e martello per metterci il garofano rosso.
Negò poi al Pci la patente di forza democratica, contrastando quindi il leader Dc Aldo Moro e il suo tentativo di inserire il Pci nella maggioranza di governo attraverso il cosiddetto "compromesso storico".
Dopo il successo elettorale del 1983, ottenne la presidenza del consiglio alleandosi con la Democrazia Cristiana, diventando il primo socialista ad avere questo incarico.
In questo contesto Craxi diede alla politica estera del governo una importanza che mai aveva avuto in passato. Craxi fu uno dei primi a pensare che l'Italia avrebbe dovuto promuovere una propria politica estera, sia pure nei limiti di media potenza, assumendo un ruolo specifico nel quadro della fedeltà all'alleanza atlantica.
E, a proposito di questo, in un suo discorso del 10 agosto 1976, aveva espresso la sua posizione dialettica tra atlantismo e ruolo dell'Italia: «
L'Alleanza atlantica è il fulcro della difesa e tale rimarrà, in assenza di alternative valide. Quell'alleanza si presenta come un patto fra stati determinati a salvaguardare la libertà dei popoli, la loro comune eredità e la loro civiltà fondata sui princìpi della democrazia [...]. La verità è che troppo spesso c'è stato un divario tra le enunciazioni e l'attuazione di tali princìpi. Noi chiediamo, cioè, che nell'Alleanza atlantica l'Italia non sia considerata solo soggetto di protezione, ma soggetto partecipe di una libera associazione, che l'Alleanza non si presti a essere uno strumento di ingerenza degli Stati più forti in quelli considerati più deboli».
Craxi credeva profondamente nei valori di fondo dell'Alleanza atlantica, ma proprio per questo metteva i puntini sulle "i": «
La comunanza dei valori non deve tradursi in sacrificio dei legittimi interessi nazionali e in un più generale ruolo ancillare dell'Europa».
Per Craxi la politica estera coincideva con la sua volontà tenace e talvolta testarda di consentire che l'Italia esercitasse una maggiore influenza nello scacchiere internazionale: era convinto, infatti, che una maggiore considerazione in campo europeo e mondiale avrebbe contribuito alla valorizzazione dell'Italia.
Craxi pensava che grazie alla nostra industriosità, alla capacità di produrre idee e realizzarle, alla nostra volontà di conquista, alla capacità di adattamento del popolo italiano alle diverse e talvolta difficili circostanze l'Italia aveva certamente maggiori prospettive di affermarsi in un mondo pacificato. E tuttavia, poiché pensava che nulla si ottiene senza partecipare alla sua costruzione, intendeva fare la sua parte nella costruzione di un mondo pacifico rivendicando per l'Italia un ruolo che la ponesse tra i protagonisti della scena internazionale.
Se si confronta con la condizione dell'Italia di oggi si può vedere quale abisso ci separa da quella visione.
Il leader socialista rimarcò la sua fedeltà all'Alleanza atlantica quando diede il via libera all'allora presidente del consiglio Cossiga sull'installazione degli euromissili a Comiso in Sicilia, malgrado il parere contrario del Pci.
La decisione portò l'Italia ad avere un ruolo di rilievo nella Nato, poiché era la condicio sine qua non per far sì che gli altri paesi, segnatamente la Germania, prendessero analoga decisione nei propri paesi.
Ma, al contempo, è opportuno ricordare la fermezza con cui il governo Craxi respinse l'irriguardoso comportamento degli Stati Uniti d'America, che prima imposero l'atterraggio a Sigonella, base militare americana, di un velivolo egiziano che godeva di protezione diplomatica e poi pretesero di compiere sul nostro territorio sovrano operazioni di polizia senza alcuna base giuridica, in dispregio al diritto internazionale e alla nostra magistratura. Un atteggiamento quello del governo italiano che servì a cancellare dalla percezione dei nostri alleati l'abitudine a una docile subordinazione dell'Italia.
Per Craxi l'onore e il rispetto per il Paese venivano prima di tutto, aveva una visione ben chiara in mente: far pesare nell'arena mondiale di allora tutto il peso che il paese si era guadagnato con il duro lavoro dei suoi figli, mediante una politica coraggiosa, intelligente e, quando necessario, ferma. Egli voleva con tutto sé stesso che il nostro paese fosse partner affidabile sullo scenario mondiale e protagonista delle scelte volte ad accrescere la pace, il progresso e la stabilità.
Saprà la neoeletta presidente del consiglio Giorgia Meloni mostrare altrettanta sagacia e fermezza nell'impostare la politica estera dell'Italia?
Fiduciosi speriamo.