EXCALIBUR 132 - settembre 2021
in questo numero

Il luglio nero del 1943

Nel Sud Italia, il difficile controllo delle forze armate ormai allo sbando

di Ernesto Curreli
il gangster italo-americano <b>Lucky Luciano</b>
Sopra: il gangster italo-americano Lucky Luciano
Sotto: feriti della "Livorno" evacuati dalla prima linea
feriti della 'Livorno' evacuati dalla prima linea
Tradizionalmente si afferma che nel settembre del 1943 si manifestò il disfacimento delle forze armate italiane. In realtà, gli archivi del Regio Esercito, oggi disponibili, indicano che questo fenomeno si era manifestato già nel luglio 1943, prima della caduta del regime fascista, durante lo sbarco in Sicilia.
La sfiducia sulle sorti del conflitto all'inizio del 1943 si era diffusa sia tra la popolazione civile, che da tempo subiva bombardamenti terroristici e privazioni di ogni genere, sia tra i militari, che mormoravano di episodi di tradimento e di alti ufficiali incompetenti. Specie tra i marinai c'era il sospetto che la potente flotta italiana avesse sopportato sconfitte inspiegabili sul mare.
Racconta Sergio Nesi, ufficiale della Regia Marina che nella primavera del 1943 era imbarcato sull'incrociatore Montecuccoli quale Direttore di Tiro contraereo: «da mesi serpeggiavano tra l'equipaggio notizie sussurrate provenienti da Radio Prora» fino ad arrivare all'ammutinamento: «Nell'aprile del 1943 avvenne improvvisamente il cambio al comando della VII Divisione Incrociatori, cui il Montecuccoli apparteneva. Doveva sbarcare l'Amm. Alberto da Zara, letteralmente idolatrato dagli equipaggi, per essere sostituito da uno sconosciuto e anonimo Amm. Romeo Oliva proveniente dal Ministero. Scoppiò il finimondo a bordo della mia nave, un'autentica sommossa, perché capimmo tutti che l'immotivato cambio di guardia preludeva a qualcosa che non riuscivamo a capire, ma che si aggiungeva all'amara constatazione che le nostre navi da battaglia rimanevano sempre all'ormeggio dentro ai porti. Da Zara fu bloccato nel suo alloggio. Oliva si presentò al barcarizzo per essere ricevuto con gli onori militari che gli spettavano, ma la sentinella gli spianò in faccia il fucile con la baionetta inastata, accolto con fischi dalla gente di bordo, ufficiali compresi. La rivolta durò tre giorni, finché da Roma non giunse l'Amm. Riccardi, ministro della Marina, a calmare le acque e a persuadere l'equipaggio che l'avvicendamento era un semplice cambio di guardia... Così Oliva poté salire a bordo». Poi accadde che «il 9 settembre, affondato il Roma con l'Amm. Bergamini [...], Oliva assunse immediatamente il comando e portò la Squadra a ormeggiarsi a Malta e ai Laghi Amari»(1).
È provato che i servizi americani dell'Oss avevano introdotto prima dello sbarco nuclei di mafiosi italoamericani per provocare lo sbandamento militare.
Nel dopoguerra ci fu anche una inchiesta del Congresso americano che confermò l'accaduto, accertando che tra i maggiori protagonisti ci fu il gangster Lucky Luciano, che l'Oss fece scarcerare per riprendere i contatti con la mafia statunitense e siciliana. Gli effetti si videro subito.
È stato detto che fu un errore inviare nell'Isola i soldati siciliani, perché si sarebbero preoccupati più della sorte delle loro case e famiglie piuttosto che del dovere di combattere.
Ma è una tesi che convince poco. Anche in Sardegna nell'estate del 1943 furono trasferiti soldati sardi, resi disponibili dalla riorganizzazione della Quarta Armata che lasciava la Provenza. Anche la Marina vi trasferì uomini, tra i quali alcune decine di marinai dell'incrociatore Bolzano, fermo per riparazioni, che furono inviati a Carloforte e Sant'Antioco per rinforzare le numerose batterie costiere.
Eppure, pur tenendo conto delle diverse vicende, in Sardegna non si manifestò nessuno sbandamento, nemmeno durante gli scontri con i Tedeschi in ritirata.
Gli ordini diffusi dal Comando Supremo e da quelli di Settore, disponibili da un decennio, danno la conferma che in Sicilia accadde qualcosa che si può spiegare col contributo della mafia e degli agenti Usa.
Ecco la spiegazione di quel che accadde(2). Dal Comando Coffaas a XVI Corpo d'Armata: «15 luglio 1943 - È stato disposto che i militari allontanatisi dai reparti et travestitisi abito civile siano dai comandi territoriali carabinieri arrestati et tradotti presso unità militari mobilitate viciniori. Detti militari dovranno essere trattati estremo rigore. Sia tenuto elenco nominativo con reparti appartenenza - Firmato Gen. Guzzoni».
Nello stesso giorno il generale emise un'altra circolare: «15 luglio 1943 - Con tutti i mezzi disponibili occorre opporsi at sbandamento et fuga verso costa nord [...], militari arbitrariamente allontanatisi [...], contro gli stessi dovranno essere applicate misure estremo rigore [...], i Carabinieri Reali ricorrano all'immediato passaggio per le armi di quei militari diano palesi segni di indisciplina e di ribellione».
Il Gen. Guzzoni dal mese di giugno comandava la 6ª Armata strutturata su due Corpi d'armata.
La notizia più grave, tuttavia, arrivò a Guzzoni probabilmente il giorno 14, come si legge in un suo messaggio al Comando del XVI Corpo d'Armata: «15 luglio 1943 - n. 16417/OP. Viene riferito che staffette motociclisti percorrono la fronte comunicando alle truppe apocrifi ordini di ripiegamento. Avvertire tutti che ordini del genere non - dico non - si eseguano e si metta al muro chi li comunica. Eventuali ordini ripiegamento debbono essere trasmessi per iscritto e debbono recare la firma dei comandi responsabili».
Con ciò era chiaro che l'infiltrazione di agenti nemici, già organizzati, era avvenuta prima dello sbarco, avvenuto il 10 luglio. Il fenomeno, a quattro giorni dallo sbarco, con gli Alleati in gran parte inchiodati sulle coste, sembrava inarrestabile.
Il Comando Gruppo Armate Sud ordinò a sua volta la fucilazione immediata per gli sbandati che si avvicinavano allo Stretto per traghettare nei due sensi: «23 luglio 1943 - Comando Gruppo Armate Sud - Viene segnalato situazione assoluta indisciplina presidio Messina con gravi riflessi [...], stroncare prontamente attuale situazione pericolosa e indecorosa passando indisciplinati per le armi compresi ufficiali».
Una lunga relazione di un ufficiale dello Stato Maggiore, datata 23 luglio 1943, dopo una sua ispezione nei giorni 20, 21 e 22 luglio, descrive un quadro impressionante in Campania e Calabria. «Ovunque notavansi soldati et avieri sbandati [...], uniformi indescrivibili [...], ricerca affannosa di mezzi, auto [...], frammischiati alla truppa [...], CC.RR., sottufficiali, ufficiali, anche superiori [...], ho incontrato alle 17,30 del 22 autocarri del R.E. zeppi in modo inverosimile di borghesi, militari, ufficiali in transito sull'autostrada Napoli-Pompei [...], sgombrati dalla Sicilia senza ufficiali, qualche raro sottufficiale, uomini in costume da bagno e scalzi. Nella zona di Nicastro ho notato un btg. di avieri in disordine, floscio [...], posti di blocco numerosi, inutili, petulanti e prolissi nel richiedere documenti ai nostri non ai Tedeschi (è da notarsi che nella zona stanno ricercando un Inglese, il quale vestito di kaki pare che circoli con autovettura tedesca) [...]. Attraverso Battipaglia vi erano due correnti inverse di soldati e pochi ufficiali [...], dal nord e dal sud [...] non una pattuglia di CC.RR. era in zona».
Nell'imminenza della caduta del regime fascista, le cose peggiorarono. Il 27 luglio Guzzoni avvertì il Comando Generale della M.V.S.N. che «nella notte del 23 corrente 171º battaglione cc.nn. ha defezionato al completo / seguiranno particolari / Era costituito elementi siciliani / Generale Guzzoni».
Ma era noto che altre unità della Milizia in Sicilia si erano già sbandate. Il 5 settembre, prima ancora dell'armistizio, 41 militari del 141º Reggimento Costiero in Calabria avevano abbandonato il reparto. Il Gen. Chatrian, al comando della 227ª Divisione Costiera, notificava che aveva ordinato «su concordi proposte del Comando di Battaglione e di Reggimento [...], la fucilazione di 19 militari calabresi del 76º battaglione».
Episodi di scoraggiamento avvennero anche tra le truppe italiane in Grecia, ormai prive della volontà di combattere.
In quel clima da tragedia ci furono però truppe che mantennero la disciplina, rimasero salde e si batterono valorosamente. Tra queste, la Divisione Livorno, forte di 13 mila uomini, che a Gela fu a un passo dal gettare a mare gli Americani. Non ci riuscì per il mancato coordinamento con un Raggruppamento di carristi tedeschi a suo supporto. La divisione perse nei combattimenti circa 8 mila soldati, solo 5 mila poterono attraversare lo Stretto. Nelle foto soldati della Livorno feriti, evacuati dalla prima linea a Gela e un Reparto carri della Grande Unità.
(1) Massimiliano Capra Casadio, intervista a Sergio Nesi su "Storia della X Flottiglia Mas", Ed. Mursia, Milano 2016.
(2) Storia Militare Dossier, "L'esercito italiano nel 1943", autori diversi, n. 5, Editore Albertelli s.r.l., 2012.
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