EXCALIBUR 130 - luglio 2021
in questo numero

Dante e la Sardegna

Un anniversario da celebrare e da ricordare

di Claudio Usai
classica rappresentazione di <b>Dante</b>, la sua città e la sua 'Commedia'
Sopra: classica rappresentazione di Dante, la sua città e la sua
"Commedia"
Sotto: il castello dell'Acquafredda dei Gherardesca di Sanluri
il castello dell'Acquafredda dei Gherardesca di Sanluri
In occasione del 700º anno dalla morte di Dante Alighieri è mia intenzione approfondire il tema delle relazioni fra il "Sommo Poeta" e la Sardegna, sfatando il mito della sua ostilità verso i Sardi.
Partendo dalla sua opera più celebre, la Divina Commedia, si scopre l'importanza che la Sardegna ebbe nelle vicende della storia italiana, in particolare nei rapporti fra Pisa e Genova fra l'XI e il XIV secolo.
L'alleanza delle due repubbliche fu originata dalla politica di conquiste iniziata da Mugahid, che guidò i musulmani al possesso delle Baleari e della stessa Sardegna e di qui alle incursioni sulle coste italiane come la distruzione di Lumi (Borgo di Pisa). Unite dal comune pericolo, Genova e Pisa sconfissero Mugahid e iniziarono la penetrazione, prima economica e poi politica, nell'Isola, allora divisa nei giudicati di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura: Genova dominava il nord e Pisa il sud.
In seguito alla vittoria sull'Islam, la Sardegna entrò nel mondo della letteratura italiana: Dante conosceva bene la Sardegna, in particolare la Gallura, tramite i Visconti e i Malaspina di Pisa. È improbabile però che Dante abbia mai visitato l'Isola, anche se lo studioso Casini ha affermato che «nel XIII secolo ai Genovesi e ai Pisani la Sardegna era più familiare che oggi non sia per noi Italiani del Continente», anche se è risaputo infatti che Dante si sarebbe ispirato nella Seconda Cantica per l'idea dell'Isola del Purgatorio a quella di Tavolara.
Dante inoltre descrisse la Sardegna ne "l'isola d'i Sardi" nel XXVI Canto dell'Inferno, durante il viaggio di Ulisse verso le Colonne d'Ercole. La descrisse come "terra malarica", come Orazio, Marziale e Petrarca prima di lui, ma ciò non deve sorprendere, visto che la malaria infestò l'Isola fino agli anni '50 del '900.
La nota con la quale Dante descrisse «l'impudicizia delle donne di Barbagia» (XXIII Canto) è in realtà un'invenzione dantesca, poiché la Barbagia costituiva una zona totalmente inaccessibile agli stranieri.
Presso gli Insani Montes, il Gennargentu, si rifugiarono infatti i Sardi che volevano sfuggire alla schiavitù degli invasori e la regione fu sempre così pericolosa che, sotto l'Imperatore Giustiniano, l'autorità bizantina fu costretta a mantenere un comando operativo a Forum Traiani (Fordongianus).
La storia sarda nella "Commedia" è soprattutto quella delle élites di Pisa e di Genova, come Michele Zanche, tutore del giudice Barisone di Torres e amico dei Doria, oppure Frate Gomita dei Visconti di Gallura. Anche "lo buon Marzucco" del "magno saver" della canzone di Guittone d'Arezzo chiarisce l'intensa attività economica nell'Isola.
Per quanto riguarda il celebre Conte Ugolino della Gherardesca, «Poscia, più che 'l dolor poté 'l digiuno», egli fu una figura di spicco nella politica pisana in Sardegna. I della Gherardesca si scontrarono contro Chiano di Massa, giudice di Cagliari, alleato di Genova e lo stesso Ugolino comandò la flotta che assediò e sconfisse Cagliari. Riconquistata la città, il trattato di Santa Gilla riconobbe al Gherardesca il possesso di un terzo del regno di Cagliari. Al figlio Guelfo (di nome), ribelle di Pisa, fu dato il Castello di Acquafredda a Siliqua; dopo aver conquistato una roccaforte genovese si difese a Villa di Chiesa (Iglesias), cadendo in battaglia.
Il governo di Ugolino su Cagliari fu saggio e grazie a lui il borgo minerario di Villa di Chiesa divenne città, con il Breve «un monumento di legislazione civica e mineraria». Ugolino infine diffuse tra i Sardi il volgare toscano.
Mentre i Gherardesca avevano le loro posizioni a sud, con i castelli della Gioiosa Guardia, di Salvaterra e di Acquafredda, a nord i Visconti dominavano la rocca di Monte Acuto, i Doria i castelli di Monte Forte, Monte Leone, Rocca Forte, Castel Genovese (Castesardo), Chiaramonti e i Malaspina Serravalle.
Questi castelli non erano solo difese militari ma anche strumento di costume culturale del Medioevo, che creò persino fantasiose leggende riguardo ai loro nomi. I Gherardesca chiamarono Gioiosa Guardia la loro rocca presso Villamassargia; era il nome che Lancillotto trasformò in Dolorosa Guardia, la fortezza da lui conquistata da cavaliere errante, dopo aver sconfitto il castellano saracino, su tradizione cavalleresca dei "Cavalieri della Tavola Rotonda".
Dante è legato alla Sardegna anche per Lapo Saltarelli, «il deprecato compagno di condanna del poeta», «per cui saria tenuta allor tal maraviglia / una Cianghella, un Lapo Salterello». Il Saltarelli dopo tante avventure per sfuggire all'ira di Bonifacio VIII, del quale aveva scoperto il suo intento di conquista di Firenze, si era rifugiato in Sardegna nel convento cagliaritano di San Francesco di Stampace.
Riguardo la fama di Dante nell'Isola, secondo il canonico Giovanni Spano (1803-1878) nella chiesa di San Domenico si sarebbe trovato un ritratto di Dante, attribuito al Masaccio, nel 1855 venduto in Inghilterra; inoltre nella biblioteca dello storico Gianfrancesco Fara e quindi del giurista Monserrato Rossello che la donò al collegio di Santa Croce, oggi dell'Università di Cagliari, è presente il codice Cagliaritano M 76, manoscritto della Commedia del Trecento, uno dei primi e più antichi.
Dopo la dominazione spagnola, che intese cancellare la cultura italiana in Sardegna, la conoscenza di Dante riprese solo nell'Ottocento e ai primi di questo secolo si pubblicarono a Cagliari due enormi volumi di "Lecturae Dantis".
Nel 1929 lo scrittore Pietro Casu tradusse la Commedia in Sardo. Dal Novecento l'attività dantesca nell'Isola non è più cessata: nel 1946 dal comitato di Cagliari della "Dante Alighieri" si dà la lettura annuale e pubblica della Commedia.
Il giudizio di Dante sulla lingua sarda riguarda lo studio dei vari dialetti italiani del "De vulgari eloquentia". Dal punto di vista geografico, secondo Dante, la Sardegna, piuttosto che appartenere alla metà di "sinistra" (o sud-occidentale) dell'Italia, va unita alla Sicilia.
I Sardi chiudono, insieme ai Liguri, l'elenco delle genti di "destra" le cui lingue si differenziano l'una dall'altra. Ma quando Dante parla della lingua sarda, che descrive purtroppo come fra le più "brutte" (era antipaticissimo!), si contraddice nella stessa opera. Secondo Dante i Sardi parlano una "cattiva" imitazione del Latino, pur ammettendo che la lingua sarda è la più vicina a quella dei Romani: «Sardos etiam, qui non Latii sunt sed Latiis associandi videntur».
Il poeta riprende e radicalizza un'opinione diffusa nel Medioevo, sul carattere "barbaro e incomprensibile", ma "naturale" e "genuino" del Sardo, molto diverso dalle parlate italiane. In realtà la tesi sostenuta da Dante nel trattato è funzione di stimolo e modello che la grammatica ha nei confronti del "volgare illustre": si tratta di un'imitazione con una logica interna, senza pregiudizio per l'autonomia linguistica; il valore quindi si trasforma da negativo a positivo.
Per lo studioso Marigo per Dante il Sardo era una «soluzione arditamente congetturale e innovativa»; egli quindi giudicherebbe il Sardo come "irrazionale sollecitudine".
Quindi il contesto non indica affatto che Dante giudichi il Sardo così negativamente, in quanto questa "imitazione del latino" produce una morfologia scorretta, senza regole strutturali, ma sublime e musicale; questa è la mia ipotesi.
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