La notizia dell'invasione del Piemonte da parte delle armate francesi era giunta a Cagliari nell'ottobre del 1792: la cosa impressionò la popolazione e in particolare la nobiltà e il clero contro cui si appuntavano i fulmini rivoluzionari. Da Torino, il Viceré don Vincenzo Balbiano d'Aramengo riceveva sollecitazioni urgenti affinché provvedesse alla difesa dell'Isola contro un attacco fortemente temuto. Inspiegabile fu pertanto l'indifferenza e l'incuria dello stesso a fronte dei tassativi ordini ricevuti dal governo, anche perché chi è preposto alla difesa di un Paese deve porre in essere tutte le misure necessarie per renderla efficace, a prescindere dalle proprie visioni personali sulla consistenza o meno della minaccia.
Tra la fine del 1792 e i primi del 1793 la minaccia di un'invasione della Sardegna da parte degli eserciti della Francia rivoluzionaria si fa concreta. Infatti nel dicembre del 1792, alcune navi francesi si presentano nel golfo di Cagliari. E altrettanto si programmava per il nord dell'Isola dove, a La Maddalena, la difesa verrà organizzata da Domenico Millelire. A Cagliari, capitale del Regno e residenza del viceré, dovrebbe essere lo stesso a garantire la popolazione da ogni pericolo. Ma, come detto, il viceré Balbiano e i suoi fidati consiglieri parevano non dare alcun peso al pericolo.
In questo contesto fu la nobiltà sarda (attraverso lo Stamento militare), col sostegno del clero, a organizzare il piano di difesa. I nobili, riuniti in assemblea straordinaria, prima fecero pressione sul viceré e poi agirono anche di propria iniziativa nel tentativo di scuotere lo stato d'indolenza. Quindi, decisero di armare più accuratamente le truppe già di stanza in Sardegna e, nel contempo, richiamarono le "milizie nazionali", i contingenti sardi che prendevano le armi nei momenti di maggiore pericolo. I nobili avevano ottenuto dal viceré il permesso di potersi riunire, in via d'urgenza, quali rappresentanti dello Stamento militare (uno dei tre "bracci" dell'antico Parlamento sardo, che così, dopo oltre novant'anni di inattività, tornava a nuova vita).
Il grosso delle forze in campo, nella sostanza, era dato dalle truppe miliziane sarde: un'istituzione risalente al periodo giudicale. Alla stessa infatti si riferiscono alcune norme della Carta de Logu (capitoli 89-91), in seguito modificate da Carlo V e da Filippo II e poi, durante il dominio sabaudo, disciplinate attraverso diversi pregoni viceregi. Furono queste milizie, nonostante la politica miope del Balbiano e il senso di disistima che lo stesso aveva per le medesime, i veri baluardi contro l'attacco francese.
Le navi francesi, avvistate nel golfo di Cagliari il 29-30-31 dicembre 1792 e il 2 gennaio 1793, non avevano ancora arrecato alcuna offesa alla città. Il 23 gennaio - proveniente da Palmas - il contrammiraglio Truguet arrivò nel golfo di Cagliari con 20 navi (11 vascelli, 6 fregate e 3 bombarde) che si disposero in modo da tenersi al di fuori della portata delle artiglierie della città. Il giorno seguente, lo stesso inviava un'intimazione di resa al viceré con un portavoce che, avvicinatosi a bordo di un'imbarcazione alla batteria del molo, ebbe l'ordine di ritirarsi. Ma, poiché non ubbidì, l'imbarcazione fu oggetto di una scarica di fucileria che uccise la maggior parte degli uomini a fondo.
Dopo una serie di ulteriori schermaglie e incidenti diplomatici, il 27 gennaio i Francesi iniziarono a bombardare la città. Il cannoneggiamento proseguì il giorno successivo. Concluse queste prime operazioni, i Francesi preferirono porre rimedio ad alcune avarie riportate dalle navi e non effettuarono ulteriori bombardamenti. Il 7 febbraio 1793 il grosso della flotta francese (28 navi da guerra e 34 onorarie), comandata dal Truguet, si presentava di nuovo nel Golfo di Cagliari.
Rispetto ai Francesi, sicuramente meglio equipaggiati, gli isolani avevano il vantaggio della miglior conoscenza dei luoghi e dell'entusiasmo per la difesa della fede, della propria terra e del Regno. Peraltro, l'impreparazione a fronteggiare un'eventuale invasione nemica era impressionante e c'è davvero da meravigliarsi se si sia riusciti a fronteggiarla.
Tant'è che il popolo volle spiegare la vittoria con l'intervento miracoloso di Sant'Efisio che, in una stampa del tempo custodita nella Biblioteca universitaria di Cagliari, è raffigurato al di sopra delle mura della città in atteggiamento protettore mentre è in corso il bombardamento della flotta francese.
Il 14 febbraio (giovedì) la città viene nuovamente bombardata dalla flotta francese. Le navi cannoneggiano per tre giorni consecutivi la torre di Calamosca e il vicino forte di Sant'Ignazio, costruito proprio per la difesa dai possibili attacchi dei Francesi. Queste bombe ancora oggi sono illustrate in un'iscrizione presente nella chiesa di Sant'Efisio e una si trova infissa nel palazzo Boyl (con la targhetta "1793") accanto alle altre due palle che ricordano i bombardamenti subiti dalla città di Cagliari nel 1708 e nel 1717.
Sempre il 14 febbraio, le truppe guidate dal Gen. Casabianca sbarcarono nel litorale di Quartu Sant'Elena. Al riguardo, con dispaccio del 22 febbraio 1793, il Viceré Balbiano fornisce alcune informazioni sullo stato della difesa al momento dello sbarco: 500 miliziani al Lazzaretto, 500 a difesa del colle di Sant'Elia, 900 uomini guidati da don Girolamo Pitzolo nelle spiagge di Gliuc, mentre il controllo della vicina piana era assicurato da due compagnie di dragoni leggeri e da oltre 2 mila uomini di cavalleria sotto il comando del Saint Amour. A questi corpi, il viceré aggiunse 1.000 miliziani, da dislocare nel litorale di Quartu, agli ordini del marchese Borro di San Carlo (poi sostituito dal cavalier Martinez). Inoltre destinò 500 miliziani alla difesa di Monte Urpinu.
Nonostante ciò, come detto, il 14 febbraio 1793, 4 mila uomini sotto la direzione del Truguet sbarcarono nel Margine Rosso. Ciò fu possibile grazie alla fuga dei Sardi del Saint Amour che si dileguarono allorché i tiri delle navi si avvicinavano. I Francesi quindi si impadronirono, senza colpo ferire, della torre del Mortorio e poi saccheggiarono la chiesetta campestre di Sant'Andrea.
Le cronache raccontano che, durante la notte tra il 14 e il 15 febbraio 1793, una brigata francese (la terza), preoccupata della sua posizione, volle rientrare nel campo e, nel compiere tale operazione, si scontrò con la compagnia di collegamento che, credendo d'avere a che fare col nemico, tirò una cannonata d'allarme. I volontari, svegliati di soprassalto (per di più si trattava di ragazzi tra i 15 e i 16 anni, nuovi alla guerra), gridarono al tradimento e scaricarono le armi a caso. La terza brigata, che si ritirava, rispose al fuoco. Quindi i soldati, atterriti dalla detonazione, fuggirono verso il mare dove 700 di essi annegarono. Il Casabianca e i suoi ufficiali inutilmente tentarono di arginare il fuggi fuggi. I soldati volontari gettavano fucili, giberne e abiti e si buttavano in mare. Il terrore si era impadronito dei volontari che chiedevano di ritirarsi. A quel punto, anche le truppe regolari francesi, indignate dal contegno dei volontari, domandarono di ritirarsi.
Per cercare di galvanizzare la truppa, il contrammiraglio Truguet, il 16 febbraio, inviò dei viveri. Ma i soldati non volevano proprio saperne e chiedevano a gran voce di rimbarcarsi: cosa davvero impossibile date le condizioni proibitive del mare. Tuttavia il 18 febbraio, nonostante il vento impetuoso, iniziarono le operazioni di imbarco che vennero ultimate il 20 febbraio. Dopodiché, il 24 febbraio 1793, la flotta nemica sgomberò il Golfo di Cagliari.
Resta da stabilire il vero contributo dato dalle milizie sarde alla disfatta della colonna del Casabianca. Al riguardo le diverse versioni disponibili (dai racconti del Pitzolo e del Peyrou ai dispacci del Viceré Balbiano, sino alle ricostruzioni del Manno, del marchese Ripoll di Neoneli, del Sulis, del Marini e alle altre cronache del tempo) evidenziano forti contrasti e palesi contraddizioni. Nella sostanza, non è neppure chiaro l'apporto dato alla resistenza dai miliziani sardi, capeggiati dal marchese Borro di San Carlo, e della popolazione (guidata dall'Avvocato Girolamo Pitzolo e incitata dal Notaio Vincenzo Sulis). Parrebbe che i Francesi, alla luce dell'evoluzione della situazione internazionale, decisero di abbandonare l'impresa militare per dislocare le truppe su altri fronti. In ogni caso, complice una tempesta, la flotta francese si vide costretta alla fuga.
Fatto sta che, volendo premiare l'eroica (e fortunata) resistenza dei Sardi, il Re Vittorio Amedeo III promise, per ricompensa, maggiori libertà e un diverso rapporto tra Consiglio Civico e Governo Regio. Rispondendo a un invito del Re, i tre "bracci" del Parlamento sardo rivolsero allo stesso le "cinque domande" (cioè cinque richieste di particolari provvedimenti a favore dell'Isola) portate a Torino da una delegazione di sei deputati degli Stamenti. Le cinque domande erano: il ripristino dell'istituzione parlamentare (che non veniva convocata da circa un secolo), la riconferma degli antichi privilegi, l'istituzione a Torino di un Ministero per gli affari di Sardegna, l'istituzione a Cagliari di un Consiglio di Stato (che il viceré avrebbe dovuto consultare per l'ordinaria amministrazione), l'attribuzione ai Sardi di tutti gli "impieghi" civili, esclusa la carica di viceré.
Si era creato dunque un clima di grande attesa. Le promesse, tuttavia, non vennero mantenute, per cui si prepararono le basi dei moti antipiemontesi del 1794. Il viceré, essendo venuto a conoscenza dei preparativi, il 28 aprile ordinò l'arresto di due avvocati, Vincenzo Cabras e il genero Efisio Pintor, considerati i capi della congiura. Non riuscendo le guardie a trovare quest'ultimo presero al suo posto il fratello Bernardo. Fu la scintilla dell'insurrezione: i parenti del Cabras, che era popolarissimo e assai stimato, si sparsero per il quartiere di Stampace, bussando a tutte le porte delle case per invitare a dare un'adeguata risposta.
Nella città scoppia la rivolta. La popolazione si arma e, guidata dal Sulis, insorge. In poche ore tutti i Piemontesi vengono arrestati. Il viceré Balbiano abbandona la reggia e si rifugia nell'attiguo arcivescovado. Poi, il 2 maggio del 1794, viene imbarcato insieme a tutti i Piemontesi (in totale 514) fatta eccezione dell'arcivescovo Melano. Il potere viene assunto dalla Reale Udienza e dagli Stamenti. Il 6 settembre dello stesso anno, da una corvetta spagnola, sbarca a Cagliari il nuovo viceré: il marchese Gioacchino Ignazio Filippo Vivalda che, per molto tempo, dovrà ancora misurarsi col "partito dei sollevati".
A ricordo di questi avvenimenti, nel 1993, è stata istituita - con apposita legge del Consiglio Regionale - Sa die de sa Sardigna che si celebra ogni anno il 28 aprile. Tale circostanza ha anche contribuito a riaprire una serie di studi storiografici che hanno gettato nuova luce su quei fermenti di rinnovamento economico e civile e su quella circolazione di idee politiche che resero possibile a Cagliari l'insurrezione del 1794.