Sopra: Domenico Millelire (1761-1827)
Sotto: l'arcipelago di La Maddalena
Mentre, il 21 gennaio 1793, la Francia rivoluzionaria assisteva alla decapitazione di Luigi XVI, la Repubblica giacobina cercava di allargare la sfera della propria influenza ideale e politica nel Continente europeo e nel Mediterraneo. La Sardegna costituiva quindi una preda assai interessante e strategica al fine di garantirsi il predominio sui mari e, per tale via, assicurarsi la supremazia sull'Inghilterra.
Peraltro, benché il boato della rivoluzione avesse dato un forte scossone a tutta l'Europa monarchica e assolutista, nella nostra Isola l'eco dei grandi eventi era giunta smorzata per via del torpore sociale ed economico che caratterizzava il regno di Vittorio Amedeo III. È questo il contesto nel quale i Francesi misero a punto il piano per invadere la Sardegna. Si prevedettero due sbarchi: uno nel litorale sud, per conquistare Cagliari, e l'altro a nord, nell'Isola della Maddalena. In questo breve saggio ci soffermiamo su quest'ultima impresa.
Le relative operazioni ebbero inizio alle quattro del mattino del 22 febbraio 1793, quando una flotta ben equipaggiata e armata salpò da Bonifacio. Alle nove una parte delle truppe da sbarco, comandate dai luogotenenti Quenza e Bonaparte, s'impossessò dell'indifesa Isola di Spargi. Sì, proprio lui, Napoleone Bonaparte, il futuro imperatore di cui si è appena celebrato il bicentenario della morte (5 maggio 1821), il principale protagonista dell'impresa militare.
Ma, anticipando il risultato della spedizione, va detto che non fu una folgorante vittoria la prima prova di Napoleone in guerra. Il giovane ufficiale d'artiglieria, che (assieme ai suoi fratelli Luciano e Giuseppe) intendeva fare della Sardegna una base militare dalla quale minacciare gli stati italiani, trovò la strada sbarrata da Domenico Millelire, un nocchiero maddalenino al quale il coraggio certo non mancava.
Il comando delle truppe d'invasione era stato affidato al colonnello Colonna-Cesari, nipote di Pasquale Paoli. Le truppe erano formate da 450 volontari corsi, guidati dal colonnello Quenza, e dalla compagnia del capitano Réunies. Il comando d'artiglieria era invece affidato a Napoleone, capitano nel reggimento La Fére ma per l'occasione tenente colonnello della Guardia Nazionale corsa. La partenza era prevista nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 1793, ma le avverse condizioni di tempo costrinsero i Franco-Corsi a fare marcia indietro, mentre il 20 e il 21 i venti capricciosi avevano imposto l'inazione. Finalmente, come detto, alle quattro del mattino del 22 febbraio, l'avventura poté cominciare.
Le cronache narrano che la mattina del 22 febbraio 1793 - una fredda giornata d'inverno caratterizzata dallo spirare di un moderato vento di ponente - sedici piccole navi, precedute dalla corvetta Fauvette, si dirigevano all'imboccatura orientale delle Bocche di Bonifacio, il braccio di mare che separa la Corsica dalla Sardegna, per assaltare l'Isola della Maddalena. A bordo della Fauvette, un giovane ufficiale nativo di Ajaccio, Napoleone Bonaparte, scrutava l'orizzonte pensando all'imminente attacco e non poteva certo immaginare quanto lontano lo avrebbe condotto il suo destino. Ma neppure aveva messo in conto la cocente sconfitta cui stava per andare incontro.
Comandante dell'Isola della Maddalena era il capitano Giuseppe Maria Riccio, il quale, sulla base delle informazioni ricevute da pescatori locali, da diverso tempo aveva manifestato al Viceré Balbiano le proprie preoccupazioni circa un possibile sbarco francese. Nonostante le rassicurazioni del viceré, Riccio aveva ritenuto di dover rinforzare le difese dell'isola come meglio poteva, reclutando persino pastori galluresi ed evacuando nell'entroterra di Palau donne e bambini, onde evitare la loro presenza nella zona delle possibili operazioni militari.
Nell'isola madre i miliziani erano circa 500 (di cui la metà volontari e mal equipaggiati), mentre nella costa gallurese si trovavano dislocati circa 200 combattenti (principalmente pastori e artigiani). La flotta sarda era composta da due mezze galere (la Beata Margherita e la Santa Barbara), quattro galeotte e alcuni legni minori. L'isola di Santo Stefano era armata di tre cannoni e presidiata con 25 uomini mentre in quella della Maddalena erano presenti le batterie Sant'Andrea e Cavaliere. Per infondere coraggio agli armati, il Capitano Riccio aveva fatto preparare anche una bandiera votiva - contraddistinta dal motto: «
Per Dio e per il Re. Vincere o morire» - che si trova conservata nella sala consiliare del Municipio della Maddalena.
Le preoccupazioni del Capitano Riccio non erano infondate. Infatti, come detto, intorno alle nove parte dei legni francesi raggiunse l'indifesa Isola di Spargi per razziare bestiame, mentre la Fauvette si spinse in prossimità dell'isola madre. Un primo tentativo di sbarco fu frustrato dalla presenza di un gruppo armato che l'aiutante di Riccio, il cavaliere de Constantin, aveva dislocato nei punti più adatti allo sbarco: Padulla, Tegge, Nido d'Aquila, Cala Francese, Guardia del Turco, Cala Chiesa, Camicia e Cala Moneta.
Quindi i cannoni posizionati nella batteria sul Forte Balbiano presero di mira la corvetta francese che rispose al fuoco. La Fauvette doveva proteggere uno sbarco sull'Isola di Santo Stefano, che fronteggiava il porto della Maddalena e la cui difesa era garantita dall'omonima torre quadrata presidiata da circa trenta uomini. La Fauvette si vide costretta a riparare nella rada di Mezzo Schifo, dove calò l'ancora. Nel pomeriggio le truppe francesi sbarcarono, senza essere viste, sull'Isola di Santo Stefano, dove il luogotenente Bonaparte fece piazzare un mortaio d'assalto e alcuni cannoni che, durante la notte, bersagliarono senza sosta i forti maddalenini, la flotta all'ancora e lo stesso abitato della Maddalena.
La notte del 22 febbraio le truppe di Quenza e Bonaparte sbarcarono nell'Isola di Santo Stefano, in località Villa Marina, e senza troppe difficoltà, grazie al fuoco intenso della Fauvette alla fonda nella Cala di Villa Marina, il giorno successivo espugnano il forte. Quindi, all'alba del 24, l'artigliere Bonaparte pose in linea la propria batteria dando inizio a un pesante cannoneggiamento sulla Maddalena.
Se lo sbarco fosse stato effettuato durante il cannoneggiamento, il successo sarebbe stato certo. Ma il giovane artigliere non seppe cogliere il momento e continuò il bombardamento per tutta la giornata. I proiettili caddero dappertutto e una palla di cannone sfondò persino la finestra della chiesa parrocchiale finendo ai piedi della statua di Santa Maria Maddalena. Le batterie dei due forti sabaudi (il Balbiano e il Sant'Andrea) furono messe a tacere.
La situazione era grave e La Maddalena non poteva resistere a lungo. A quel punto de Constantin, preoccupato per l'evolversi della situazione, decise un'azione notturna con l'obiettivo di posizionare due cannoni presso Palau per colpire la corvetta e gli altri legni vicini alla stessa. Come volontario per l'impresa si offrì il nostromo Domenico Millelire, che, a bordo di una lancia, col marinaio Tommaso Zonza, altro eroe maddalenino, la notte del 24 approdò nel luogo stabilito dove, aiutato da alcuni pastori, piazzò la sua batteria presso Punta Tegge.
L'azione repentina del nostromo, che diede avvio a un fitto lancio di palle infuocate, causa morte e sgomento sulla Fauvette, che viene danneggiata e si vede costretta ad abbandonare la propria posizione. Millelire ne intuisce il movimento e sposta la batteria a Capo d'Orso, a sud di Palau, non dando tregua al nemico. Dal litorale della Sardegna inizia a far cannoneggiare le navi francesi, ancorate nella Cala di Villa Marina, che subiscono danni assai pesanti. A questo punto i marinai francesi, in preda al panico, si ammutinano e a nulla valgono i diversi tentativi di Colonna-Cesari di riportarli alla battaglia. Nonostante minacciava di far saltare in aria la nave, nessuno si mosse. Alla fine, preso da una crisi di nervi, il colonello si abbandonò in un pianto isterico che gli valse il soprannome di "plereur" (piagnone).
Gli ammutinati inviarono quindi un ufficiale a Santo Stefano per ordinare a Quenza e Bonaparte di ritirarsi in buon ordine. Quest'ultimo si indignò, ma i suoi uomini, temendo che la flotta prendesse il largo piantandoli in asso, si precipitarono verso la spiaggia urlando: «
si salvi chi può». Napoleone, colmo d'ira e di amarezza, dovette abbandonare in fretta e furia i suoi cannoni, che fanno ancora bella mostra di sé nel Museo di Artiglieria di Torino.
La poco gloriosa invasione della Sardegna si concluse il 25 febbraio 1793 con la mesta ritirata della flotta franco-corsa, mitragliata per di più durante la sua fuga da Millelire, che - secondo il racconto tramandato dai pastori galluresi - inseguì, a bordo di una scialuppa cannoniera, il nemico quasi fino alla Corsica.
Anche la coeva spedizione su Cagliari, guidata dal contrammiraglio Truguet, si era risolta in un fallimento. Tutta la Sardegna era in giubilo e all'ardimentoso Domenico Millelire venne concessa la prima Medaglia d'oro della Reale Marina Sarda con la seguente motivazione: «
Per aver ripreso al nemico l'Isola di Santo Stefano e per la valorosa difesa dell'Isola de La Maddalena contro gli attacchi della squadra navale della Repubblica francese».
Figlio di Pietro Millelire e Maria Ornano, Domenico era nato a La Maddalena nel 1761, secondo di quattro fratelli tutti dediti alla Marina. L'eroismo lo aveva nel sangue. Era imbarcato sulla mezza galera Santa Barbara al comando di Vittorio Porcile, altro grande della Marina Sarda, quando il 3 gennaio 1794 combatté con estremo valore contro due sciabecchi algerini che furono catturati. Per questa azione ricevette la Medaglia d'argento al Valore Militare. In seguito ottenne anche la Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia.
Promosso sottotenente delle mezze galere, il 18 luglio 1811 Millelire partecipò alla famosa battaglia navale di Capo Malfatano, a seguito della quale ebbe il grado di capotenente delle truppe di fanteria. In seguito gli venne attribuito il grado di sottotenente di vascello dei forti della Reale Marina Sarda e la carica di capitano del porto e comandante della Marina di La Maddalena, dove morì il 14 agosto 1827 e fu sepolto nel cimitero vecchio dell'isola. Nel 1928, la Marina Italiana volle dare il suo nome a un sommergibile di 1.320 tonnellate, di cui fu madrina la pronipote Anita Susini-Millelire.