Sopra: Cagliari, Piazza Yenne, febbraio 1970,
manifestazione del Msi, da sinistra Alfredo Pazzaglia,
Salvatore Delunas, segretario provinciale del Msi, e
l'allora dirigente nazionale del Fuan Angelo Abis
Sotto: l'On. Alfredo Pazzaglia, a destra, con l'On. Giorgio
Almirante e Salvatore Delunas nei primi anni '60
In questo breve scritto analizzerò la posizione dell'On. Alfredo Pazzaglia e quindi del Msi sardo rispetto ai fenomeni del banditismo in Sardegna negli anni '60 e '70.
Fino a quel momento l'analisi storica aveva identificato dei cosiddetti "cicli di banditismo" con i mutamenti storici e socio-economici della Sardegna.
Giuseppe Puggioni e la psichiatra Nereide Rudas, nel loro rapporto alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna, istituita nel 1969, ipotizzarono che il banditismo non fosse l'espressione della violenta cultura pastorale sarda, ma di una risposta deviata alla violenza esterna, alla prevaricazione secolare che subordinando e marginalizzando storicamente ed economicamente l'isola, avrebbe spinto il mondo pastorale verso diverse forme di "resistenza" alla minaccia della sua distruzione, da ciò è derivato «
l'abnorme fenomeno del banditismo».
Pur discostandosi dall'ormai noto "Arco Costituzionale", il Msi sardo e in particolare l'On. Pazzaglia approfondirono questo argomento giungendo a conclusioni fenomenologiche di causa-effetto abbastanza avanzate per l'epoca. Nel suo discorso del 9 ottobre 1969, poco dopo la formazione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta e l'approvazione di una proposta di legge dell'On. Mannironi (Dc), l'On. Pazzaglia affermò: «
I precedenti di questa proposta sono, in verità, assai strani». Pazzaglia faceva riferimento alla mancanza di un "controllo del Parlamento" sulla questione appunto del banditismo. L'esigenza era stata dettata dai cosiddetti "fatti di Sassari", facendo riferimento al clamoroso conflitto tra polizia e magistratura sul banditismo sardo, avvenuto in quegli anni.
La verità, affermava Pazzaglia, era che il governo monocolore Rumor voleva trasferire le responsabilità della "questione sarda" nei confronti della Giunta Regionale e, in contrasto con essa, intendeva non intervenire nel merito sul fenomeno della criminalità in Sardegna.
La proposta del Msi sardo presentata dall'On. Pazzaglia nel 1969, aveva due premesse:
1) in merito alla proliferazione degli atti delittuosi, denunciando il lungo tempo che era intercorso tra la loro denuncia e la definizione dei processi penali (problema più che mai attuale, potremmo ripetere ancora oggi);
2) le "deboli" conclusioni della inchiesta sulle condizioni economiche e sociali dell'isola da parte della Commissione Rinascita del Consiglio regionale sardo contraddicevano per giunta le decisioni dei precedenti governi sempre a guida Dc o dell'allora centrosinistra.
Secondo Pazzaglia: «
Il fenomeno della delinquenza sarda, che ha fra le cause rilevanti quelle comuni a fenomeni analoghi di gangsterismo che esistono in altre parti d'Italia e forse del mondo, comporta però l'acquisizione di elementi attinenti alla efficienza dell'apparato di polizia e degli organici della giustizia nell'isola».
In buon sostanza, sosteneva Pazzaglia, non era tanto un problema di autonomia o cultura, quanto di assenza dello Stato in termini economici e di sicurezza, ma anche di prevenzione degli atti criminosi.
Ironizzava Pazzaglia: «
Forse non sono note a tutti i colleghi le croniche carenze di personale degli uffici giudiziari di Nuoro e Lanusei, le zone tradizionalmente più interessate al fenomeno delittuoso. Le cause di tali carenze possono essere accertate con estrema facilità, ma finora non si è pensato a eliminarle. È nota al Parlamento la difficoltà nella quale operano le forze dell'ordine, ma certo non sono generalmente note le carenze organizzative e le disposizioni impartite dal Governo per la repressione della delinquenza».
La mancanza di un adeguato sostegno alla "polizia rurale" dei barracelli si rifletteva sul fatto che la "latitudine" dell'inchiesta fosse quanto mai errata riguardo l'affermazione che «
l'arretratezza sia causa primaria o rilevantissima della insicurezza» e quanto fosse notorio che nell'isola era la delinquenza a determinarne l'arretratezza.
Dopo tale affermazione il deputato sardo del Pci Ignazio Pirastu provocò animosamente l'onorevole missino: «
Notorio per chi? Per coloro che stanno sulla Luna».
Nello scontro tra deputati sardi degli estremi opposti schieramenti, Pazzaglia rincarò la dose ad alta voce: «
È notorio per tutti», scatenando le proteste del deputato comunista. Riprese Pazzaglia: «
Stato e Regione avrebbero dovuto rispondere e dovranno rispondere con adeguate misure, che richiedono ovviamente tempi lunghi. Ma non può essere confusa tale istanza, o la necessità di tali misure, con quelle urgenti che condizionano il successo delle altre e che attengono al ristabilimento dell'ordine e della sicurezza».
Secondo Pazzaglia, dietro studi di carattere sociologico si voleva celare la realtà "veramente arretrata" di un "interno Sardegna" abbandonato dal Governo regionale e nazionale.
L'esigenza di intervento del Parlamento nasceva dall'insuccesso delle iniziative governative, che secondo il Msi avevano origine nella mancata comprensione del fenomeno, nell'avere creduto alle suggestioni della "mitologia sociologica", nella tardività delle misure adottate, nella estraneità dai problemi strutturali di alcune zone e nella incomprensione dell'importanza del funzionamento degli uffici pubblici.
Secondo Pazzaglia, non sempre la Sardegna era stata un luogo insicuro e mai come negli anni '60 aveva sofferto dei mali del banditismo diffuso. E nonostante il fallimento del piano di sviluppo economico e sociale - il Piano di Rinascita - essa stava progredendo civilmente, socialmente ed economicamente.
Concluse Pazzaglia affermando che l'esigenza di sicurezza nell'isola premetteva la proposta del Msi di una inchiesta parlamentare, da approvare al Senato, ma conteneva forti limiti imposti dopo la discussione in Parlamento.
In realtà il banditismo storico in Sardegna imperverserà ancora per alcuni decenni e, nonostante le deficienze di tutti i governi nazionali e nonostante le difficoltà economiche, è stata - secondo me - la Sardegna nella sua legittima volontà di contrastare il fenomeno del banditismo, come ricordato dalle affermazioni dell'On. Pazzaglia, a ricercare dentro di sé quei miglioramenti, nella ricerca di maggiore attenzione e considerazione dello Stato italiano. Certamente le aperture culturali e politiche quando furono fuori dalle logiche personalistiche contribuirono a questo miglioramento.
Ma, come affermò Pazzaglia, non era il fenomeno del banditismo foriero di teorie sociologiche bislacche, quanto di richiesta del cittadino sardo di maggior presenza economica, sociale, politica dello Stato, in termini di sicurezza sociale soprattutto. Maggiore sarebbe stata l'attenzione dello Stato nazionale, minore sarebbe stata l'incidenza del fenomeno criminoso.