EXCALIBUR 118 - settembre 2020
in questo numero

Le quattro giornate di Napoli: verità o mito postumo?

Un episodio controverso nei giorni turbolenti di un'Italia dilaniata

di Francesco Marcello
scalzi e feriti, tre giovanissimi combattenti: questa fotografia di Robert Capa fece il giro del mondo
Sopra: scalzi e feriti, tre giovanissimi combattenti: questa
fotografia di Robert Capa fece il giro del mondo
Sotto: altri scugnizzi nel cuore della città di Napoli
altri scugnizzi nel cuore della città di Napoli
Le quattro giornate di Napoli sono state a lungo oggetto di dibattito tra posizioni negazioniste di matrice tedesca e italiana e rivendicazioni, spesso ridondanti, sul versante partigiano. Gli accadimenti di quei giorni, che seguivano l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943, sono sempre stati forieri di curiosità e di interesse storico e recentemente Paolo Mieli ha dedicato all'argomento una puntata di "Passato e Presente" su Rai3. Come accade spesso le ricostruzioni a posteriori presentano molti limiti e l'incedere del tempo rende sempre più difficile trovare testimoni diretti ancora in vita. Giorni tragici di incertezza e sbandamento per i nostri soldati, resi ancora più drammatici dalla fuga di Vittorio Emanuele III e di Badoglio.
Gli Alleati, attuando una strategia attentamente studiata, bombardarono il sud Italia e la Campania molto più intensamente rispetto ai mesi precedenti. Allo sbarco di Salerno da parte delle truppe del generale Mark Clark, raggiunto da quelle dell'8ª Armata di Bernard Montgomery, seguì un periodo di latenza troppo lungo, che lasciò i Napoletani in balìa della Wehrmacht e delle truppe del generale Walter Scholl.
L'insurrezione di Napoli fu preceduta dall'eccidio di Nola, nel quale persero la vita quindici Italiani fra civili e militari e un soldato tedesco. Sono vicende che hanno sempre suscitato in me un grande interesse ed è questo il motivo che mi ha spinto a raccogliere negli anni le testimonianze dirette di molti che hanno vissuto quei giorni: mio padre, soldato di fanteria nell'area vesuviana che in quegli anni conobbe mia madre, nativa di un paese della zona, e tanti suoi conterranei congiunti o amici più anziani di lei. Un elemento ricorrente evidenziato da chi c'era, riguarda il sentimento di acredine verso i soldati delle divisioni germaniche che trattavano gli abitanti della zona con un'arroganza difficile da sopportare.
A lungo si è discusso sulla veridicità di queste accuse, la Germania nel dopoguerra ha cercato di ridimensionarle, proponendo una differenza sostanziale tra le S.S. e l'esercito regolare, dove quest'ultimo, secondo l'interpretazione tedesca, fu rispettoso delle leggi internazionali di guerra e non si macchiò di crimini efferati. Molte testimonianze dirette smentiscono questa tesi, a Napoli i Tedeschi erano carichi di risentimento e di rabbia.
Ciò non esclude che in altre situazioni il loro comportamento sia stato corretto, come talvolta è stato riscontrato, anche se a posteriori è difficile sostenerlo. In Europa a guerra finita non vi era un grande interesse a ricostruire gli eventi con il giusto equilibrio, anche se tentare di ristabilire la verità dovrebbe essere un obiettivo sempre prioritario.
Confesso che il libro di Enzo Erra "Napoli 1943 - Le quattro giornate che non ci furono", pubblicato nel gennaio del 1993, mi ha creato qualche conflitto interiore, per l'autorevolezza dell'autore innanzitutto e per il rispetto che incuteva la sua militanza. Ho cercato ulteriori testimonianze, possibilmente "neutrali" che si sono aggiunte a quelle pregresse e che mi hanno dato infine una certezza: a Napoli la rivolta c'è stata, non un'insurrezione partigiana ma la ribellione di una buona parte del popolo esasperato.
La cronaca di quei giorni ci dice che l'armistizio firmato il 3 settembre fu annunciato alla Nazione il giorno 8. Badoglio e il re scapparono da Roma, era un caos totale ed è proprio in quel caos che le persone presero decisioni determinanti per il loro futuro e per quello delle loro famiglie. A differenza dei soldati italiani, totalmente allo sbando, i Tedeschi sapevano bene cosa fare.
Napoli è stata la città più bombardata d'Italia dalle forze alleate, si contarono fino a 122 bombardamenti, la novantaseiesima incursione segnò particolarmente la popolazione: venne distrutta la chiesa di Santa Chiara e il contraccolpo psicologico, per un popolo la cui fede sfiorava l'idolatria, fu durissimo.
Ad armistizio firmato gli attacchi alleati dal cielo diventarono più intensi. A Napoli si contarono 20 mila morti, nelle "quattro giornate" furono al massimo qualche centinaio. Non ci sono molti dubbi su chi ha le responsabilità maggiori riguardo alle devastazioni nel capoluogo campano. Sono due situazioni molto diverse, è vero, ma sono tragicamente collegate perché Napoli alla firma dell'armistizio era una città praticamente rasa al suolo.
Non è facile immedesimarsi nella testa dei Napoletani, erano convinti che la guerra fosse finita, invece ecco i Tedeschi, che diventarono in breve i padroni assoluti. Ordinarono alla gente di lasciare le proprie case e di arretrare di 300 metri oltre la linea del porto. Vennero sfollate 200 mila persone che non sapevano dove andare perché non c'era un palazzetto dello sport ad accoglierli, come nelle sciagure odierne.
La guerra stava continuando ed era in casa loro, più efferata di prima, il nemico adesso era visibile, non agiva vigliaccamente dall'alto, era lì davanti a tutti. Questa sarà una delle molle scatenanti di quella insurrezione che coinvolse buona parte dei Napoletani. Questa molla, cinicamente innescata dal Comando alleato, generò la risposta attesa: contro i Tedeschi cominciarono ben presto episodi di rabbia popolare.
Circoscrivere tutto in quattro giornate è certamente suggestivo, ricorda un po' le cinque giornate di Milano e i moti risorgimentali. In realtà è per tutto il mese di settembre che la popolazione e i militari che ormai facevano parte di quella popolazione, reagivano alle violenze dei Tedeschi. Tra il 9 e il 12 settembre iniziarono i primi scontri, individualmente, a piccoli gruppi, sempre in modo spontaneo, i Napoletani cominciarono a raccogliere armi e munizioni abbandonate dai soldati italiani nei depositi. L'ennesimo bando, emesso dal comando tedesco, accentuò il sentimento di insofferenza: «tutti gli uomini abili sono obbligati a presentarsi per il servizio di lavoro obbligatorio», di fatto significava rischiare la deportazione in Germania. Il colonnello Sholl contava di reclutare 30 mila persone, se ne presentarono 150, è tutta Napoli a nascondere i maschi adulti. Mancava l'acqua, mancavano i servizi, i mezzi di trasporto, l'elettricità, il pane.
I Tedeschi infierirono anche sui beni culturali, il 12 settembre incendiarono l'Università degli Studi Federico II, distruggendo un patrimonio immenso come la biblioteca della società reale. La loro furia devastatrice proseguì e raggiunse il culmine il 30 settembre nei pressi di Villa Montesano a San Paolo Bel Sito: tre guastatori tedeschi appiccarono un incendio distruggendo l'archivio che conteneva tutto il patrimonio documentale angioino-aragonese. Fu perpetrato uno dei più gravi danni alla cultura italiana del sud Italia. Ironia della sorte: i documenti più preziosi erano stati trasferiti a San Paolo appena tre mesi prima per salvaguardarli dalle incursioni aeree alleate!
Intanto la rabbia aumentava, la sera del 27 settembre un gruppo di Napoletani assaltava l'armeria di Castel Sant'Elmo e gli scontri il giorno successivo si estesero in tutta la città, a Materdei, a Capodimonte, al Museo Nazionale. Parteciparono da tutti i quartieri persone di ogni età e classe sociale, non c'era un'unica regia. Al liceo Sannazaro si costituì il fronte rivoluzionario, ne pretese la guida il Prof. Antonino Tarsia in Curia, ma aderirono studenti e docenti di estrazione diversa.
Una realtà romanzata vuole che all'insurrezione avessero partecipato molti "scugnizzi". Una perplessità a questo proposito sorge spontanea: un esercito messo in fuga a Napoli dagli "scugnizzi", si trasferisce a Monte Cassino e resiste per quasi un anno alle forze alleate! Come sempre la verità è molto più complessa rispetto alle interpretazioni più suggestive, quella degli scugnizzi è un'esagerazione che presumibilmente origina dalle foto di Robert Capa, inviato di guerra, e di altri fotografi dilettanti napoletani, pubblicate nel novembre del '43.
Immagini ricorrenti di ragazzini con le armi in pugno messe "coreograficamente" nelle loro mani. Così nacque questa leggenda dal sapore risorgimentale, che rispondeva evidentemente a uno stereotipo collaudato. I partecipanti che avevano meno di 20 anni erano in verità meno del 10%, l'asse portante di quella rivolta furono i soldati italiani, sapevano usare le armi. Abbandonati a sé stessi e privi di direttive, misero la loro esperienza al servizio della rivolta.
Ma l'atteggiamento tedesco spinse anche alcuni dei fascisti napoletani a scegliere di rivolgere contro la Wermacht le proprie armi, senza sentirsi per questo rei di tradimento. La difesa del territorio, delle donne e dei giovani della propria città, unita alla fuga del Re e di Badoglio, riuscì a sovvertire una scala di valori solida fino a qualche giorno prima: Salò non era dietro l'angolo!
C'è un altro evento che è il caso di ricordare: gli accordi che Enzo Stimolo prese con il Generale Scholl non riguardavano il contingente dei fascisti napoletani, i Tedeschi uscirono dalla città e prima di allontanarsi definitivamente ripresero a sparare verso il centro abitato, del tutto indifferenti al fatto che le ire degli insorti si sarebbero poi rivolte contro i fascisti napoletani asserragliati sulla torre di Porta Capuana e che solo dopo l'arrivo delle truppe alleate furono definitivamente sconfitti. Nessuno di loro ne uscì vivo.
Il voto monarchico del 2 giugno 1946 può sorprendere solo chi non conosce il capoluogo campano, la sua storia e i suoi abitanti. Nel borgo angioino la componente partigiana comunista era del tutto irrilevante in quegli anni. Napoli, seppure in virtù di circostanze favorevoli, si è liberata da sola, questo per me è un fatto certo. È bene sottolineare tuttavia che i Tedeschi scelsero di sgombrare velocemente il campo perché attesi da altri appuntamenti cui attribuivano una priorità assoluta.
La storia è revisionista per definizione, non può essere statica, non è immutabile, l'unico atteggiamento possibile è la ricerca rigorosa superando il timore di scoprire verità scomode. Una competizione a chi nega di più è davvero poco edificante e auspicabile, oltreché poco rispettosa della memoria di chi ha messo in gioco la propria vita per salvare quella di molti.
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