Sopra: questa volta l'Europa ha sparato tutte le sue
bordate
Sotto: Europa, opportunità o vincoli?
Facciamo un po' di conti: 100 miliardi circa stanziati con un extra deficit di bilancio, 209 miliardi stabiliti dal Recovery Fund, 27 miliardi dal Sure (la cosiddetta cassa integrazione europea). Poi ci sono pronti altri 37 miliardi dal Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), se i signori grillini si degnano di rinunciare a un ennesimo simbolo identitario (di che cosa?).
Complessivamente sono disponibili 373 miliardi di Euro: circa il 20% del nostro Prodotto Interno Lordo. Una cifra enorme che un governo intelligente saprebbe utilizzare con intelligenza.
Occorre ricordare un fatto importante: non sono soldi regalati, piovuti dal cielo. Per la massima parte sono nuovo debito, a tasso più o meno conveniente, ma sono soldi da rendere; essi vanno a incrementare un debito pubblico già di per sé mostruoso (oltre 2.500 miliardi di euro), che prima o poi dovremo pur restituire.
Nasce da qui l'appello di varie parti pubbliche e politiche per un utilizzo intelligente di questa somma, i cui effetti di restituzione graveranno soprattutto sulle generazioni future. L'ultimo appello è stato quello di Mario Draghi, banale nella sua semplicità, ma accolto come una rivelazione dal nostro mondo politico, in particolare da coloro che plaudono ma al momento di prendere decisioni vanno in tutt'altra direzione.
In effetti ciò che ha detto Draghi lo avevano già detto più volte e con toni meno morbidi Berlusconi, Bonomi, Calenda, Cantone, Cottarelli (in ordine alfabetico e mi fermo alla lettera C...): ma siccome non sono Draghi, sono stati bellamente ignorati o sbeffeggiati.
Ma questa è la nostra politica e questo è il nostro sistema mediatico.
Comunque, come detto, un governo intelligente potrebbe utilizzare questa enorme cifra con intelligenza: l'unico punto dolente è che ci vuole intelligenza.
Se osserviamo i 100 miliardi fin qui disponibili come sforamento del nostro bilancio, vediamo che il loro utilizzo è stato improvvisato e maldestro. Ci sono stati solo provvedimenti a pioggia che hanno gratificato categorie diverse di percettori (dai calzolai, agli amministratori pubblici...). I risultati, con triste evidenza, sono davanti a tutti.
La crisi economica e finanziaria che ha investito l'Italia per effetto della pandemia (e già prima di essa non stavamo certamente molto bene) e delle decisioni del governo è una crisi che ha colpito in particolare il lato dell'offerta (il cosiddetto "supply-side") e poi come conseguenza ha generato effetti sul lato della domanda ("demand-side", famiglie, lavoro e consumi).
La reazione del governo si è manifestata sostenendo soprattutto quest'ultimo lato, con una pioggia di provvedimenti prevalentemente a carattere assistenziale, un gioco in difesa di una parte economica, la cui crisi indotta derivava invece dall'altro versante economico.
È stata una scelta non economica e razionale: essa è stata semplicemente partorita da un governo la cui visione e vocazione ideologica è sempre quella di assistere, in cui il risultato atteso non persegue obiettivi di crescita ma un semplice ritorno in termini elettorali.
Gli interessi strutturali del paese (crescita, investimenti, produzione di ricchezza, incentivazione del capitale fisico e umano) sono passati in secondo piano, anzi non sono mai stati presi in considerazione. La mentalità della sinistra al governo rimane sempre quella che chi fa impresa lo fa per arricchirsi alle spalle della collettività.
Si è privilegiato il lato della domanda, cioè i consumi, senza tener conto che il reddito, prima di essere consumato deve essere prodotto. Questa pioggia di soldi è stata utilizzata per interventi a carattere assistenziale di natura corrente (casse integrazione ordinarie, speciali e in deroga, redditi di emergenza, contributi a fondo perduto, garanzie per il rilascio di finanziamenti bancari e altro): 56 micro interventi assistenziali i cui effetti sul Pil sono stati pari a zero.
Certo, la filiera dei monopattini - attività strategica in Italia - avrà avuto grandi benefici, l'immissione ventilata di 70 mila tra insegnanti e personale Ata darà un nuovo impulso alla nostra economia (anche se la crescita demografica va in tutt'altra direzione).
Queste scelte sono certamente un modo per controllare l'economia e fare assumere allo Stato un ruolo sempre più centrale e discriminante.
Mentre tutto questo si decide, il nostro mercato del lavoro vede continue perdite di occupati (nascoste dal cervellotico, antieconomico e immorale blocco dei licenziamenti, che non fa altro che nascondere sotto il tappeto un problema che non può non esplodere), crollo dei nuovi contratti a tempo indeterminato, mentre quelli a tempo determinato erano già stati bloccati in precedenza, utilizzo dell'escamotage dello smart working pensato e attuato a imitazione di altri paesi ma senza razionalità alcuna, disposto soprattutto per evitare contatti e affollamento dei mezzi pubblici (e si pensa di prolungarlo ed estenderlo soprattutto nella funzione pubblica).
Il risultato di tutto ciò è che dopo sei mesi abbiamo solo un'Italia con più debito pubblico.
L'ottica della "demand-side", tipicamente keynesiana, punta tutto sulla domanda aggregata di beni e servizi, partendo dal presupposto che è compito dello Stato intervenire con misure che sostengono la domanda quando questa non sia sufficiente a garantire il massimo impiego. Sono teorie da applicare - se si crede in uno Stato accentratore - in situazioni normali, non certo in situazioni di emergenza.
Un aumento della disponibilità monetaria tesa a incrementare la richiesta di beni e servizi poteva essere una strategia vincente, ma se poi i fornitori di quei beni e servizi - con il lockdown - sono stati costretti a chiudere, a cosa è servita questa scelta?
La scelta opposta - quella del "supply-side" - doveva invece puntare a far ripartire le imprese, per la crescita e gli investimenti.
La leva più importante da utilizzare sarebbe stata semplicemente quella fiscale (quanti si sono sgolati chiedendo un anno di moratoria fiscale?) con una minor tassazione che avrebbe stimolato il risparmio e gli investimenti. Una maggior crescita avrebbe fatto aumentare le entrate fiscali e avrebbe agito positivamente anche sulla domanda.
Un altro punto di intervento di questa strategia sarebbe stata la diminuzione delle regolamentazioni delle attività aziendali e finanziarie. E infine l'aumento della produttività della macchina pubblica.
Una strategia certo più complicata di quella adottata, ma qui torniamo all'intelligenza: possibile che con centinaia di esperti e task-force varie nessuno sia stato in grado di consigliare questo governo sulle corrette scelte da adottare?
I bonus erogati a innumerevoli categorie, l'assistenzialismo, le dilazioni fiscali ridicole, il divieto di licenziamenti e tutti gli altri micro-provvedimenti non hanno fatto altro che spostare in avanti quelle scelte strategiche necessarie per risollevare l'Italia. E tutto ciò con costo altissimo.
Quelle riforme che l'Europa continua a chiedere e che vengono applaudite al termine dei vertici europei, riforme per quali ci sono stati destinati centinaia di miliardi di euro dovranno essere affrontate prima o poi.
La verità è che gli effetti di queste riforme non sono immediati, ma si rivelano solo nel breve o medio periodo. È questo il lato amaro della vicenda.
Ricordando ciò che diceva De Gasperi: la differenza tra un politico e uno statista sta nell'orizzonte temporale delle sue decisioni - le prossime elezioni o le prossime generazioni - e guardando in faccia i rappresentanti di questo governo e le loro scelte politiche (immigrazione, scuola, giustizia) abbiamo ben poco da sperare.
In teoria i circa 200 miliardi del Recovery Fund dovrebbero essere erogati solo a fronte di ben precisi progetti sottoposti al vaglio di commissari europei e questo può farci sperare che non potranno essere regalati a pioggia, ma l'affermazione che sono già state presentate oltre 600 proposte fa pensare a una ripartizione di stampo campanilistico che privilegerà interessi particolari. Intanto la Francia il suo Recovery Plan lo ha già preparato dai primi di settembre. Noi, forse, il prossimo anno. Per ora è una scatola vuota piena di titoli e basta.
Elezioni amministrative e referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, in un paese normale, sarebbero l'occasione per dare un forte segnale politico.
Ma - qualunque sarà il loro risultato - c'è ben poco da essere ottimisti.