EXCALIBUR 113 - aprile 2020
in questo numero

La Sardegna nel Risorgimento

Uomini di Sardegna nella nascita dell'identità italiana

di Claudio Usai
bandiere nei balconi per ribadire la nostra speranza!
Bandiere nei balconi per ribadire la nostra speranza!
La tragica emergenza del coronavirus che sta affliggendo l'Italia ha colpito duramente anche la Sardegna.
E insieme alle numerose vittime che si contano a Sassari, Nuoro, Oristano e Cagliari, possiamo notare che perfino nell'isola l'effetto dell'epidemia è stato la riscoperta del patriottismo e del sentimento di Unità nazionale.
I Sardi che sono stati costretti a chiudersi in casa hanno deciso di uscire nei balconi per cantare l'Inno di Mameli ed esporre il tricolore insieme ai 4 mori. E occorre ribadire ancora una volta che, soprattutto in questo difficile momento, è falso negare la vicinanza storica e culturale dei Sardi con il resto degli Italiani, in particolare nella vicenda risorgimentale.
Per questa ragione intendo ricordare qualche traccia di quel grande entusiasmo, di quelle "grandi speranze" che anche in Sardegna provocò l'epopea di Giuseppe Garibaldi.
Scriveva il giornalista ottocentesco Paolo Rumiz, durante una sua visita nell'isola di Caprera: «Oggi Garibaldi è Caprera, Garibaldi è Sardegna». Come ha scritto lo storico sardo Attilio Mastino: «Certo sono tantissimi i luoghi garibaldini ricordati con una targa commemorativa e tanti mi è capitato di vederne, ma nessuno ha il sapore sardo e internazionale della dimora di Garibaldi a Caprera».
D'altronde è chiaro che anche per molti giovani sardi dell'Ottocento Garibaldi incarnò "l'eroe senza macchia e senza paura"; ciò è testimoniato dalla storia poco conosciuta di Pietro Tamponi, archeologo di Olbia, che fuggì nel 1867 a sedici anni per arruolarsi nelle Camicie Rosse guidate da Menotti, figlio di Garibaldi. In quell'anno l'Eroe dei due mondi cercava d'invadere lo Stato Pontificio, difeso dai Francesi, uscendo sconfitto a Mentana il 25 ottobre del 1867, nel giorno in cui morirono circa 150 eroi garibaldini, tutti giovani ragazzi come Tamponi.
Altro eroe dimenticato fu Antonio Viggiani, caduto nella battaglia di Monterotondo, citato da Garibaldi nelle sue memorie. Lo stesso Tamponi non rinnegò mai la sua gioventù garibaldina, se pensiamo che trent'anni più tardi scriverà di Garibaldi: «Era un leggendario eroe, sempre ben vivo nel cuore di tutti», immaginandolo «quando il fato d'Italia segni l'ora di guidare la patria a nuove pugne, scoperchiando l'avello, ritornerà alla testa dei martiri nostri, come nei tempi eroici, portando lo stendardo nelle prime file; e fra il cruento canto della vittoria, dalla spuma del sangue dei nuovi martiri, si vedrà sorgere al cielo la sua figura, piovente la chioma leonina sulla camicia rossa, gentile come un eroe di Virgilio, bello come un dio, lampeggiante fra l'imperversare della bufera».
Queste parole possono apparire anacronistiche al giorno d'oggi e per una certa cultura radical chic ridicole, lontanissime dal mondo cinico d'oggi, ma dimostrano che in quel lontano passato una generazione di Sardi credette ciecamente nell'ideale dell'Unità d'Italia, nel quale anche la Sardegna avrebbe trovato il suo ruolo. Il ruolo dei Sardi nel Risorgimento si dovette all'adesione al volontariato garibaldino: sin dalla campagna d'America combatterono con il Grande Generale, arruolandosi nella Legione Italiana di Montevideo, Angelo Portoghese di Cagliari, Giovanni Battista Culiolo (uno dei maggiori compagni d'arme di Garibaldi) e Antonio Susini di La Maddalena.
Per la Prima guerra d'indipendenza e la difesa della Repubblica romana, il fratello di Susini, Niccolò, racconterà le vicende della truppa di volontari di Garibaldi che tra il 1848 e il 1849 riporteranno l'unica campagna italiana vittoriosa di quel conflitto. Girolamo Bartolomei e Giacomo Leoni, che diventeranno rispettivamente sindaco di Tempio Pausania e deputato, faranno parte dello Stato Maggiore del Generale.
Senza dimenticare Salvatore Calvia, detto "il garibaldino sassarese". L'impegno dei Sardi non mancò neanche nella Seconda e nella Terza guerra d'indipendenza: da Quarto per la Sicilia partirono in tutto tre Sardi (sembrano pochi, ma pensate alle difficoltà dei Sardi di giungere nel continente, per la contrarietà delle autorità piemontesi nei confronti dell'Eroe dei due mondi): Stefano Efisio Gramignano di Cagliari, Francesco Grandi di Tempio e Angelo Tarantini di La Maddalena. Il secondo di questi seguirà Garibaldi ovunque, fino al suo ritiro a Caprera.
Anche dal punto di vista culturale si ebbe un eccesso patriottico, dimostrato dalla vicenda dei "Falsi" delle Carte d'Arborea, pubblicate da Pietro Martini nel 1863, che inventavano di sana pianta un mito fondativo della Sardegna, alla quale presero parte illustri intellettuali isolani come Salvator Angelo De Castro, Gavino Nino e forse il Canonico Spano. Ma grazie ai "Falsi" possiamo ricostruire una realtà di patrioti sardi che si definivano Italiani (perché lo erano), legati alle vicende risorgimentali: come quella del canonico Gavino Nino, poeta che si oppose alla cessione della Sardegna alla Francia nel 1862 e che difese garibaldini come Giuseppe Dettori, un giovane maestro licenziato perché era partito da Quarto.
Tutte queste storie vengono considerate minori, lontane dal pensiero dei Sardi e degli Italiani contemporanei, ma che in realtà fanno parte a pieno titolo della storia dell'Unità d'Italia. Questa storia è come un mosaico che compone la memoria di un'unità di spirito delle regioni italiane, nella quale tanti ragazzi credettero, per la quale morirono e si sacrificarono, come Goffredo Mameli: l'autore del nostro inno nazionale, il "Canto degli Italiani", ucciso nel 1849 a soli 22 anni mentre difendeva la Repubblica romana di Mazzini e Garibaldi. Era infatti originario di Lanusei in Ogliastra.
La madre di Italo Calvino, uno dei più grandi scrittori italiani, era Eva Mameli, nata a Sassari e parente dell'autore dell'inno. Bisogna inoltre ricordare che Sergio Mattarella è il trentanovesimo Capo dello Stato di quell'entità statuale, oggi chiamata Repubblica Italiana, che fino al 1946 si chiamava Regno d'Italia e che fino al 1861 era il Regno di Sardegna, nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324, difeso per 537 anni dal sangue dei Sardi. Storicamente, poi il Tricolore di Reggio Emilia non è la prima bandiera italiana. La bandiera tricolore italiana fu la seconda bandiera dello Stato sardo, dopo quella dei "Quattro Mori", disegnata e realizzata dall'intendente Bigotti nel 1848 per ordine del Consiglio ministeriale di Re Carlo Alberto, come si può leggere nell'atto del Ministero di Guerra e Marina del Regno di Sardegna. E continuo: i prefetti, funzionari determinanti dello Stato italiano, sono stati istituiti a Cagliari il 4 maggio 1807, con atto ufficiale presente nell'Archivio presso il Palazzo Regio.
Nel 1861 la Capitale del Regno non era Torino, ma Cagliari. La città piemontese divenne capitale provvisoria dello Stato solo dal 1861 al 1865. Poi, durante le celebrazioni del 2011, il comico di sinistra Roberto Benigni al Festival di Sanremo non ha mai nominato i Sardi: nonostante che fino al 17 marzo 1861 tutta l'Italia era Sardegna e tutti gli Italiani erano Sardi. Tutti i plebisciti di annessione del Lombardo-Veneto, della Toscana, di Parma e Modena, delle Romagne e del Regno delle Due Sicilie riguardarono il Regno sardo.
Inoltre, Mazzini e Garibaldi erano in primis sudditi sardi, con passaporto sardo. Giuliano Amato, allora presidente del Comitato per le celebrazioni dell'Unità d'Italia, non versò un euro alla Sardegna, senza sapere che la sedicesima statua sul frontone dell'Altare della Patria a Roma rappresenta la Sardegna, che porta lo scettro e una corona in mano per ricordare che le battaglie d'indipendenza partirono dal Regno Sardo. La corona è generosamente tenuta in mano e non sulla testa, per ricordare che dal Regno di Sardegna nacque il Regno d'Italia.
Come si nota dagli atti di fede patriottica che avvengono oggi in Sardegna durante questa terribile epidemia, tutti gli Italiani hanno delle differenze, ma ciò che le accumuna è la propria storia fatta di periodi difficili come questo, ma anche di indimenticabili vittorie, raggiunte solo insieme.
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