"La strada" di Cormac McCarthy
Tre milioni di litri di petrolio, ogni giorno - a partire dallo scorso 20 aprile - si sono riversati nel Golfo del Messico, e la tecnologia dell'uomo, capace di trivellare a 1.500 metri di profondità, non è stata in grado di bloccare la fuoriuscita di quel liquido nero che stava uccidendo il mare, fino al mese di agosto.
«
È la peggior catastrofe di tutti i tempi», ha sussurrato disperato Barak Obama.
Il pensiero di quella marea puzzolente e nera che stava invadendo le coste meridionali degli Stati Uniti, uccidendo economia e natura, inquinando e spargendo morte tra gli animali e le cose, mi ha fatto pensare alla coltre nera che oggi ricopre quelle coste e forse, un giorno, con la nostra superbia, tutto il mondo.
Mi sono ricordato di un'altra notizia, insignificante per chi non ama il cinema: un distributore ha avuto il coraggio di mettere in circolazione un film, "The Road", tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy.
Il motivo della sua mancata distribuzione - il film, premiato a Venezia, ha ormai qualche anno - è che esso è "troppo deprimente" per incontrare i gusti degli Italiani, avvezzi ormai solo a vicende a lieto fine.
La storia è di quelle in bianco e nero, anzi grigio, come buona parte del film e del libro, dove il colore, anche se esiste, non si vede.
Un uomo e un bambino, un padre e un figlio, spingono un carrello da supermercato, pieno di cianfrusaglie: residui di scatole di cibo, un telo impermeabile e altre cose. Tutto è grigio. Un padre e un figlio, una pistola due proiettili. Una strada i cui bordi sono pieni di erba ammuffita, quasi pietrificata.
Durante il giorno il cielo è grigio piombo, durante la notte è nero, senza stelle, ormai scomparse.
Il mondo, quello che resta, è abitato da bande di disperati e da predoni, e non si riesce a distinguere gli uni dagli altri.
Non c'è storia, se non questo camminare lungo una strada, cercando di sopravvivere, e non c'è futuro.
I due viaggiano verso sud (o verso ovest) cercando un po' di calore.
Nei dialoghi, ridotti all'essenziale - è lo stile della scrittura di McCarthy - il padre racconta al figlio la propria vita: in rapidi
flash-back appare la moglie, suicida per non affrontare gli orrori del mondo dopo l'Apocalisse, e quel giorno, in cui mancò la luce e niente fu più come prima.
Questa solo intuita apocalisse dalle cause non definite - forse solo l'Apocalisse della coscienza - ha raso tutto al suolo e ha ridotto il paesaggio e l'umanità a una uniforme e indistinta distesa di cenere.
Questi due naufraghi attraversano un mondo distrutto, che non ha più luce né colori, lungo una strada asfaltata che attraversa un paesaggio brullo e spoglio, montagne coperte da una neve sporca, sotto una pioggia gelida, con il vento che solleva una infinita cenere che poi ricade su tutto, eterna Auschwitz.
Qui vagano i sopravvissuti dell'Apocalisse, spettri ricoperti di stracci, con i "buoni" che non si distinguono dai "cattivi", che hanno il solo scopo di trovare del cibo, qualunque cosa si possa mangiare, anche altri uomini.
L'uomo e il bambino camminano lungo la strada: la loro meta è l'oceano, verso un sud (oppure ovest) improbabile, per sfuggire all'inverno e al freddo, per vedere il mare che il bambino non conosce e per scoprire se esiste ancora un colore.
Un uomo con troppi ricordi e pochi sogni e un bambino che non ha ricordi e ancora tanta speranza.
Il bambino è indifeso e debole, ha fame, freddo, paura. Ma è l'unico che porta "la luce", perché riesce ancora ad avere pietà per i disperati che incontra, che offre aiuto.
Da quanto camminano padre e figlio? Forse da sempre, almeno il bambino.
Attraverso una natura senza colori, bianca e nera, nera come le tracce degli incendi, bianca come la neve che raggela le ossa e poi grigia come la pioggia; grigia, infine, come il mare che il bambino sperava fosse azzurro, quando finalmente lo raggiungono. Perché il mare è grigio e freddo e non odora più di salmastro. Anch'esso si è perduto nel buio dell'umanità.
Un libro bellissimo e angosciante nel quale resta un piccolo barlume di luce in quel bambino che, novello Prometeo che porta in dono "il fuoco", ha ancora un residuo di umanità e di speranza, ultima luce di vita in un mondo morto.
Quello che è successo nel Golfo del Messico, la petroliera cinese incastrata nella barriera corallina dell'Australia, sono la coltre viscida e nera della nostra avidità che continua a ricoprire tutto: sono emblemi della nostra presunzione, novelli Faust che adorano la scienza e la antepongono a tutto, che non vogliono avere alcun limite alla loto bramosia di "avere".
Quel liquido nero, indifferente ai nostri sforzi, ci ammonisce che siamo piccoli, avidi e presuntuosi.