EXCALIBUR 61 - settembre 2010
in questo numero

Il concorso esterno in associazione mafiosa

Analisi di un reato controverso

di Sonia Atzei
Sopra: mafia, una cancrena che sfida ogni giorno l'essenza dello Stato
Sotto: non solo mito, ma vita quotidiana senza speranza
La configurabilità del concorso esterno nei reati associativi ha da sempre rappresentato terreno di ampi e complessi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, nel corso dei quali sono emerse posizioni talvolta diametralmente opposte.
Nelle loro accezioni più estreme, gli orientamenti espressi dagli studiosi e dagli operatori del diritto sono arrivati a negare la possibilità di ammettere il concorso eventuale nei reati associativi - assimilando le condotte dei concorrenti esterni a quelle degli "affiliati", interni all'associazione - ovvero ad ammetterlo entro confini piuttosto ampi, che avvicinano, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, i soggetti interni alla societas sceleris a quelli che apportano un intervento adesivo esterno.
La tematica del concorso esterno nel reato associativo riveste particolare importanza in riferimento al concorso esterno in associazione di stampo mafioso, vista la particolare vastità e rilevanza del fenomeno ai nostri tempi.
La norma di riferimento in tema di reati associativi è rappresentata dall'art. 416 c.p. (associazione per delinquere), che delinea una tipologia delittuosa necessariamente plurisoggettiva, richiedendosi, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la presenza di un vincolo associativo tra tre o più soggetti finalizzato alla commissione di più delitti.
La dottrina maggioritaria, alla luce del dato testuale emergente dall'art. 416 c.p., ha sempre ritenuto che a qualificare una determinata condotta come "partecipativa interna e necessaria", distinta da quella "concorrente esterna ed eventuale", contribuissero due elementi qualificanti: il primo, oggettivo, individuabile nel requisito della permanenza nella illicita societas, ossia nello stabile inquadramento del soggetto agente nell'organizzazione criminale, circostanza desumibile da indici fattuali esteriori e oggettivamente accertabili; il secondo, meno agevole a verificarsi, ravvisabile nell'elemento psichico che sorregge la condotta del soggetto partecipe dell'associazione.
A una definizione positiva delle condotte in correità esterna ha contribuito in gran parte la produzione giurisprudenziale, che attraverso una complessa evoluzione, ha effettuato pregevoli tentativi dogmatici di inquadramento della figura del concorrente esterno, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Una parte della dottrina non ha mancato di rilevare, infatti, che il tentativo dogmatico effettuato dalla Corte di Cassazione, contrariamente agli intenti chiarificatori, ha sortito ulteriori profili di incertezza intorno alla figura del concorrente esterno, soprattutto in relazione alla figura dell'affiliato interno.
Proprio sul versante del dolo diretto delineato dai giudici di Piazza Cavour, sembrano affiorare le maggiori perplessità, legate, ancora una volta, alla vexata quaestio della distinzione tra soggetti intranei e soggetti extranei all'associazione criminosa: i contorni dell'elemento soggettivo richiesto ai fini della chiamata in correità esterna, invece di contribuire a tracciare un contegno psichico liminare a quello del partecipe interno, si intrecciano con quest'ultimo, creando una sorta di sovrapposizione tra la rappresentazione e volizione del "concorrente interno necessario" e quella del "concorrente esterno eventuale".
Si vuol dire, in altre parole, che l'aver elevato la condivisione psicologica della realizzazione (anche parziale) del programma criminoso a requisito essenziale della condotta del concorrente esterno, non ha fatto altro che confondere i due piani, quello della partecipazione interna, anch'essa sorretta dalla condivisione del programma criminoso, e quello del concorso esterno.
La tendenziale elisione delle differenze tra affiliati e concorrenti, sul piano rappresentativo e volitivo della condotta penalmente rilevante, inferisce una maggiore importanza alla valutazione dell'elemento oggettivo, che sembra esser rimasto unico discrimen tra associati e correi esterni.
Chiara la differenza, sotto il profilo oggettivo, tra partecipe necessario e concorrente eventuale: «si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa, non solo "è" ma "fa parte" della stessa».
Sul piano probatorio, poi, rilevano, ai fini della partecipazione, «tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di indizi gravi e precisi, oltre a molteplici, variegati e però significativi "facta concludentia"».
Queste, invece, le conclusioni sull'accertamento dell'elemento soggettivo del concorrente esterno: «La particolare struttura della fattispecie concorsuale comporta infine, quale essenziale requisito, che il dolo del concorrente esterno investa, nei momenti della rappresentazione e della volizione, sia tutti gli elementi essenziali della figura criminosa tipica sia il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto, con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte altrui nella produzione dell'evento lesivo del "medesimo reato"».
In dottrina è stato esattamente osservato che l'apporto esterno, per potere acquistare la dimensione del concorso nell'associazione di tipo mafioso, deve essere tale da influire sulla realtà associativa contribuendo al mantenimento della sua esistenza o al suo consolidamento. Pertanto non ogni aiuto prestato ai singoli associati o alla stessa associazione può qualificarsi come concorso nel reato associativo.
Sul piano dell'elemento soggettivo, occorre quindi che il soggetto agisca con la coscienza e la volontà (almeno in termini di dolo eventuale) di apportare all'associazione di tipo mafioso un contributo causalmente rilevante per la conservazione o il rafforzamento della sua organizzazione.
Qualora, invece, il soggetto non abbia la consapevolezza di sostenere, con la sua condotta, il sodalizio criminale (anche in un suo particolare settore), e agisca esclusivamente con la volontà di assistere il singolo partecipante oppure di aiutarlo a eludere le indagini o le ricerche dell'autorità, si resta fuori dell'area di operatività dell'ipotesi delittuosa del concorso eventuale in associazione di tipo mafioso, e possono trovare applicazione, se ne ricorrono gli estremi, le fattispecie incriminatrici di carattere sussidiario previste dall'art. 418 c.p. (assistenza agli associati) e dall'art. 378 c.p. (favoreggiamento personale).
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