Tanto rumore per nulla
Gli attacchi al Cavaliere non vanno ancora a segno
di Angelo Abis
Strane queste elezioni regionali.
Da sempre considerate in tutta Europa roba di ordinaria amministrazione, in genere ininfluenti su quella che è la politica nazionale di uno stato, sono diventate in Italia contesa epocale, ultima spiaggia della democrazia, guerra mediatica all'ultimo sangue tra conduttori televisivi e il tiranno. E non è servito a niente neppure il risultato delle elezioni regionali francesi: votanti al di sotto del 50%, maggioranza annientata, opposizioni ai massimi storici. Eppure Sarkozy ha continuato a governare come prima. Da noi, con un tasso di votanti più o meno uguale a quello delle Europee del 2009, si è gridato alla disaffezione del popolo per la politica e al discredito delle istituzioni, come se questo atteggiamento degli Italiani, giusto o sbagliato che sia, non fosse in auge dal tempo dei tempi.
Dopodichè gli Italiani, fregandosene delle intercettazioni mirate dei magistrati, di "Annozero" e di Santoro, del popolo viola, degli incazzati Aquilani con la carriola, del Bertolaso sexy, hanno votato nell'unico modo consono alle persone con un minimo di razionalità: premiando chi ha amministrato decentemente e cacciando chi non lo ha fatto.
Dunque, tanto rumore per nulla? Non proprio! Nel mese di marzo un combinato micidiale di arresti, incriminazioni, intercettazioni telefoniche, attacchi mediatici sopra le righe, sembravano aver messo in grosse difficoltà il governo e il suo leader. Se a questo poi aggiungiamo una maggior presa di distanza di Fini dalla politica del centrodestra, non era poi del tutto peregrino pensare che un verdetto elettorale negativo, ancorché di carattere amministrativo, avrebbe inevitabilmente costretto il cavaliere a farsi da parte.
Sta di fatto che, a poco più di due settimane dalle elezioni, il Cavaliere si trova di fronte a un'opinione pubblica sconcertata e disgustata, un partito, il Pdl, in panne e allo sbando, la magistratura e il potere mediatico che invocano implicitamente, ormai senza un minimo di ritegno, la cacciata del tiranno. Dopodichè capisce che, se vuole ribaltare la situazione, ha una sola carta da giocare: quella del caimano, o, se preferite, quella del rivoluzionario. Per prima cosa, contro il parere del suo stesso partito, convoca a Roma il "suo" popolo, quello, per intenderci, che considera i magistrati di sinistra dei farabutti, Santoro uno da cacciare via dalla televisione, Fini uno che è meglio perderlo che averlo.
Ora, un presidente del consiglio che convoca la piazza e l'arringa da par suo, provoca un certo sgomento tra avversari e finti amici. E soprattutto mostra all'opinione pubblica, che ha potuto comparare le due piazze, quella di sinistra del 13 marzo e quella di destra del 20, chi è il più forte e chi, malgrado tutto, ha ancora in mano il bastone del comando di questo paese.
Tutto quello che ne è scaturito, successo della Lega compreso, è ordinaria amministrazione politica. Né ci si illuda che il cavaliere sia appagato dalla sconfitta della sinistra. Troppe idee e troppi progetti ambiziosi gli frullano in testa. Aspettiamoci di tutto. Una cosa è certa: non ci annoieremo.