Le degenerazioni della democrazia
Da Platone ai giorni nostri, le facce non sempre pulite delle democrazie...
di Andrea Deiana
Già nei primi decenni del secolo scorso, uno dei massimi teorici della politica, il Francese de Toqueville, avendo avuto modo di studiare il nascente sistema politico americano basato sulla democrazia rappresentativa, notava i problemi a cui tale sistema si prestava.
In particolare il riferimento era allo strapotere della maggioranza, che potrebbe agire in maniera dispotica senza rispetto per le istanze della minoranza, che pure rappresentano le opinioni di una importante fetta di elettori, nonché al rischio di una politicizzazione della giustizia, organo fondamentale per il rispetto delle garanzie costituzionali, che, come teorizzato per primo da Locke, costituisce il terzo potere, affiancandosi a quello legislativo e esecutivo.
Quando infine parliamo di democrazia, lo facciamo alle volte con superficialità, senza tener conto di come il termine si sia evoluto nel corso dei secoli e di come il corso della storia abbia influito nel modificarne il contenuto.
Già Platone aveva del resto teorizzato la degenerazione della democrazia intesa come governo del popolo, e l'aveva denominata "oclocrazia", intendendo tale degenerazione come trasformazione in una forma corrotta dello Stato, nella quale prevalgono gli interessi privati a quelli collettivi.
È questo il punto che distingue un buon governo da uno cattivo, come anche Machiavelli riprese nel Cinquecento, sia esso una monarchia, un'oligarchia oppure una democrazia.
Riferendo il discorso in modo più specifico alla realtà del nostro paese, sappiamo che la scelta del 1946 ha portato a una forma repubblicana di tipo rappresentativo all'italiana, con una prevalenza schiacciante dei partiti nella dinamica politica, ben diversamente da quanto espresso dalle democrazie rappresentative anglosassoni di ben più antica tradizione.
Il risultato è stato uno strapotere dei partiti che dal 1948 al 1992 hanno condotto l'Italia sulla base di alleanze dettate non dalla scelta elettorale, ma dalle dinamiche interne agli stessi partiti, determinate dalle correnti vincitrici nei vari congressi nazionali.
Ciò valse in particolar modo per partiti come la D.C. e il P.S.I., fino alla ben nota svolta del 1992 con tangentopoli e il crollo del sistema partitocratico.
Inoltre c'è da notare come il voto degli Italiani non sia mai stato basato su un programma ma su un'ideologia, e in particolar modo legato non a una funzione attiva, bensì passiva (l'anticomunismo) appoggiata dagli ambienti cattolici e liberali.
Questo mio breve excursus storico non vuole essere il pretesto per formulare alcun giudizio di merito, ma vuole solo essere lo spunto per fare ragionare il gentile lettore sull'attuale momento storico, denso di scontri, disunioni e linee di condotta politica non sempre coerenti sia in campo interno che in quello internazionale, che segue una sua continuità rintracciabile già nelle lotte per il Risorgimento italiano e nel processo che portò nel 1861 all'Unità d'Italia.