EXCALIBUR 40 - gennaio/febbraio 2003
in questo numero

L'Europa a due velocità

Le ingiuste pretese di Francia e Germania contro le prospettive di sviluppo del resto d'Europa

di Ernesto Curreli
Ancora una volta l'Europa dimostra di essere sotto il controllo politico ed economico dei Paesi centrali del Vecchio Continente. La Francia e, soprattutto, la Germania influenzano tuttora la politica dell'U.E., e ogniqualvolta se ne presenti l'occasione criticano l'operato degli altri partners europei, specie se si tratta dell'Italia o degli altri paesi con economia competitiva. E ciò malgrado la Francia e la Germania non stiano attraversando un momento economicamente felice.
La Germania, ad esempio, ha grosse difficoltà nei conti di bilancio: il debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo viene stimato nel 2002 intorno al 3,75%, mentre per il 2003 la stima è del 3,00%. Nel Bundestag, il 3 dicembre 2002, è scoppiata una vivace polemica tra gli esponenti dell'opposizione C.D.U. e i socialdemocratici di Schröder, accusati di aver taciuto all'opinione pubblica l'incipiente dissesto finanziario. Ma la tentazione eurocentrica di mettere sotto accusa l'Italia è troppo forte e la Bundesbank si sente in diritto di muovere continui rilievi al nostro governo, accusato falsamente di aver fallito gli obiettivi stabiliti dal Patto di Stabilità europeo, che proprio Germania e Francia non riescono a centrare. Le scorse settimane, infatti, sono stati diffusi i dati del debito pubblico italiano, che dimostrano uno stato di salute del nostro Paese sicuramente migliore di quello dei nostri critici: il nostro indebitamento netto è del 2,4% rispetto al Pil (dati di Bruxelles) mentre Tremonti ha assicurato ai membri dell'Ecofin che il governo riuscirà a portarlo al 2,1% in tempi brevissimi.
È un risultato davvero formidabile per un governo che ha ereditato un buco di bilancio stimato intorno ai sessantamila miliardi di lire. A novembre 2002, addirittura, il saldo delle entrate statali rispetto alle uscite è stato positivo per 1,8 miliardi di euro, mentre al 31 dicembre il fabbisogno statale si è attestato intorno ai 32,6 miliardi di euro. Il fabbisogno è ancora notevole, ma è certamente migliore di quello dei nostri censori. Soprattutto se si considera che è stato raggiunto in una fase di forte stasi, quando tutta l'economia occidentale registra una battuta d'arresto. Basti pensare a ciò che accade negli U.S.A., che nel mese di novembre hanno rilevato più di 4 milioni di disoccupati, inducendo Bush a sostituire in tronco lo staff presidenziale che sceglie le strategie economiche americane.
Adesso è necessario che gli altri Paesi europei non cadano nella trappola eurocentrica franco-germanica, che invoca vincoli più rigidi per il conseguimento del Patto di Stabilità. Si tenta infatti di introdurre parametri economici molto opinabili, che colpirebbero prima di tutto gli investimenti statali nelle infrastrutture e nelle politiche di welfare. Le manovre di riduzione della spesa pubblica possono essere adottate facilmente da Stati che hanno già portato a compimento grandi investimenti strutturali di modernizzazione nelle opere pubbliche (Francia, Germania, Inghilterra) e che vantano una avanzata rete di assistenza in favore delle categorie più deboli (Paesi scandinavi, Germania, Francia), ma sono rischiose per Paesi in crescita rapida come la Spagna o il Portogallo, né possono essere accettate dall'Italia, che da circa dieci anni, dopo tangentopoli, non mette in cantiere grandi opere pubbliche né può permettersi di ridurre ancora il fragile sistema di welfare che dal periodo del fascismo e dei governi centristi degli anni sessanta non sono stati più migliorati.
L'adozione di criteri più rigidi per il contenimento della spesa pubblica, perciò, potrebbe significare la definitiva accettazione di un'Europa che marcia a due velocità: i Paesi più avvantaggiati, quali la Francia e la Germania, potrebbero a questo punto investire in riforme economiche che le mettano al riparo dalla forte concorrenza statunitense e dai nuovi partners dell'Est, la cui agricoltura e la cui industria manifatturiera sono temute soprattutto dalla Germania, dall'Olanda e dalla Francia, mentre l'Italia e gli altri Paesi che viaggiano più lentamente si vedrebbero costretti a interventi di puro tamponamento, pregiudicando lo sviluppo. Non è un mistero per nessuno che uno dei fattori determinanti del 'miracolo' economico italiano degli anni cinquanta e sessanta sia stata la politica delle spesa nelle opere pubbliche, il cui effetto trainante si è purtroppo esaurito proprio quando l'Italia ha dovuto fare i conti con l'Europa. Quell'Europa dei mercanti che ci guarda sempre con un po' di fastidio.
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