Excalibur rosso

L'Iraq e il valzer delle ipocrisie

Le guerre si combattono per interesse, non per ristabilire la giustizia nel mondo

di Angelo Abis
Quando esplode qualche grosso conflitto internazionale, in Italia si creano, soprattutto se il conflitto pare non coinvolgerci più di tanto, due accese e opposte "tifoserie", pro o contro i singoli contendenti. Ovviamente quello che è "buono" per gli uni è "cattivo" per gli altri e viceversa.
Come da copione, la scena si ripropone per il conflitto Saddam-Bush: l'uno satrapo sanguinario, dittatore, emulo di Hitler, ecc.; l'altro sceriffo arrogante, "superimperialista", assetato di petrolio come Dracula di sangue.
Queste invece, nell'ordine, le motivazioni di coloro che ritengono "buoni" Saddam e Bush: laico, vittima dell'imperialismo americano e dell'odio verso Israele il primo; democratico, paladino della lotta al terrorismo, capo della nazione che ci ha liberato dal nazismo (non dicono dal fascismo giusto per non mettere in imbarazzo Fini) il secondo.
Il tutto è ovviamente condito con una valanga di argomentazioni, disquisizioni storiche, giuridiche ed etiche, pro o contro gli interessati, che non fanno una grinza. Come non fa una grinza che tutti sono contro la guerra, per la pace.
Peccato però che nessuno dei due schieramenti tenga conto di alcune piccole regole di scienza politica:
1) uno Stato non fa mai la guerra per sport, ma solo quando, a torto o a ragione, ritiene siano in gioco propri interessi vitali;
2) le decisioni degli Stati, in politica estera, non derivano mai da ragioni ideologiche, giuridiche, umanitarie o altruistiche, bensì scaturiscono dall'esigenza di tutelare i propri interessi;
3) non esistono capi di governo o di stato lacchè, servi o quisling, l'apparente sudditanza o soggezione che essi mostrano verso alcune potenze è dettata unicamente dalla valutazione realistica della potenza altrui.
Se tenessimo conto di queste banali considerazioni "scientifiche", scopriremmo forse che a Bush non fa né caldo né freddo che Saddam sia despota e sanguinario; che ai Francesi non interessa la pace, bensì la salvaguardia delle ricchissime concessioni di petrolio che hanno in Iraq; che l'Ulivo può permettersi il lusso di essere molto moderatamente "antiamericano" solo perché non è al governo: se fosse al governo sarebbe molto più "filoamericano" di Berlusconi. D'Alema a suo tempo fece bombardare la Serbia senza una decisione dell'O.N.U. e senza alcuna comunicazione al Parlamento, non perché fosse un opportunista o, peggio, un lacchè degli Americani, ma perché ciò, in quel momento, ubbidiva agli interessi strategici dell'Italia.
Berlusconi si muove, e si muove bene, nella stessa ottica, avendo cioè presenti gli interessi strategici attuali dell'Italia, e cioè l'alleanza con gli Stati Uniti, l'asse italo-anglo-spagnolo, che in sede europea ci ha permesso di svincolarci dall'egemonia franco-tedesca, il rapporto privilegiato con la Russia di Putin.
Tutto il resto sono chiacchiere, propaganda o marce per la pace. Si dà il caso, infatti, da che mondo è mondo, che la pace si ha solo quando i due contendenti raggiungono un compromesso o quando uno dei due viene sconfitto... con buona pace dei marciatori di tutto il globo.