EXCALIBUR 19 - maggio/giugno 2000
in questo numero

Intervista a Pierluigi Farci

Il Segretario Nazionale del Si.Di.Pe., Sindacato Nazionale dei Direttori Penitenziari: aspettiamoci una bella... amnistia!

a cura di Roberto Aledda
1. A un mese dagli arresti per i fatti di Sassari, com'è la situazione nelle carceri sarde?
È migliorata ma rimane tesa, perché alle polemiche "sassaresi" che hanno avuto risonanza nazionale, si è aggiunto il dibattito sull'amnistia. Ora non c'è nulla che possa destabilizzare le carceri come un annuncio di amnistia, perché crea aspettative misurate nel "tempo penitenziario".

2. Cioé?
Il tempo per i detenuti passa in maniera più lenta, i giorni diventano settimane, le settimane mesi e così via. Quindi a questo punto, dopo le dichiarazioni dei vescovi e dei politici, l'amnistia va concessa oppure negata, ma occorre il coraggio di prendere una decisione subito, comunque prima dell'Estate.

3. Cosa si risolve con l'amnistia?
In passato, fino al 1989, le amnistie (oltre quaranta dal dopoguerra) sono state usate per decongestionare tribunali e carceri. Da sola l'amnistia non risolve nulla, può essere però un momento di riflessione per rivedere il sistema penale e penitenziario.
Occorre differenziare al massimo le risposte, da un lato rendendo più severe ed effettive le pene per i reati "violenti", per intenderci quelli dai quali i cittadini chiedono protezione; d'altro canto occorre potenziare e ripensare tutte le misure alternative alla detenzione anche con un approccio diverso e con l'utilizzo delle risorse degli Enti locali.


4. La legge "Simeone-Saraceni" (dal nome dei deputati promotori, uno di A.N., l'altro Verde), la cosiddetta "legge svuotacarceri", ha risolto qualcosa?
Non si tratta di svuotare le carceri: in Italia abbiamo il rapporto popolazione-detenuti più basso d'Europa, pur non avendo certamente il tasso di criminalità minore; si tratta di rendere più serie le pene, siano esse detentive o alternative.
Penso in particolare al controllo per semilibertà, detenzione domiciliare, affidamento ai servizi sociali, che dovrebbe essere delegato alla Polizia penitenziaria; a una più severa valutazione della recidiva, alla differenziazione degli istituti penitenziari con livelli crescenti di sicurezza.
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