Ci sono libri la cui avventura è a volte avvincente quanto il contenuto.
La pubblicazione del testo inedito di uno scrittore importante come Céline - avvenuta a oltre 60 anni dalla sua morte - ha le tinte di un romanzo giallo.
La storia per Céline ha inizio nel marzo del 1944: nel suo stesso palazzo a Montmartre una cellula di resistenti si riunisce per discutere se giustiziarlo o lasciarlo ancora in vita in nome della letteratura. La situazione è particolarmente critica per Céline, accusato di collaborazionismo con i nazisti.
La fuga è la sola speranza di vita e lo scrittore, con la moglie Lucette e il gatto Bébert, parte per la Germania. Il crollo del nazismo e la sconfitta militare del Reich saranno raccontati nei tre romanzi finali che costituiscono la "Trilogia del Nord".
Nella improvvisa fuga da Parigi restano nel suo alloggio ben 5.324 fogli, tutto il materiale che in parte doveva ancora rielaborare e che costituiva tutto il suo patrimonio.
Se ne rammaricherà notevolmente, ma la speranza di recuperare quel suo tesoro rimarrà vana.
Cosa sia realmente avvenuto nel suo appartamento non è dato saperlo: altre famiglie vi si insediano, forse qualcuno vi si è recato dopo la sua fuga o forse è la resistenza francese a sequestrare il tutto. Nessuno sa niente.
Nel novembre 2019 muore Lucette a 107 anni e Jean-Pierre Thibaudat, critico letterario di "Libération", fa sapere di aver ricevuto da una fonte anonima del materiale di Cèline e lo consegna agli aventi diritto.
L'editore di Céline, Gallimard, mette all'opera un esercito di esperti, biografi, critici, filologi e calligrafi: decifrare la scrittura di Céline e mettere in ordina quella miriade di fogli e appunti non è un'impresa facile.
Due anni di lavoro e vede la luce il primo frutto di questa fatica: "Guerra", appena uscito in Italia da Adelphi nella traduzione impeccabile (e mostruosamente ardua) di Ottavio Fatica, che già aveva lavorato sulla tesi di Céline dedicata al Dottor Semmelweis, l'inascoltato scopritore della febbre puerperale, finito emarginato e nel quale, in qualche misura, anche Cèline si identifica.
Céline è un autore che è obbligatorio leggere, ma che non si può certo recensire, soprattutto quando parla della guerra.
La sua prosa è straordinaria per la capacità che ha di raccontare uno spezzone di vita esattamente come si è sviluppato (non importa se nella realtà o nella sua mente), senza elucubrazioni di tipo esistenziale, senza omissioni, spietato, cinico e sadico nelle sue riflessioni.
L'apertura di "Guerra" immerge il lettore nelle stesse allucinanti atmosfere di "Viaggio al termine della notte", con lo stesso esuberante sconvolgimento sintattico e lessicale. «
Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l'ho chiusa nella testa».
"Guerra" ha una forte connotazione autobiografica, con il protagonista che si chiama appunto Ferdinand e con una varietà di personaggi, certo frutto di fantasia, ma incastonati in una vicenda reale.
Céline ha vent'anni quando il 27 ottobre 1914 viene ferito in azione al braccio destro, alla testa e all'orecchio sinistro a Poelkapelle nella valle del Lys. Rimane a terra, pieno di sangue, circondato dai commilitoni morti.
Parte da qui la sua avventurosa ricerca di un posto dove essere curato mentre le cannonate continuano incessanti.
Con l'aiuto di un soldato britannico recupera le linee amiche e arriva in un improvvisato ospedale militare. La vicenda si colora di assurdi, improbabili e indimenticabili personaggi.
Dalla capo infermiera, l'Espinasse, che ha un modo personale e poco rispondente all'etica professionale per alleviare le sofferenze dei feriti, al chirurgo Méconille che non vede l'ora di operare Ferdinand che lo teme come la morte.
Fa amicizia con Cascade (nella prima parte del romanzo si chiama Bébert), marito e protettore di una prostituta, Angèle, che poi lo denuncia per essersi sparato a un piede per sfuggire al combattimento e che verrà poi fucilato. Anche Ferdinand teme di essere accusato di diserzione e invece arriva un encomio seguito da una medaglia, come è accaduto nella vita reale.
Da disertore a eroe di guerra e arriveranno anche i detestati genitori a festeggiare e il pranzo con Harnache, ricco agente assicurativo della stessa compagnia per la quale lavora il padre è il pretesto per pagine grottesche e dissacranti.
Vicende dal rimo sobbalzante che si concludono con la sua partenza per Londra, che, probabilmente, saranno raccontate nel suo prossimo inedito.
"Guerra" ha la potenza dello stile di Céline e il lettore viene completamente coinvolto e portato a ignorare i vuoti e le incongruenze della trama di un'opera che era ancora in fase di creazione. Siamo comunque proiettati all'interno di uno scenario di devastazione e di morte, in quell'agosto 1914, sul fronte della Mosa.
Chi ha letto il "Viaggio" sa che per Céline la guerra è una «
infernale imbecillità»: qui essa resta nello sfondo, con la lontana eco dell'artiglieria che si avvicina e si allontana, con il via vai dei feriti, dei moribondi e dei morti, vittime anonime di quella imbecillità.
Céline racconta questo tragico dramma con il consueto stile che oscilla tra il comico e il ridicolo, con un linguaggio personale pieno di neologismi, sconcezze, sgrammaticature.
Ma capace di esprimere una visione paradossale dell'umanità, vista con cinismo e con tenerezza, senza indulgenza per nessuno, neanche per sé stesso, anche lui, come uomo, pieno di egoismo, con i suoi vizi e appetiti, immerso nella sua meschinità e nella sua accidia: ogni espediente pur di non affondare e continuare a vivere.
Anche in questo frammento riconosciamo Céline, scrittore difficile che molti preferiscono dimenticare, ma capace, con la sua scrittura, di rendere illeggibili gli altri scrittori.
Céline è sempre stato associato alla destra per le sue note simpatie con il regime di Vichy e per i suoi scritti contro gli Ebrei e i comunisti: ma forse, come i più obiettivi critici affermano, egli era in realtà un anarchico pacifista, un feroce critico dell'uomo moderno e occidentale e, sempre, un testimone della sua epoca.
E un inarrivabile maestro di scrittura.
«
Non ci credevo molto nelle nuove giornate. A forza di svegliarmi venti/trenta volte per i ronzii durante la notte, alla mattina ero più stanco del giorno prima. Una stanchezza senza nome, quella che viene dall'angoscia, tu lo sai quello che ti ci vorrebbe a tornare a essere un uomo come tutti gli altri: dormire. Sei troppo stanco anche per avere l'impulso di ammazzarti. Tutto è fatica&187;.