EXCALIBUR 154 - maggio 2023
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Il Palazzo Civico

il Palazzo Civico
Sopra: il Palazzo Civico
Sotto: Palazzo Civico, le due torri
Palazzo Civico, le due torri
In tale ambito si colloca la costruzione (e la decorazione) del nuovo Palazzo Civico(7) che costituisce una equilibrata sintesi di liberty e neogotico (avuto riguardo, in particolare, al gotico di tradizione catalana e anglosassone), di apertura verso la modernità e, al tempo stesso, di recupero della tradizione storica. La prima pietra dell'edificio venne posata, il 14 aprile 1899, dai sovrani Umberto e Margherita alla presenza delle massime autorità cittadine.
Il progetto, benché firmato dal solo Ingegnere Crescentino Caselli(8), era il frutto della collaborazione con l'Architetto Annibale Rigotti, suo allievo: si trattava di due professionisti «assai diversi per indole ed essenza»(9). Il Caselli, tutto serrato dalla speculazione scientifica e dalla rigorosa semplicità costruttiva, e il Rigotti, teso alla ricerca della forma e dell'apparenza, senza eccessivi legami di procedimenti tecnici e soprattutto al di fuori di ogni preconcetto di scuola e di maniera.
E va detto che fra i due fu subito guerra legale in quanto Rigotti non esitò a promuovere, davanti al Tribunale di Torino, una causa civile contro Caselli per ottenere il riconoscimento della paternità dell'opera dell'ingegno: causa che si concluse, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio redatta dall'Architetto Ernesto Basile, il 9 dicembre 1903, con la sentenza della Corte d'Appello di Torino nella sostanza favorevole, soprattutto per quanto concerne gli apparati architettonici e decorativi, alle ragioni del giovane Rigotti, al quale fu quindi attribuito il 50% del premio (di complessive lire 6.000) che il bando assegnava al vincitore(10). Il progetto, sia pure attraverso il recupero e la reinterpretazione della tradizione, costituisce una rottura verso il passato e un'apertura alla moderna cultura italiana ed europea dell'epoca. L'Ingegner Filippo Vivanet, nella "Relazione della Commissione sul concorso indetto dall'Amministrazione Civica di Cagliari tra gli ingegneri e gli architetti d'Italia per un progetto di Palazzo Comunale" ha colto lo spirito problematico che animava il progettista e ne ha definito, con estrema efficacia, le novità: «L'autore di questo progetto ha voluto affrontare il problema, tanto discusso, dello stile moderno, ossia di uno stile che, non rispondendo alle immobili formule di uno qualsiasi degli stili del passato, si adatti ai bisogni di un edificio moderno e determini con le sue forme d'attualità il tempo vero della sua costruzione». L'edificio di cui si parla, dunque, «rivela l'opera di un artista ch'esce dal convenzionale e che, nell'aprirsi un'altra via, evita di cadere nel deforme oppur nello strano».
L'opera è del tutto particolare e "inedita", costituendo punto d'incontro e momento di equilibrata sintesi tra diversi linguaggi architettonici che vanno dal neogotico al nascente liberty: un esempio di eclettismo fine secolo che fonde diversi stili. La costruzione si articola intorno al cortile da cui, attraverso la grande apertura d'ingresso, si proietta nel porticato esterno per poi estendersi sino al complesso della palazzata della Via Roma e alle nuove direttrici dello sviluppo urbano. Il rapporto dialettico tra l'edificio (simbolo dell'Amministrazione) e l'ambiente circostante (vale a dire la Città) si realizza anche attraverso i grandi finestroni che, col gioco dei pieni e dei vuoti, alleggeriscono la muratura e mettono in comunicazione "interno" ed "esterno", "Amministrazione" e "Città".
Una delle particolarità dell'opera è costituita dalle due torri a base ottagonale che svettano sul prospetto principale contribuendo, col loro slancio verticale, ad "alleggerire" l'architettura. Sicuramente ricalcano moduli che si rifanno a un gotico europeo (catalano o anglosassone). Ma qui il recupero della tradizione avviene attraverso l'utilizzo di un linguaggio nuovo: il liberty. Il prospetto è ripartito da semipilastri poligonali che inquadrano l'ammezzato e i due piani alti; l'ampio finestrone centrale è affiancato da aperture minori ad arco ribassato divise da pilastrini polilobati. L'edificio si completa con un coronamento orizzontale a balaustra traforata, che nasconde la copertura a tetto e protegge il terrazzo.
Anche i finestroni presentano arcature ribassate e sono percorsi, in senso orizzontale, da un'intera "zona" marcapiano mozza e alleggerita da intagli geometrizzanti. Di notevole interesse anche i motivi dei ferri battuti di alcune finestre che evidenziano affinità stilistiche con i prodotti dell'artigianato che si veniva affermando a livello europeo quale superamento di un florealismo deteriore e ripetitivo. La volontà di integrare "funzione" e "decorazione", che caratterizza il liberty, la si coglie anche nei partiti delle finestre. Le lunette che danno sull'ammezzato concludono, con l'arco ribassato, il movimento iniziato nelle aperture del porticato e, al tempo stesso, si pongono come elementi autonomi che, con i vuoti e gli ornati, alleggeriscono la zona destinata al passaggio pedonale.
Inoltre, la rigorosa corrispondenza delle aperture dei piani superiori con quelle dell'ammezzato e del portico ricompone, ancorché in chiave moderna, uno schema classico, ordinato e simmetrico. I rettangoli ad andamento verticale - che comprendono l'apertura del portico, la lunetta dell'ammezzato e la finestra tonda (collocata in un riquadro rettangolare, tagliata da due pilastrini e inghirlandata da fregi floreali) - e i finestroni dei due piani superiori si affiancano, alternandosi in ampiezza variabile ma costante nel rapporto, ai pilastri a sezione poligonale sino alla sommità, terminando in cuspidi troncopiramidali sporgenti dalla linea estrema del parapetto della copertura.
Avuto riguardo all'apparato strettamente decorativo, si evidenzia che, nella sommità dell'arco centrale, in corrispondenza dell'ingresso principale, su sfondo di mosaico d'oro, è collocata un'aquila di bronzo ad ali aperte che regge sul petto lo stemma in marmo della città. Nel prospetto sul Largo Carlo Felice è invece sistemata una grande figura allegorica in bronzo, opera dello scultore Andrea Valli, che potrebbe rappresentare l'Agricoltura, benché gli attributi iconografici richiamino piuttosto quelli di una Vittoria alata: qui, nell'elegante fusione di spunti ellenizzanti e moduli liberty, il bronzo richiama un classicismo di ritorno assai diffuso nell'arte italiana del primo Novecento.
(7) La realizzazione del Palazzo Civico fu possibile grazie all'esito favorevole di un lungo contenzioso con l'Amministrazione Finanziaria dello Stato. Cagliari ottenne oltre tre milioni di lire: una cifra davvero ingente, che consentì la costruzione non solo del nuovo palazzo comunale ma anche del bastione di Saint Remy e dei caseggiati delle scuole elementari di Sant'Avendrace, Satta, Santa Caterina e Riva.
(8) Caselli, nato a Fubine nel 1849, era allievo di Alessandro Antonelli, il progettista della Mole Antonelliana, monumento simbolo della città di Torino.
(9) Così si esprimerà l'architetto Ernesto Basile nella consulenza tecnica d'ufficio che verrà disposta dal Tribunale di Torino (vedere oltre).
(10) Sulle vicende relative al contenzioso tra Rigotti e Caselli, cfr. V. Borasi, "Sulla paternità artistica del Palazzo Comunale di Cagliari", in "Bollettino della Società piemontese di Archeologica e Belle Arti", Nuova Serie, XIV-XV, Torino 1960, pagg. 169-180; P. Marconi e N. Zedda, "Crescentino Caselli nel Municipio di Cagliari", in "L'Architettura", novembre 1964, pagg. 488-496; Id., "Annibale Rigotti e il Palazzo Comunale di Cagliari", in "L'Architettura", marzo 1965, pagg. 772-774; e più di recente L. Romagnino, "La guerra del compasso", in "Almanacco di Cagliari" 2011.
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