Sopra: William T. Vollmann (Los Angeles,
1959)
Sotto: l'opera di Vollmann, edita da
Minimum Fax nel 2022, con traduzione
pregevole di Gianni Pannofino
Quella che segue non è la recensione di un libro, perché è praticamente impossibile ridurre in un commento un'opera colossale, sia nella sua dimensione originale che in quella ridotta, sia per il suo contenuto.
L'edizione italiana del libro di Vollmann è la versione, tagliata e ricucita a cura dell'autore, di un'opera ben più vasta: sono 990 pagine tratte a cura dell'autore da quella pubblicata nel 2003: sette parti per un totale di circa 3.300 pagine.
Se qualcuno volesse cimentarsi nella colossale lettura, l'edizione integrale è disponibile in usato a circa 65-70 euro.
"Come un'onda che sale e che scende" è il compendio di ventitre anni di lavoro di uno scrittore-giornalista o forse giornalista-scrittore che ha attraversato le vie del mondo.
È stato in zone di guerra e nelle pericolose periferie delle città, ha vissuto in mezzo a movimenti guerriglieri, organizzazioni criminali, fascisti, comunisti, senza casa, prostitute, emarginati, migranti. Osservando e talvolta vivendo in prima persona quelle realtà terribili: Colombia, Cambogia, Congo, ex Jugoslavia e altre.
Vollmann era presente in quei luoghi di crudeltà e terrore e da tutti gli appunti, le note e le considerazioni maturate in quegli anni - quando si è finalmente fermato a riflettere - ha steso la sua opera colossale.
Al centro delle sue riflessioni c'è una semplice interrogazione teorica sul come e sul perché della violenza. Non si pone certo l'obiettivo di venirne a capo e dare una risposta, al contrario. La sua domanda è ancora più semplice: fino a che punto può essere censurata la violenza?
Perché - ed è qui la sua considerazione sconvolgente - anche la violenza può avere le sue ragioni.
La violenza che Vollmann ha incontrato nella sua ossessiva ricerca delle cause e delle motivazioni presenta numerose variabili e diversi punti di vista e questo mutare di prospettiva nell'esaminare un fatto lo rende di per sé ingiudicabile.
Analizza le manifestazioni della violenza su piani diversi, raccontando decine di storie, e procede nel suo racconto - Vollmann per fortuna non è un filosofo - avanzando ipotesi, tentativi di verifica, messa in dubbio della realtà apparente, con al centro sempre e solo le persone, siano esse sconosciute o di importanza storica, siano esse Stalin o Pol Pot, o bande di terroristi o gruppi politici.
Il sottotitolo del libro di Vollmann è - non a caso - "Pensieri su violenza, libertà e misure di emergenza".
Utilizzando uno stile prettamente giornalistico egli dedica molto spazio alle "giustificazioni" della violenza e a quello che definisce il "calcolo morale". Cioè una sorta di metodo che analizza i torti e le ragioni, che contestualizza, distingue, confronta i punti di vista, esamina le clausole possibili.
Dichiara di non provare alcuna attrazione per la violenza, ma si chiede ripetutamente quale sia il caso in cui essa possa essere giustificata, senza indugiare sul romanticismo degli ideali.
Ogni tipo di violenza: da quelle che non hanno alcun senso logico (la scuola di Columbine) a quelle dettate da ideologie fallimentari (la Cambogia dei Khmer rossi), a quelle spinte da ideali etnici e religiosi (ex Jugoslavia).
Pur esaminate con tono distaccato resta lo sgomento di fronte alle mostruosità scatenate dal sonno della ragione e dall'idolatria della ragione stessa.
Il volume dell'edizione italiana è dedicato a due suoi amici («
scelsero il pericolo per amor di carità e verità») uccisi in Bosnia: uccisi da cecchini o dall'esplosione di mine anticarro; la risposta dipende dalle persone alle quali lo si chiede.
Dal cranio di un uomo di Neanderthal trovato con una frattura mortale alle camere di tortura trovate in Ucraina, ci sono millenni di violenza nel mondo: dove c'è l'uomo non può non esserci violenza.
Citando "Il Signore degli Anelli" si può dire: «
Il Male non scompare, attende».
Vollmann cerca di capire il significato della sopraffazione, il perché della violenza dell'uomo sull'altro uomo, passando da Hannah Arendt a Sigmund Freud, da Platone a Gandhi.
Noi uomini ci rendiamo conto della nostra fragilità, del semplice fatto che la nostra presenza sul pianeta è solo un accidente, un caso fortuito o fortunato. Noi non vediamo il mondo, osserviamo solo un piccolo scorcio di esso dal nostro piccolo rifugio e da quel piccolo assaggio del tutto crediamo sempre di auto-assolverci.
Abbiamo fatto carneficine di popoli, abbiamo estinto piante e animali, cacciato streghe, respinto in un angolo i miserabili, bruciato milioni di innocenti, lasciando dietro di noi un'immane scia di sangue che da quell'uomo primitivo in poi non si è mai fermata.
«
Isolazionismo, avidità, rabbia, paura, nazionalismo etnico, odio razziale e di classe, freddezza omicida e innata perfidia umana»: il campo della giustizia diviene sempre più stretto, ma ognuna di queste motivazioni che hanno causato morti singole o stragi, se sottoposte al "calcolo morale", possono avere una loro logica mortale.
Anche Eichmann o Stalin o Hitler o Pol Pot avevano un loro senso logico (e morale per i propri occhi) nel perseguire i loro scopi.
Il poeta Wystan Hugh Auden, nella poesia Spain sulla guerra di Spagna, parla della «
consapevole accettazione della colpa di fronte al delitto necessario».
Franz Fanon, esponente di spicco del movimento di decolonizzazione, propugnava la teoria della necessità della violenza da parte dei colonizzati, legittima perché perfettamente speculare a quella dei colonizzatori.
Nel gettare sassolini in uno stagno apparentemente quieto, Vollmann ci invita a prendere sempre in considerazione l'autore del crimine, l'atto e la vittima. Facendo in modo che l'individualità della vittima e degli assassini resti ininfluente per il nostro giudizio.
La conseguenza altrimenti è che la giustizia non sarà obiettiva ma di parte.
Il suo "calcolo morale" lo porta a considerazioni apparentemente spiazzanti per chi non riesca ad astrarsi dalla propria individualità, dalla propria moralità e dalle incrostazioni etiche.
Frasi come «
Sulla base dei diritti dell'individuo da me presupposti, il mio calcolo morale prevede che il suicidio sia consentito purché non venga imposto» possono disturbare.
È un'affermazione che nasce dall'analisi delle centinaia di suicidi di militari giapponesi al termine della Seconda Guerra Mondiale.
Ma leggendo le memorie di T.E. Lawrence "I sette pilastri della saggezza" o analizzando le vicende degli Ebrei della fortezza di Masada, afferma anche: G
Le famiglie e i gruppi di compagni possono legittimamente infliggere la morte ai propri membri per risparmiare loro la solitudine, la morte sotto tortura o un disonore capace di indurli, in seguito, al suicidio».
Volete un assaggio di quelle che possono essere le "giustificazioni della violenza", quelle che scatenano individui e popoli, tiranni e sognatori? Eccole: difesa dell'onore, difesa di classe, difesa dell'autorità, difesa della razza e della cultura, difesa della fede religiosa, difesa degli obiettivi bellici, difesa del suolo patrio, difesa del territorio, difesa del pianeta, difesa di genere, difesa contro i traditori, difesa della rivoluzione.
Dentro queste categorie ci sono tutti i più grandi portatori di violenza o il bullo che spara da una motoretta contro il presunto rivale in amore.
Se la prima parte del libro è teorica, con poche e illuminanti immagini che raccontano la nostra Storia e le cosiddette "giustificazioni" della violenza prima elencate, la seconda parte esplora le sue esperienze con una ridotta carrellata di luoghi e situazioni, dal sudest asiatico all'Europa, all'Africa, al mondo islamico, all'America del Nord.
C'è tutto il mondo e tutte le categorie di uomini a dimostrare l'universalità della violenza.
Non c'è un orizzonte di speranza per un'umanità ormai cieca di fronte al baratro.
Del resto «
la morte non può essere sperimentata né dai vivi né dai morti».
Resta l'amara considerazione che la violenza sia immutabile e non possa essere cancellata dalla storia umana.