Sopra: San Benedetto da Norcia
(480-547)
Sotto: Cattedrale Santa Caterina di
Utrecht
Sotto un cielo grigio, tra i primi rigori di un freddo invernale, la mattina del 5 gennaio si sono svolti i funerali di Benedetto XVI.
In Piazza San Pietro erano presenti oltre 50 mila fedeli.
C'erano anche 130 cardinali, 400 vescovi e oltre 3.700 sacerdoti. A presiedere il tutto, il Papa Francesco.
Capi di Stato e di Governo, teste coronate, leader religiosi, uomini politici di tanti paesi del mondo per rendere omaggio a un uomo che aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita nella rarefatta atmosfera di un convento, appartato e umile, lontano dalle luci del mondo.
Sono sicuro che Joseph Ratzinger avrebbe preferito il silenzio e la solitudine.
Colui che, il 19 aprile del 2005, dopo la sua elezione a Papa e l'adozione del nome papale "Benedetto XVI" disse «
Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore della vigna del Signore», avrebbe forse preferito un po' di sobrietà.
E non avrebbe certo gradito quel coro e quei cartelli "santo subito" che ormai si richiede a ogni morte di Papa.
Come se la sua grandezza avesse bisogno di essere certificata da quell'iter lungo e complesso: una accurata indagine per "certificare" la sua santità secondo condizioni e passaggi normati nella Costituzione Apostolica "Divinus Perfectionis Magister" di Papa Giovanni Paolo II del 1983, allo scopo di accelerare il processo di beatificazione e santificazione.
Nuova procedura sulla quale lo stesso Ratzinger non era d'accordo e sottolineava che il numero dei santi e dei beati era aumentato nell'ultimo decennio e che alcuni di loro avevano un significato per un certo gruppo di persone, ma nessuno per la stragrande maggioranza dei credenti.
Di Benedetto XVI tra qualche giorno non se ne parlerà più.
Altri avvenimenti incalzeranno urgenti, altre priorità e giornali e canali televisivi, giustamente a caccia di lettori e di ascolti, si occuperanno di altre cose.
Ed è normale che sia così.
L'impronta che la figura, le parole, i gesti di Ratzinger ha impresso nelle persone sono un fatto squisitamente personale e rifugge dall'ipocrisia e dalla banalità dei personaggi e dei mass-media che in questi giorni si sono impadroniti della sua vita.
Benedetto XVI è stato il Papa che ha scelto come suo nome quello del Patrono d'Europa.
Non fu una scelta casuale quella di Papa Montini nell'ottobre del 1964, che, nel dedicare l'Europa al grande Santo, ricordava che «
egli insegnò all'umanità il primato del culto divino, ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell'unità spirituale in Europa, in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l'unico popolo di Dio».
L'Europa, appena uscita dalle due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi tragiche utopie, era alla ricerca di una propria identità.
Per creare un'unità nuova e duratura erano sicuramente importanti gli strumenti politici, economici e giuridici che si stavano approntando, ma era ancora più necessario un rinnovamento etico e spirituale che, rifacendosi alle radici cristiane fondanti della sua civiltà, creasse uno spirito di appartenenza comune senza il quale non ci sarebbe stata Europa.
Questo aspetto era ben presente nella mente di Ratzinger, il quale più di una volta ha messo in evidenza che «
la crisi dell'Europa, prima ancora di essere politica, degli stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell'uomo. La crisi è anzitutto antropologica. Un uomo che ha perso ogni riferimento di fondo, che non sa più chi è».
Grido disperato di fronte alle chiese che chiudono, che vengono vendute, come è stata venduta per mancanza di fedeli la cattedrale di Utrecht, e trasformate in locali che nulla hanno a che vedere con il culto.
Se guardiamo all'Europa degli egoismi di ogni giorno ci rendiamo conto di quanto fosse disperato e profetico quel grido.
Così come sommessa e disperata è stata la sua risposta di fronte alle accuse di aver coperto tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta quattro sacerdoti accusati di abusi sessuali: in una sua lettera afferma di essere profondamente colpito che una sua svista sia stata utilizzata per dubitare della sua veridicità e dopo aver meditato «
in questi giorni di esame di coscienza», ricorda che «
ben presto si troverà di fronte al giudice ultimo della sua vita, pronto ad attraversare con fiducia la porta oscura della morte».
Un grande Papa della Chiesa moderna, perché nel suo insegnamento c'è una enorme ricchezza che deve essere ancora approfondita e che spazia dal dogma alla fede, alla vita dei credenti.
L'idea semplice che attraversa i suoi scritti è quella che la ricerca di Dio equivale alla ricerca dell'uomo stesso e che Dio non è qualcosa che va oltre la ragione umana e di cui si può fare a meno: è la sola cosa che può rendere ragionevole la vita stessa e il suo significato.
Il suo libro "Introduzione al Cristianesimo" (tratto dalle lezioni da professore tenute all'Università di Tubinga) è stato pubblicato nel 1968, ristampato periodicamente e tradotto in tantissime lingue: affronta un'introduzione alla fede cristiana a partire dal "simbolo apostolico" (Dio - Cristo - Spirito e Chiesa). La trattazione su Dio viene affrontata a partire dal problema di "Dio" nell'esperienza umana ed espone i temi della fede cristiana avendo come sfondo il contesto del mondo contemporaneo.
È di pochi giorni invece l'uscita di un altro libro di Ratzinger dal titolo simile, "Che cos'è il Cristianesimo": è una raccolta di lettere, lezioni, articoli, prefazioni, precisazioni... È uscito postumo su espressa volontà del Papa emerito, che infatti precisa: «
La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l'apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino. Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità».
Quanta tristezza: sono quei circoli con a capo il cardinale Marx (che nome!) che chiedono a gran voce la benedizione delle unioni omosessuali, il matrimonio dei preti, il sacerdozio femminile.
Che amarezza per un Papa costretto ad auto-censurarsi in vita!
Sono tanti i temi affrontati da Ratzinger nei suoi scritti come teologo e nelle sue encicliche come Papa e il rapporto tra l'uomo credente e il mondo contemporaneo è sempre stato al centro della sua attenzione.
Sono temi cruciali che sembrano non attrarre più l'interesse di coloro, cattolici o laici, che si impegnano nella politica: l'inviolabile dignità della persona umana, il rispetto della legge naturale, il carattere incondizionato dell'obbligazione morale, il significato della libertà.
Temi affrontati con rispetto, senza nessun cedimento alla polemica, cercando di comunicare la verità in modo convincente, senza sottrarsi alla responsabilità di sostenerla con fermezza. Uno stile sempre fedele a quello che aveva scelto come motto episcopale: «
Collaboratore della verità».
Può sembrare triste constatare che per affermare la verità ci vuole il coraggio: ma senza questo coraggio non riusciremo ad arginare la grande tragedia della decadenza del mondo occidentale e dei suoi valori.
In questi giorni su Benedetto XVI si è detto e scritto di tutto: conservatore e progressista, rivolto al passato e proiettato verso il futuro, oppositore del relativismo ma anche profeta del nulla futuro.
Forse era solo una persona diversa dalle altre, ben lontana dal ricercare le luci mediatiche e il consenso. Un uomo fedele a sé stesso, di una purezza e integrità morale ben rare, unicamente proiettato verso l'immagine di Dio e dell'uomo.