EXCALIBUR 146 - novembre 2022
in questo numero

Iran, l'atomica, le donne e il calcio

Intrecci paradossali tra coraggio e ipocrisia

di Angelo Marongiu
la più dissacrante forma di protesta, un bacio
Sopra: la più dissacrante forma di protesta, un
bacio
Sotto: proteste e capelli al vento
proteste e capelli al vento
Il capo dell'organizzazione iraniana per l'energia atomica, Mohammad Eslami, ha confermato il rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) nel quale si afferma che l'Iran sta rapidamente espandendo la capacità di arricchire l'uranio con nuove centrifughe avanzate.
La decisione è in linea con la legge del Parlamento, ratificata nel 2020, denominata "Azione strategica" per la salvaguardia degli interessi nazionali, in merito alla riduzione degli impegni rispetto agli accordi sul nucleare del 2005, dai quali gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2018.
Centinaia di nuove centrifughe sono quindi al lavoro, le nuovissime IR-1 e IR-6, e produrranno uranio arricchito al 60%, un livello di poco inferiore al 90% richiesto per realizzare la bomba atomica.
Il sito principale sorge nei pressi del villaggio di Fordow, al quale nessuno può accedere né monitorarne l'attività. I siti sono chiusi per le ispezioni da almeno due anni e le apparecchiature di sorveglianza sono state rimosse. Ormai le scorte iraniane superano di 19 volte il limite autorizzato dall'accordo del 2005, da considerare ormai come carta straccia.
I nuovi e più stretti rapporti tra Iran e Russia potrebbero aprire imprevisti scenari, data anche la recente dipendenza russa verso la tecnologia militare iraniana: l'isolamento internazionale dei due stati ha favorito questo pericoloso apparentamento.
Ma la bomba atomica in Iran è scoppiata in casa.
Tutto è cominciato il 16 settembre scorso con l'uccisione di Masha Amini, 22 anni: la sua colpa era unicamente quella di avere una ciocca di capelli che sporgeva dal hijab. Arrestata e picchiata a morte dalla polizia morale.
L'obbligo del velo fu imposto dall'ayatollah Khomeini e risale alla rivoluzione islamica del 1979. Sono passati 43 anni da allora.
Dopo la morte di Masha in Iran sono cominciate le proteste, con manifestazioni di piazza in diverse città, represse più o meno brutalmente dal regime.
A metà novembre i morti a causa di questi disordini sono circa 400, 51 sono bambini e circa 14 mila le persone arrestate. Dei giustiziati non c'è notizia. Questo è il risultato della più vasta e capillare protesta nella storia della Repubblica islamica.
I protagonisti non sono solo le donne, ma anche giovani, uomini di tutti i ceti sociali, lavoratori, studenti, artisti, atleti, con forme e proteste le più diverse: dal simbolico taglio di capelli, al bacio per strada, al rifiuto del velo.
Da quei giorni di settembre le bambine strappano le immagini dell'ayatollah Khomeini dalle pagine dei libri, i ragazzi imbrattano i murales che lo rappresentano. Nella piccola cittadina di Khomein, a nord-ovest di Esfahan che gli ha dato i natali, le ragazze hanno sfilato senza velo e i ragazzi gridavano «morte al dittatore».
La riposta del regime - in nome di una religione di pace - è sempre stata la stessa: violenza.
È un regime che agisce senza riguardo per nessuno: arriva fino all'arresto della nipote della Guida suprema dell'Iran, Alì Khamenei, per aver partecipato alle proteste; oppure all'arresto di una leggenda del calcio, Voria Ghafouri, portato via davanti al figlio di 10 anni e accusato di aver "insultato" il regime e per "propaganda contro lo Stato".
Arresto avvenuto in concomitanza con l'esordio della squadra iraniana ai mondiali di calcio in Qatar: i giocatori dell'Iran non hanno cantato l'inno nazionale in segno di solidarietà con le proteste. In questo contesto esplosivo Teheran accusa i paesi occidentali dicendo che "non hanno la credibilità morale" per dare lezioni.
Forse hanno ragione.
Ai mondiali di calcio in Qatar - terra nella quale i diritti umani non esistono - organizzati in un paese che ha comprato la manifestazione a suon di miliardi e che sono costati la vita a circa 7 mila disperati (non del Qatar) costretti a lavori massacranti pur di preparare impianti calcistici faraonici a gloria dell'emiro, mentre i ragazzi iraniani restavano a bocca chiusa durante il loro inno nazionale, gli avversari inglesi cantavano a squarciagola il loro "God save the King".
Anche il capitano inglese Harry Kane lo cantava, con la mano sul cuore. Al suo braccio non c'era la fascia con il cuore arcobaleno.
Era la promessa di sette nazionali: Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera. Quella fascia era un segno visibile di protesta e di denuncia per affermare che nessun amore può essere discriminato.
Quella fascia arcobaleno non è mai scesa in campo perché la Federazione Internazionale non vuole e la scritta "one love" non è opportuna e quindi ha minacciato di comminare un cartellino giallo a che l'avesse indossata.
La minaccia ha spento subito la protesta e i nostri coraggiosi capitani, di fronte a un cartellino giallo, hanno abbassato lo sguardo, hanno rifoderato la loro boria e la loro prosopopea e si sono messi a cuccia.
Intanto a Teheran non esiste il cartellino giallo, si passa direttamente al rosso.
Giorni fa il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato la brutale repressione in Iran per le pacifiche proteste di piazza, avviando un'inchiesta conoscitiva: la decisione è passata con 25 voti a favore, 6 contrari e 16 astensioni.
Pensiamoci un po': ci sono 22 paesi in quella Commissione per i quali ciò che avviene in Iran non è brutalità né violazione dei diritti umani.
È tutta l'Onu che dovrebbe avere un cartellino rosso.
Intanto in Iran il regime mostra tutta la sua fragilità, pur restando abbastanza forte da resistere a questo ulteriore scossone.
Ma ora molte donne circolano senza velo e nessuno ha il coraggio di riprenderle e gli esponenti del governo limitano al massimo le loro apparizioni pubbliche.
I fronti caldi sono almeno tre.
Il primo fronte è la questione femminile che è in ebollizione da almeno vent'anni e difficilmente si potranno continuare a usare i manganelli perché esse stiano al loro posto.
Il secondo fronte è quello dell'Università, che è, come tutte le altre volte, il centro propulsore della rivolta e anche questa volta è l'epicentro delle proteste e in forma ancora più decisa rispetto al passato.
L'ultimo punto riguarda le troppe questioni identitarie irrisolte, che approfittano di questo caos per rialzare la testa: dai Baluci ai Curdi alle minoranze sunnite, si levano sempre più forti i segnali di rivendicazione delle loro specificità sempre schiacciate dal macigno religioso.
Intanto in Iran si respira un profumo diverso e c'è la sensazione di una possibile svolta e che qualche sogno possa essere accarezzato.
«Provino pure a fermarci - dice un manifestante - Sarà come svuotare il mare con un cucchiaino».
Nel frattempo gli oltranzisti religiosi aspettano devotamente l'arrivo del Mahdi, l'imam nascosto, che darà loro il dominio del mondo.
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