Sopra: una veduta della "perla" Hong Kong
Sotto: manifestazioni "spontanee" di festeggiamento
Un noto aforisma di Oscar Wilde recita: «
Dai a un uomo una maschera e diventerà sé stesso».
Questa affermazione gettata in faccia dal tennista greco Stefanos Tsitsipas contro l'altro tennista, l'Australiano Nick Kyrgios, con l'accusa che con il suo comportamento antisportivo (siamo al termine di un incontro di tennis a Wimbledon 2022) ha mostrato il suo vero volto, mi ha fatto venire in mente alcune considerazioni legate a un anniversario celebratosi in questi giorni senza particolare risalto nei giornali se non con qualche notarella distratta.
Per la prima volta dall'inizio della pandemia di coronavirus il Presidente cinese Xi Jinping ha lasciato la Cina e si è recato in treno a Hong Kong (Cina), ove è stato accolto da una folla plaudente che sventolava ritmicamente le bandierine abbinate della Cina e di Hong Kong, territorio che per altri 25 anni continuerà a essere autonomo, almeno sulla carta.
La formula "un paese, due sistemi" coniata appunto nel 1997, quando la sovranità di quel territorio fu ceduta dopo oltre 150 anni dalla Gran Bretagna alla Cina e che doveva essere mantenuta fino al 2047, continuerà così a essere sbandierata, anche se di fatta è stata già brutalmente spazzata via.
Quel 30 giugno 1997 è stato ricordato con enfasi, anche se dietro la maschera imperturbabile di soavità che sempre la Cina mostra al mondo continua imperterrita a perseguire i suoi interessi, mostrando che accordi, patti, promesse sono solo uno strumento per ottenere ciò che vuole.
Ormai l'ex colonia britannica ha i tratti perfettamente uguali a quelli del resto della Repubblica Popolare Cinese: gli oppositori politici sono imprigionati oppure sono fuggiti, la stampa non allineata ha chiuso i battenti, il sistema giudiziario è lo specchio fedele delle istituzioni politiche, il cui massimo organo, il Parlamento, accetta solo quei candidati che superano l'esame di patriottismo e fedeltà.
Ormai i sette milioni di abitanti, con in testa gli ostinati studenti che si aggrappavano all'idea della democrazia, sono praticamente diventati massa consenziente, obbligati a respirare l'aria mefitica della dittatura.
Gregge: proprio come piace alla Cina.
Nel discorso con il quale Xi Jinping ha salutato la governatrice uscente Carrie Lam, è stata esaltata l'ex colonia britannica come luogo nel quale oggi esiste la vera democrazia e nel quale si sta scrivendo un importante capitolo della storia cinese, che nella sua propaganda definisce "il ringiovanimento della Cina".
La televisione China Global Television Network ha trasmesso in diretta la cerimonia in tutto il mondo. Non sappiamo se il leader della rivolta studentesca Joshua Wong l'abbia potuta seguire: chissà se nella sua cella è previsto un televisore in dotazione, ma ne dubitiamo.
Comunque, è democrazia.
Quando nel 1997 Den Xiaoping prese possesso dell'isola e coniò "un paese, due sistemi", garantendo una forte autonomia, forse aveva in mente che in cinquant'anni la Cina sarebbe diventata come Hong Kong: invece ben prima, alla faccia degli impegni scritti, è avvenuto il contrario.
La Cina si è avviata di gran carriera sulla strada della modernizzazione (economica e militare), ma ha lasciato cadere per strada come un inutile fardello quella specie di maschera democratica sulla quale tanti si erano illusi.
Quando nel 2003 si cercò di introdurre una prima legge sulla sicurezza nazionale, la gente di Hong Kong si oppose pacificamente: un milione di persone scese per le vie a manifestare e le norme liberticide furono ritirate.
Nel 2014 il copione si ripeté e le manifestazioni per le strade di Hong Kong (il cosiddetto "movimento degli ombrelli"), pur essendo anche stavolta pacifiche, furono represse con brutalità. Nel 2019 l'epilogo: da allora sono finite in carcere oltre diecimila persone e almeno mille, le più rappresentative, sono ancora lì.
Nel luglio 2020, con l'entrata in vigore definitiva della nuova legge sulla sicurezza nazionale, la libertà e la democrazia sono finite.
Qualunque critica al governo può essere intesa come sovversione, qualunque voce - giornale, televisione o radio - che diffonda notizie non gradite può essere accusata di terrorismo, secessione, collusione. Da qui la chiusura di giornali, emittenti private, partiti politici, gruppi di opinione.
L'arresto del cardinale Zen nello scorso maggio è la classica dimostrazione della nuova idea di democrazia che si respira a Hong Kong: è la stessa di tutta la Cina.
I discorsi tenuti durante questa festosa celebrazione sono lo specchio (o la maschera) del nuovo corso che si sviluppa in quel paese.
Xi Jinping, dopo aver affermato che «
con il ritorno dei territori alla madrepatria» si è aperta una nuova epoca nella sua storia, ha aggiunto che «
non c'è motivo di cambiare il modello - un paese, due sistemi - e che Hong Kong deve rispettare il sistema socialista e la leadership del Partito Comunista».
Poi il neo governatore della città John Lee ha affermato che «
l'attuazione della legge sulla sicurezza nazionale e il rinnovamento del sistema elettorale hanno stabilizzato Hong Kong».
Naturalmente «
il sistema legale della città è più avanzato di quello di molti paesi occidentali».
Il nuovo governatore ha 64 anni e di questi 40 li ha trascorsi come "super poliziotto" nel sistema della sicurezza.
I discorsi di insediamento, che si erano tenuti sempre in mandarino e cantonese (la lingua principale di Hong Kong e Macao), si sono tenuti solo in mandarino.
Anche questo è un messaggio molto chiaro.
E allora teniamo bene a mente che la Cina è l'impero con il quale dovremo confrontarci in futuro. Un colosso solido dal punto di vista economico, fortissimo da quello militare ma, soprattutto, armato di una caratteristica poco frequente in Occidente: l'ambiguità e la mancanza di scrupoli.
Ha tranquillamente disatteso tutti gli impegni assunti (Wto, clima, Hong Kong) senza nessuna conseguenza; ha piantato i suoi artigli in Sud America e in Africa nell'indifferenza generale e quando si getterà su Taiwan non saranno certo i nostri valori etici a fermarla.