Il 30 aprile scorso ha avuto luogo a Cagliari un convegno sul libro "Italia!", avente per oggetto il corpo militare delle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana nella testimonianza di alcune ausiliarie.
Il convegno è stato organizzato dall'associazione sportiva "L'Idrovolante" di Capoterra.
Ha aperto i lavori Mirko Simula, presidente dell'associazione, illustrando i contenuti del convegno, che era già stato programmato alcuni anni fa ma per causa inerente all'epidemia del Covid ha avuto luogo solo adesso.
Subito dopo tre ragazze hanno letto brani di lettere di alcune ausiliarie, toccanti per la serenità, il coraggio e la lucida determinazione con cui andavano incontro al loro tragico destino. Ha quindi preso la parola Katy Stoppato, esponente del "Veneto fronte Skinhead". Katy Stoppato vanta una antica militanza affianco all'associazione delle ausiliarie.
Militanza fatta di rapporti continui e personali con gran parte delle ex combattenti della Rsi, contatti che poi trovavano il loro clou collettivo nell'incontro annuale che si teneva presso il sacrario "La piccola Caprera", dove riposano le salme di tanti caduti per l'onore.
Non ha quindi avuto difficoltà nel descrivere il tratto umano, veramente eccezionale, di queste combattenti, che malgrado fossero trascorsi tanti decenni e avessero sofferto sulle proprie carni le tragedie della guerra e le peripezie del dopoguerra, conservavano intatti tutti quei valori, amor di patria, spirito di sacrificio, altruismo e cameratismo, che in quel lontano 1944 le aveva spinte ad arruolarsi volontarie nel corpo del Saf.
Katy è stata il grande collettore che ha fatto sì che tutto ciò si concretizzasse nel documentario trasmesso e nell'edizione del volume "Italia! Saf: testimonianze al femminile di puro, incondizionato, spontaneo amor patrio", a cura de Le ragazze di Peschiera, editore Ciclostile.
Subito dopo è stato proiettato il documentario sulla vita delle ausiliarie a partire dal loro arruolamento alla frequenza dei corsi, al loro addestramento anche all'uso delle armi, al loro servizio nelle strutture militari e al fianco dei soldati nei vari reparti operativi e, infine, le umiliazioni, le sevizie, le violenze e le morti che subirono dopo il 25 aprile.
Ha quindi preso la parola Angelo Abis inquadrando la costituzione del Saf in un contesto storico più ampio che ha inizio dopo il primo conflitto mondiale, che vide irrompere nella scena politica degli stati le masse.
Il fascismo, che è l'artefice di questa grande trasformazione, immette nella società italiana una visione più ampia della donna: non più solo sposa e madre ma anche "cittadina" del nuovo stato, ovvero partecipe attiva in tutte le istituzioni che avevano a che fare con la gestione della "res pubblica". Di qui la rappresentanza femminile nel Pnf a tutti i livelli.
Ciò comportò anche l'introduzione di tutta una serie di provvidenze a favore delle donne, non tutte ben accolte dalla società civile. Società che era molto più autoritaria e "maschilista" dello stesso regime fascista. L'assistenza alle ragazze madri o l'insegnamento dell'educazione fisica alle donne trovarono non poche ostilità a livello civile.
Quanto al contributo che le donne potevano dare nell'ambito delle strutture militari, manco a parlarne. Solo dopo la guerra d'Etiopia, per i corsi riservati alle donne che dovevano trasferirsi nell'Africa Orientale, fu introdotto l'addestramento all'uso delle armi. Tant'è che nel 1938, nel corso di una parata a Roma, le "coloniali" sfilarono in divisa e con il fucile a tracollo.
Ma di costituire corpi militari ausiliari femminili non se ne parlò sino alla fine del '43. Anzi, furono criticati corpi ausiliari di altri stati, segnatamente quello americano, perché le donne indossavano i pantaloni. E non è che le donne fasciste non avessero voglia di combattere.
In una lettera inviata al Duce il 30 giugno 1941, Annalisa F. scrive: «
Perché le donne fasciste non dovrebbero essere pari alle donne guerriere dei tempi antichi che la guerra fecero davvero e la vinsero con silenzioso eroismo?».
Nella Rsi fu Pavolini che ipotizzò la creazione di un corpo armato femminile di supporto ai reparti maschili. Un corpo volontario e d'èlite, motivato politicamente e ideologicamente, che fosse di sprone anche per gli uomini titubanti o, peggio, imboscati rispetto alla lotta sino all'ultimo sangue intrapresa dal fascismo repubblicano contro i nemici esterni e interni alla Rsi. Il 18 aprile del '44 fu così istituito il Saf, facente parte delle forze armate, come organo di supporto per tutte quelle attività che potevano essere d'aiuto alle truppe combattenti e non. Era esclusa la loro presenza in zone operative e non potevano usare le armi se non per propria difesa.
Tutta questa rigidezza burocratica stava stretta alle ausiliarie. E infatti tre di esse, nel dicembre del '44, scrivono a Mussolini: «
Duce, siamo tre ausiliarie che si rivolgono a Voi sicure che potrete aiutarle. Eravamo al btg. Lupo della X Mas e con esso abbiamo diviso gioie e dolori [...]. Ora siamo state destinate alla Direzione del Genio [...]. Sognavamo di poter essere utili ai nostri soldati che sacrificano la vita per la libertà d'Italia e condividere tutto con loro [...]. Vi chiediamo, e siamo certe che ci accontenterete, di poter tornare nuovamente al btg. Lupo o almeno di poter essere destinate in qualche reparto operante».
Ma il massimo dell'insipienza burocratico-militare la si raggiunse quando venne proposta una decorazione e una promozione all'ausiliaria Airoldi Barbara, aggregata a un reparto della brigata nera "Cesare Rodini".
Durante una marcia di trasferimento, il reparto veniva attaccato in una imboscata da elementi partigiani. Ed ecco il fatto: «
La Vice Capo Nucleo Barbara Airoldi, che volontariamente aveva voluto far parte dell'avanguardia, reagiva unitariamente agli elementi della pattuglia che riuscivano con pronta reazione a mettere in fuga gli elementi attaccanti».
Il comando militare elogia l'ausiliaria, ma fa notare che sono state violate le disposizioni fondamentali del Saf e che la brigata nera non avrebbe dovuto accogliere la richiesta dell'ausiliaria di andare in zona operazioni. La pratica finì sul tavolo di Mussolini, il quale, a fine foglio, scrisse di suo pugno: «
Lasciamo che vadano dove vogliono. Danno miglior esempio degli uomini».
Angelo Abis, spogliandosi della sua veste di storico, parla della comandante del Saf, Generale Piera Gatteschi, che conobbe esattamente cinquant'anni fa in un viaggio in Grecia. All'epoca, 1972, Piera Gatteschi era responsabile dell'agenzia di viaggi del Msi, mentre Abis faceva parte del comitato centrale del partito.
Il viaggio e il soggiorno in Grecia durarono 12 giorni. Per tutto il periodo Abis e la Gatteschi vissero in stretto contatto e la Gatteschi, che era una donna molto aperta ed estroversa, ebbe modo di raccontare i dati salienti della sua travagliata esistenza. L'esperienza in Africa Orientale vissuta accanto al marito per alcuni anni. Il rientro a Roma dove ebbe l'incarico di segretaria del fascio femminile della federazione romana. E in proposito raccontò l'episodio di una donna ebrea che si presentò in federazione timorosa e addirittura tremante e che la Gatteschi rassicurò dicendo che era a sua disposizione come lo era per tutte le donne italiane.
E a questo punto Abis ricorda pure come in Grecia trattò malamente un giovane che aveva al collo una catenina con la svastica. Poi la Rsi, i suoi incontri con Mussolini, il suo incarico di comandante del Saf. Il problema assillante di trovare gli alimenti per le sue ausiliarie, il disperato tentativo di salvarne il maggior numero possibile dalle previste atrocità partigiane, infine la sua condanna a morte: il dover rimanere chiusa per due anni in una stanzetta di un convento. Eppure malgrado tutte queste esperienze e il fatto che le venissero richieste doti che attengono più a una personalità maschile, conservava un tocco di femminilità innata.
Abis se ne rese conto quando, affascinato dal pathos del suo raccontare, le disse: «
Comandante! Se avesse trent'anni di meno le farei la corte!».
Frase detta ingenuamente, eppure la Gatteschi di detta frase ne riferì compiaciuta a tutto il nostro ambiente, segno che la sua femminilità non era venuta meno malgrado l'età.