Sopra: la copertina del libro "Lo scontro degli
Stati-civiltà"
Sotto: Christopher Coker, Director of Lse Ideas
foreign policy think tank
Quando nel 1996 fu dato alla stampa il libro di Samuel Huntington "Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale", il volume fu accolto da numerose e a volte pretestuose polemiche da parte del mondo politico e accademico (vedere
Excalibur 53).
In contrapposizione al saggio di Francis Fukuyama, un suo allievo che nel 1992 pubblicò "La fine della storia e l'ultimo uomo", che prefigurava con la fine della guerra fredda il trionfo della democrazia liberale, la fine della storia in quanto tale e la costruzione di un "nuovo mondo americano" o "occidentale", Huntington sosteneva che il nuovo terreno di scontro non sarebbe stato ideologico - marxismo contro liberalismo - ma culturale e in particolare con una forte impronta etnica e religiosa. Razza e fede diverse sarebbero state le caratteristiche preponderanti per dividere il mondo in "noi" e "loro".
Naturalmente il rigetto della tesi sostenuta da Huntington nasceva in particolare in quegli ambienti che fondavano le loro teorie economiche del conflitto su analisi di tipo marxista.
Eravamo alla fine del XX secolo e cominciava l'affermazione più marcata del vecchio concetto di stato-nazione come forma di organizzazione politica, nella quale le caratteristiche identitarie davano una forte impronta prioritaria all'idea di sovranità e autonomia.
Il fenomeno si è ulteriormente amplificato anche perché la "civiltà liberale" è oggi sotto assedio, non solo da parte del mondo non occidentale, ma è criticata anche da parte degli stessi cittadini occidentali, in particolare da coloro che appartengono alle fasce sociali meno abbienti. Il loro malcontento è ritenuto responsabile di alcune delle sfide che le società occidentali liberali devono affrontare: dal nazionalismo al populismo, dagli attacchi neo-fascisti all'immigrazione, alle critiche neo-marxiste del capitalismo.
E questo mentre la "civiltà liberale" è chiamata a lottare per la propria sopravvivenza nel momento in cui il mondo non occidentale, intuendo che l'Occidente è in declino, sta riscoprendo i propri valori culturali.
La tesi di Fukuyama appare a distanza di trent'anni decisamente ingenua e quella di Huntington, pur avvalorata in questi infiniti anni di conflitto tra l'islam oltranzista e il corrotto mondo occidentale, al momento sembra essersi limitata a isolate sacche di fanatismo. La sua tesi del resto era stata ispirata da un articolo dello storico e orientalista britannico Bernard Lewis dal titolo premonitore "Le radici della rabbia musulmana".
Il saggio di Christopher Coker ha un titolo volutamente provocatorio: "Lo scontro degli stati-civiltà". Coker - professore di Relazioni Internazionali alla London School of Economics - sostituisce nella tesi di Huntington al concetto di civiltà quello di stato-civiltà.
Egli sostiene che «
lo stato-civiltà è un concetto eclettico: è soprattutto uno strumento che serve a legittimare il potere di un particolare regime e aiutarlo a plasmare lo scenario politico secondo i propri interessi. Ma la sua caratteristica di fondo è [...] il rifiuto totale dell'universalismo, il grande sogno degli scrittori occidentali».
L'ordine mondiale è sconquassato (se non minacciato) dalla vertiginosa ascesa di nuove superpotenze regionali, ma con caratteristiche globali, che rifiutano in maniera esplicita l'universalismo occidentale. Sono in particolare la Cina, la Russia, l'India e la galassia islamica.
La Cina ha sempre sottolineato il suo elemento nazionale e, all'interno del concetto di civilizzazione, essa si vede non solo come una civiltà, ma come "la" civiltà. Il tentativo di coniugare confucianesimo e comunismo ha lo scopo di creare un collante per il perseguimento dei propri fini imperialistici.
La Russia non è mai stata uno stato-nazione, ma piuttosto un impero multirazziale, con un accentuato elemento messianico che nella storia russa ha rivestito un ruolo speciale. Questo aspetto è stato messo esplicitamente in evidenza da Putin, che parla di "civiltà russa" e di autodifesa totale perseguendo un modello ideocratico egemone.
Paesi con spiccata omogeneità culturale e anche etnica, che si considerano vere e proprie civiltà a sé stanti, con valori autonomi a volte profondamente diversi da quelli occidentali.
Il saggio di Coker si concentra in particolare sulla Cina di Xi Jinping e sulla Russia di Vladimir Putin, che in maniera decisamente diversa rifiutano il prevaricante universalismo occidentale, sia in campo economico-politico ma anche in quello culturale e morale.
La tesi prevaricante di un ordine mondiale universale, così cara al mondo liberal, viene vista come una minaccia alla loro autonomia. Da qui il rifiuto - sommesso da parte di Putin, esplicito in modo talvolta brutale da parte di Jinping - dei valori etici e morali della civiltà occidentale. Huntington prefigurava uno scontro epocale tra il mondo occidentale cristiano e la galassia islamica e la realtà fortunatamente lo ha contraddetto; Coker dà a uno scontro tra gli stati-civiltà maggiori probabilità che avvenga, segnando così la fine dell'eccezionalità occidentale.
Il contrasto tra valori e modelli di sviluppo diversi non può che portare a una divisione in blocchi contrapposti, nei quali la visione del futuro è ancora poco definita, ma in funzione della quale ognuno dei blocchi cercherà di rimodellare il futuro del mondo.
Ogni blocco avrà una sua definizione di democrazia (o quel che le può somigliare), con valori etici e morali derivanti da una storia anche non recente ma con radici affondate in un passato più o meno glorioso.
Al termine del suo saggio Coker, dopo aver affermato che forse il trumpismo potrebbe rivelarsi una semplice anticipazione di ciò che verrà, paradossalmente afferma che «
sebbene una volta l'Occidente era abbastanza potente da stabilire le regole, il suo potere di farle rispettare sta diminuendo rapidamente, che i Russi ora sono abbastanza potenti da trasgredirle e che la Cina, in un futuro non troppo lontano, sarà abbastanza potente da riscriverle».