Mario Gramsci (Sorgono 1893 - Varese
1945), da notare in bella mostra, sotto le
mostrine delle campagne di guerra, il
distintivo romboide col fascio di quadrista
al centro
Passiamo poi a esaminare i due capitoli più controversi, ovvero quello della prigionia e della conversione di Mario all'antifascismo.
È, a tutt'oggi, un luogo comune la suddivisione dei prigionieri di guerra degli Alleati, dopo l'8 settembre del 1943, tra "non collaboratori = fascisti" e "collaboratori = antifascisti".
Basta dire che numerosi comunisti si collocarono fra i non collaboratori per il semplice fatto che per loro era inconcepibile lavorare per una potenza capitalistica. La realtà vera fu che la stragrande maggioranza dei collaboratori, fascisti compresi, speravano con questo nuovo status di potersene tornare subito a casa. Ma fu una pia illusione.
Infatti, mentre le clausole dell'armistizio (o, come giustamente lo definivano gli Alleati "unconditional surrender" - resa incondizionata) prevedevano la liberazione dei prigionieri alleati in Italia, niente si diceva sui prigionieri italiani degli Alleati. Per tutto il periodo della guerra, e anche oltre, gli Alleati, malgrado la nostra dichiarazione di guerra alla Germania e alla cobelligeranza, furono irremovibili nel considerare i prigionieri italiani soldati di uno stato nemico e al contempo pretendere da essi una collaborazione incondizionata al loro sforzo bellico contro la Germania, la qual cosa, tra l'altro, li faceva uscire dalla protezione della convenzione di Ginevra.
Già dal 9 settembre il comando alleato aveva chiesto al governo del Sud una dichiarazione indirizzata ai prigionieri affinché collaborassero con gli Alleati. Badoglio accettò e l'11 ottobre inviò ai prigionieri un messaggio in tal senso: la speranza era che gli Alleati rilasciassero i prigionieri, almeno quelli che stavano nel Nord Africa, per ricostruire l'esercito del Regno del Sud.
Ma gli Alleati utilizzarono il messaggio di Badoglio per aggirare il divieto imposto dalla convenzione di Ginevra sull'impiego dei prigionieri in lavori connessi alle attività di guerra. Solo il 10 maggio del '44 il governo italiano inviò una nota di protesta rilevando che i prigionieri erano utilizzati senza accordo col governo italiano e in contrasto con la Convenzione di Ginevra, chiedendo il cambiamento di status per tutti e la liberazione di quelli detenuti in Italia.
La cosa non sortì alcun risultato: i militari italiani rimasero prigionieri sino alla fine del conflitto e anche oltre. Per cui la scelta collaborazionista lungi da configurarsi come un'adesione al Regno del Sud e all'antifascismo, giuridicamente si configura come un vero e proprio tradimento del proprio paese, sia esso rappresentato dal Re o da Mussolini.
Senza tener conto, poi, che gli Alleati usarono, per ottenere la collaborazione, mezzi che andavano dalle uccisioni, alle sevizie e alle bastonature, alla riduzione drastica delle razioni alimentari.
Per chiarimenti chiedere all'ex sindaco pidiessino di Quartu Sant'Elena, Stefano Delunas, il trattamento che subì il padre, prigioniero in Inghilterra, per essersi rifiutato di collaborare, e non era un fascista, casomai lo divenne dopo a seguito di quel trattamento!
Per quanto riguarda il trattamento dei prigionieri in Australia non si hanno notizie di particolari coercizioni dopo l'8 settembre, anche perché un gran numero di prigionieri fu trasferito in Australia dall'India nel '44 e nel '45. Il tutto si ridusse all'invito ai prigionieri di svolgere attività nelle campagne e, in un certo periodo, si aprì l'arruolamento per andare a combattere contro i Giapponesi.
Ecco perché ci sa tanto di presa in giro l'offerta di Mario Gramsci agli Australiani di voler combattere contro i Tedeschi: in realtà Mario Gramsci voleva solo ritornare in Italia.
Come è surreale la spiegazione che dà Lunardelli del mancato rientro di Mario in Italia: «
farlo tornare a casa dopo l'8 settembre del '43 voleva dire mandarlo nel cuore della Repubblica di Salò».
Evidentemente Lunardelli ignora il fatto che per una convenzione internazionale gli stati sorti nel corso della seconda guerra mondiale non potevano essere riconosciuti, per cui gli Australiani mai e poi mai avrebbero potuto consegnare Mario alla Rsi.
Ma veniamo allo scoop di Lunardelli.
Mario Gramsci dichiara il 7 settembre 1945, alla commissione militare incaricata di interrogare i prigionieri di guerra, di essere stato espulso dal partito fascista nel '21 in quanto fratello di Antonio, dopo il bando di Badoglio di aver chiesto di andare a combattere contro i Tedeschi e di essere stato riconosciuto collaboratore dal governo inglese (?).
Guardiamo la data: 7 settembre 1945. La guerra è terminata in Europa da alcuni mesi, Mussolini è stato appeso a Piazzale Loreto, il fascismo ufficialmente non esiste più se non nei necrologi dei morti ammazzati nei mesi successivi al 25 aprile.
L'Italia è ancora un paese considerato nemico, ed è occupato. È pienamente in vigore l'articolo 30 dell'armistizio che recita: «
Il governo italiano si conformerà a tutte le direttive che le Nazioni Unite emaneranno per il licenziamento e l'internamento del personale fascista». La commissione militare italiana è sotto stretto controllo delle autorità militari alleate. Ne sapeva qualcosa, per esempio il tribunale militare della Sardegna, subissato da continue proteste alleate per le sentenze, ritenute troppo blande, emanate contro i fascisti.
Quella deposizione sembra stesa da un militare, pure di basso grado, con l'unico fine di salvaguardarlo: qualunque attestazione di Mario iscritto al partito, o peggio, come riteniamo lui fosse, ufficiale della Mvsn, comportava ipso facto la radiazione dalle forze armate e la perdita dello stipendio. Certo la firma è di Mario, però l'espulsione dal partito nel '21 fa a pugni col distintivo di squadrista in bella mostra nella sua divisa di capitano.
La sua collaborazione è accertata dal governo inglese e non da quello australiano: collaborazione che non ci fu perché non risulta da nessuna parte che Mario abbia lavorato fuori dai campi di concentramento. Si potrebbe obbiettare che non lavorò perché ammalato. Ma perché allora offrirsi di andare a combattere contro i Tedeschi - cosa impossibile - e non contro i Giapponesi, cosa fattibilissima?