Sopra: Michel Onfray (Chambois, 1959)
Sotto: la copertina del suo libro "Teoria della dittatura",
ed. Ponte alle Grazie
Siamo sicuri di vivere ancora in democrazia? È il quesito di partenza dell'ultima fatica di Michel Onfray (altro autore francese, beati loro!). Egli si chiede se la nostra è ancora una società libera oppure se, in maniera diversa, le dittature che hanno caratterizzato il secolo scorso si sono annidate in modo subdolo nella nostra società.
È appena uscito un volume che raccoglie le opere imperdibili di George Orwell, una serie di capolavori pubblicati tra il 1936 e il 1949, insuperabili per la loro capacità di analisi, varietà e maestria nel proiettare in una prospettiva universale la realtà storica contingente. Il volume si intitola "Il peggiore dei
mondi possibili" poiché i due suoi scritti più famosi, "La fattoria degli animali" e "1984", prefigurano un mondo sotto un feroce regime totalitario, quello comunista.
Queste due opere sono prese come punto di partenza dell'analisi che Onfray fa della nostra società, teorizzando che siamo ormai nella realtà del Grande Fratello.
Onfray non è certo un conservatore, è un intellettuale che per anni è stato uno degli astri della "gauche" francese, ma, da libero pensatore, sta buttando all'aria i tanti dogmi progressisti che imperversano nella stampa e nella televisione.
Onfray analizza le due opere, "La fattoria degli animali" e "1984", definisce in termini orwelliani le regole della tirannia e afferma, purtroppo in modo convincente, che già esse sono applicate nella nostra società.
È indubbio che la pandemia che impazza in Italia e nel mondo abbia contribuito a mutare in modo radicale le regole della convivenza civile ed è altrettanto vero che fra la salvaguardia della libertà individuale e quella della salute collettiva, nel nostro Paese e in altri, si sia preferita questa seconda opzione a danno della prima, la libertà.
I Dpcm, le regioni colorate in varie modo, i controlli, le autocertificazioni, i divieti, i coprifuoco - e tutto ciò senza un qualsivoglia avallo parlamentare - hanno di fatto instaurato un regime che può pure non definirsi dittatoriale, ma certo non ha somiglianza con la democrazia.
I punti che Onfray sottolinea come paradigma del mondo orwelliano sono diversi.
Il primo punto è "distruggere la libertà attraverso la sorveglianza continua". Siamo ormai una società nella quale la parola, il pensiero, gli spostamenti sono tracciabili e controllabili. Se a questo aggiungiamo che ormai c'è un controllo assoluto anche della nostra situazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, enti locali hanno libero accesso ai nostri conti), ci rendiamo conto che non esiste più una sfera personale e privata.
Il secondo punto è "impoverire la lingua". Meno parole usate, abolizione delle regole grammaticali, sciatteria nell'esposizione dei concetti sono la strada maestra per giungere all'uniformità del pensiero e all'utilizzo coatto di stereotipi e conformismi. L'uso obbligatorio del maschile e del femminile (ora anche nelle preghiere!), le regole da adottare nel giornalismo con il divieto di utilizzare certi vocaboli (negro, clandestino, ecc.) sono un budello nel quale infilare la nostra libertà di espressione e quindi di pensiero. Se Wittgenstein diceva che una realtà esiste solo se ha una parola che la definisce, meno parole conosciamo e più la realtà rimpicciolisce e diventa uniforme: il traguardo è l'omologazione totale e il pensiero unico.
Il terzo punto è "abolire la verità": esistono solo punti di vista diversi, prospettive differenti. In questo modo tutto diventa possibile e niente è oggettivamente vero.
Il quarto punto è "abolire la storia" e su questo punto gli esempi si sprecano e coloro che hanno tentato di ristabilire verità storiche sono stati osteggiati e sbeffeggiati. In Italia è un cammino partito tanto tempo fa.
Il quinto punto è "negare la natura". Il tentativo di abolire ogni differenza di genere, di sminuire il ruolo e l'importanza della famiglia tradizionale e naturale, di essere tutti neutri e diventare uomini e donne solo per questioni di cultura, di stereotipi e di indottrinamento fino dalle scuole inferiori sono testimonianza della strada intrapresa dalla nostra società.
Un altro punto è "propagare l'odio". Onfray afferma che «
nell'ambito della cultura postmoderna, l'odio viene riservato a chi non si inginocchia davanti alla verità rivelata dalla religione che si autoproclama progressista&187;. Anche qui gli esempi si sprecano e gli avversari politici sono semplicemente definiti nemici da abbattere.
L'ultimo punto è "aspirare all'impero" e qui il discorso si allarga e investe strutture e obiettivi della Comunità Europea della quale facciamo parte. L'abolizione dell'idea di Nazione e quel che resta della sovranità nazionale è un modo subdolo di abolire prima la peculiarità nazionale e poi quella individuale.
La conclusione di Onfray è lapidaria. C'è chi nega che quella da lui descritta sia la strada che stiamo percorrendo solo perché non ci sembra che il potere stia utilizzando metodi coercitivi.
Ma un totalitarismo del XXI secolo non ha bisogno di affermarsi con metodi violenti, ha altri strumenti di persuasione.
L'industria della comunicazione di massa è diventata il nuovo "oppio del popolo" e strumenti apparenti di libertà, splendidi dal punto di vista tecnologico (Facebook, Twitter, WhatsApp, Instagram e altri), dietro lo sbandierato fine della socializzazione e della condivisione, non fanno altro che controllarci e sottrarci la parte importante della nostra vita, noi stessi.
Utopia, anzi distopia? Ricordiamoci che noi abbiamo già il nostro "Roccobello" Casalino.