Sopra: la Cattedrale di Notre-Dame di Nizza il mattino del 29
ottobre
Sotto: Erdogan e Macron
È il famoso incipit del "Riccardo III" di William Shakespeare. Ma è un inizio che trae in inganno, poiché il drammaturgo dice: «
Ora l'inverno del nostro scontento è mutato in splendida estate grazie a questo sole di York».
Se per il bardo l'inverno stava finendo trasformandosi in splendida estate, per noi l'inverno sta arrivando e le prossime stagioni non appaiono certo benevole.
È un fine ottobre cupo e terribile: la pandemia di coronavirus continua a espandersi in Italia, in Europa e nel resto del mondo e sembra non voler dar tregua. Stanchezza, rassegnazione e rabbia si stanno infiltrando ovunque e la medicina più preziosa - la speranza - che ci aveva sostenuto nei primi bui mesi di questa primavera, sembra ormai averci abbandonato.
In questo scenario già terribile di per sé, altre notizie vengono ad aggravare il nostro fardello. Una pandemia che pensavamo dimenticata è ritornata a darci la sveglia e a fugare le nostre illusioni.
All'interno della Cattedrale Notre-Dame, in Avenue Jean Medicin, a Nizza, nel sud della Francia, un uomo armato di coltello verso le nove del mattino ha decapitato una donna di 70 anni, ha colpito uccidendolo il sacrestano e quindi ha ferito una seconda donna che è riuscita a fuggire, ma poi è morta per le ferite riportate.
L'assassino si chiama Brahim Aoussaoui, è un Tunisino di 21 anni arrivato in Europa ovviamente in modo illegale ed estremamente facile: sbarco a Lampedusa nel mese di settembre, confuso tra le migliaia di clandestini accorsi da noi senza problemi, e poi a ottobre se ne è andato in Francia. A Lampedusa era stato messo in quarantena dalle nostre autorità e poi assoggettato all'obbligo di lasciare il territorio italiano e quindi lasciato libero.
Esattamente come Anis Amri, responsabile dell'attentato al mercatino di Natale di Berlino nel 2016 (12 morti): anch'egli arrivato a Lampedusa nel 2011 (si dichiarò minorenne) e poi spostatosi in Germania.
Lo scorso 16 ottobre, ancora in Francia, periferia parigina, Samuel Paty, professore di storia in una scuola superiore, è stato decapitato da un jihadista ceceno con il solito rituale grido di «
Allah è grande». Il suo torto è stato quello di aver mostrato alcune vignette di Maometto riportate dalla rivista satirica Charlie Hebdo durante una lezione sulla libertà di espressione. I genitori di alcune sue allieve di religione islamica hanno denunciato il fatto nella loro comunità innescando quindi la reazione.
Nel Corano la sura VIII, detta "la sura del bottino", al versetto 12 recita: «
io getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono, e voi colpiteli nelle nuche».
Il macabro rituale della decapitazione nasce dalla stretta osservanza di quei dettami e le vittime di mattanza si contano ormai troppo numerose: dai giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff all'ostaggio, sempre americano, Peter Kassig, a quella controversa di Nick Berg per arrivare a quella dei 21 cristiani copti in Libia.
E noi continuiamo a spostare l'asticella della tolleranza ancora più in là e mascheriamo il nostro orrore dietro parole banali e stereotipate. Le dichiarazioni vuote dei nostri meschini politici, dal Presidente della Repubblica al Capo del Governo al Ministro degli Esteri, nella loro vacuità vanno bene per qualsiasi circostanza. La parola islam non viene mai pronunciata, quasi che a uccidere questi ultimi Francesi siano stati i marziani. Il Papa ci fa sapere che «
al male bisogna rispondere con il bene»: mi piacerebbe ci facesse sapere cosa vuol dire questa frase così inutile e come si fa.
Del resto basta leggere queste parole: «
Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi tra i saraceni o altri infedeli [...], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio».
Le parole che mi hanno colpito sono nell'ultima frase: «
soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio», e qui si riferisce ai musulmani del sultano Malik-al-Kamil. Questa frase è tratta dal punto 3 dell'enciclica "Fratelli tutti". Sottomissione, quindi.
Ma torniamo alla Francia.
La reazione del presidente francese Macron è stata inaspettatamente chiara. Ha dichiarato che la cultura islamista tende a costituire una "controsocietà", nella quale sono bandite la libertà di espressione e la libertà di coscienza. Ha anche ammesso, ma è in buona compagnia, che correnti ritenute pacifiche come il wahabismo, il salafismo, i Fratelli Musulmani e altre, si sono radicalizzate grazie alla tolleranza dello Stato e anche ai cospicui finanziamenti che vengono dall'estero. In Francia 151 imam sono pagati dalla Turchia, 120 dall'Algeria e 20 dal Marocco.
Ha promesso il pugno duro: chiusura delle scuole religiose controllate dagli imam, divieto di simboli religiosi come il velo, espulsione immediata di chi anche online inneggia all'ideologia jihadista, messa al bando di numerose associazioni islamiche e poi un freno alle tante concessioni, dai menù religiosi nelle mense scolastiche alla separazione di uomini e donne nelle piscine pubbliche.
Le reazioni del mondo islamico non mancheranno, così come non si sono fatte attendere dopo quelle dell'Eliseo di metà ottobre: in primis dal presidente turco Erdogan, che ha dichiarato che Macron avrebbe avuto bisogno di una perizia psichiatrica e ha paragonato la discriminazione che - secondo lui - sarebbe in atto nei confronti degli islamici a quella patita dagli Ebrei; oppure quella della celebre Università cairota di al-Azhar - referente istituzionale dei candidi cristiani progressisti che vedono ancora l'islam come una religione d'amore e tolleranza - che ha definito il discorso di Macron come "razzista". Qualcuno di questi ha speso una parola di condanna nei confronti dell'attentato? Nessuna.
È indubbio che la politica francese sia stata per troppo tempo ambigua: dalla concessione continua di privilegi alle comunità islamiche (spazi per moschee e scuole coraniche, pasti diversificati nelle scuole e altro) in nome di una libertà di espressione che poi non è più riuscita a controllare; e poi la solidarietà palese e sotterranea con le Ong quali "Sos Méditerranée" o "Médecins sans frontières" che hanno fatto della immigrazione a ogni costo il loro principale vessillo; inoltre la chiusura sistematica dei porti francesi agli sbarchi dei migranti, convinti che tanto se li sarebbe accollati l'Italia. Così è stato, infatti: ma è troppo facile sfuggire dalle maglie extra-large delle nostre istituzioni, convinte che un foglio di via avrebbe risolto ogni problema.
Michel Houellebecq nel suo "Soumission" (vedi Excalibur n. 84, gennaio 2015) aveva a modo suo ben messo in evidenza le conseguenze di una politica così lassista, senza alcuna strategia di fondo. Il futuro era quello di una Francia - per opportunità politica - lentamente islamizzata. Naturalmente era stato sbeffeggiato dai soliti narcisi dell'intellighenzia francese e ignorato dai nostri intellettuali di sinistra. Ma dietro tutti questi fatti si intravvede, nascosta o palese a seconda delle circostanze, la mano di un signore che sogna la rinascita di un nuovo impero ottomano: è il mandante morale degli attentati.
Per la Turchia di Recep Tayyp Erdogan quella che si dischiude da qualche tempo è un'occasione unica: diventare il principe della rinascita dell'impero ottomano.
Dopo aver scardinato dalle fondamenta quella magnifica costruzione che fu la Turchia laica di Ataturk, ora aspira a diventare il punto di riferimento della più estrema ideologia islamica: come capo dell'Alleanza musulmana stringe relazioni con tutti i movimenti estremisti, dagli sciiti di Hezbollah ai sunniti di Hamas, dalle cellule di al-Queda a quelle residue dell'Isis.
E i confini della sua azione vanno allargandosi sempre di più: se prima si limitava alle solite minacce verbali nei confronti di Israele e alle accuse di tradimento nei confronti di chi in qualche modo cercava di incamminarsi verso un'opera di normalizzazione con lo stato ebraico, ha superato poi il limite delle minacce verbali ed è passato alle azioni concrete inserendosi in conflitti e luoghi di tensione diversi: esistenti come in Libia e ora nel Nagorno-Karabakh, oppure creandoli come in Grecia e a Cipro.
È un'azione a tutto campo, nonostante la situazione interna della Turchia sia pessima: dalla crisi strutturale dell'economia, alle restrizioni in fatto di stampa, idee, libertà di religione.
La tensione tra Europa, Nato e Turchia (nonostante la sua appartenenza all'Organizzazione Atlantica, della quale è considerato un partner strategico), sia sul quadrante mediterraneo che sullo scacchiere caucasico e medio orientale, sta assumendo contorni surreali, grazie alla sua disinvolta politica estera.
In Siria prima ha appoggiato l'Isis, sfruttando la sua posizione e finanziandolo con l'acquisto clandestino del petrolio e permettendo il passaggio dalle sue frontiere di migliaia di combattenti, poi ha cambiato repentinamente schieramento dopo la discesa in campo della Russia di Putin (vedi il notevole libro di Gilles Kepel "Uscire dal caos"). Poi si è inserito nella contesa libica, appoggiando militarmente il fragile governo di Fayez al Serraj per avere accesso ai pozzi di petrolio e di gas libici, e questo mentre la Francia appoggiava il generale Khalifa Aftar. E quindi il contenzioso con Cipro e Grecia, paesi dell'Unione Europea, con la violazione dello spazio territoriale marittimo e della zona economica esclusiva delle due repubbliche.
E infine il Nagorno-Karabakh, regione a maggioranza armeno-cristiana, inserita nel territorio islamico turcofono dell'Azerbaijan: qui l'aviazione turca sostiene con i suoi bombardamenti le truppe azere guidate da consiglieri e istruttori turchi. Forse l'intenzione è quella di completare l'opera di soppressione di ogni presenza fisica e spirituale armena, cominciata all'inizio del secolo scorso.
La pace è il pericolo più grande di chi invece dal caos vuole emergere come un nuovo sultano. E quindi Erdogan usa le armi dove può usarle e usa le parole come fossero armi. La condanna del cosiddetto piano Abraham, che indica la volontà di accordo anche religioso tra Emirati Arabi, Bahrain e Sudan con Israele, è testimonianza della sua avversione verso lo spirito di pace che anima quegli stati.
Espansionismo, mescolando nazionalismo e islamismo, sono elementi destabilizzanti in un'area che ormai ha manifestato ripetutamente segni di stanchezza per un perenne stato di tensione e che comincia a non nascondere la sua insofferenza nei confronti del sultano Erdogan.
Poiché l'Europa è perennemente titubante e terrorizzata dall'arma dei profughi in mano a Erdogan, che può cinicamente minacciare un'invasione dell'Europa da parte di milioni di disperati (nonostante la profusione di miliardi elargitigli dall'Unione Europea), vediamo se il cosiddetto islam moderato in qualche modo può venirci in soccorso.
Non illudiamoci troppo: non sempre gli interessi di questi paesi, in primis l'Arabia Saudita, coincidono con i nostri.
La politica è un gioco troppo sporco perché le mani e le coscienze restino sempre immacolate.