Sopra: Yoram Hazony
Sotto: il frontespizio dell'edizione in
lingua inglese
Non si è parlato tanto di confini e di Nazioni come in questo triste periodo nel quale il Coronavirus imperversa, quasi indisturbato, nel mondo intero.
Per difendersi da questa piaga globalizzata si adottano misure estreme: quarantena nei focolai di infezione, chiusura degli spazi e delle manifestazioni pubbliche, blocco dei voli aerei e delle frontiere.
L'Italia è una delle nazioni sotto particolare osservazione e dalla quale occorre difendersi.
Questo blocco dei confini è certamente un paradosso in un mondo nel quale sembra che l'abolizione di qualsivoglia confine e la mescolanza di popoli, culture, etnie sia l'assoluta ricetta delle felicità.
Diventa quindi di estrema attualità un libro audace, scomodo ma bellissimo, con un titolo che da solo suscita scalpore: "Le virtù del nazionalismo" di Yoram Hazony.
Il libro ha vinto il premio di Conservative Book per il 2019, un riconoscimento che il mondo conservatore statunitense attribuisce all'opera più significativa e innovatrice del mondo liberale (nell'accezione europea del termine).
Hazony è un uomo di 55 anni, con un viso da ragazzino, occhiali tondi fuori moda e carattere decisamente timido. È un filosofo, teorico politico e biblista, presidente del "The Herzl Institute" e fondatore del "Shalem Center", avanzato centro di ricerca e promozione degli studi umanistici, in cui si integrano tradizione e modernità, una di quelle istituzioni che solo Israele può permettersi.
Fin dall'introduzione Hazony espone i due concetti contrapposti.
Definisce il nazionalismo come «
un punto prospettico, imperniato su dei valori, che considera il mondo come governato al meglio quando le nazioni sono in grado di pianificare autonomamente il proprio sviluppo, di coltivare [...] le proprie tradizioni [...], di perseguire liberamente i propri interessi».
Tutto ciò si oppone all'imperialismo «
mirante a portare la pace e il benessere al mondo, unendo il più possibile il genere umano sotto un singolo regime politico».
Siamo solo a pagina 13 di un libro di 323 pagine ed esplode il primo concetto che contrasta il banale luogo comune che tutti - giornalisti, opinionisti, conduttori televisivi, politici, presidenti della Repubblica e financo uomini ispirati dallo Spirito Santo - sbandierano come verità inconfutabili: il concetto che la nazione è sinonimo di chiusura, di povertà di spirito, di gretto provincialismo e, se poi trascende, diventa nazionalismo e quindi fascismo, razzismo, xenofobia.
Questa è la vulgata corrente che imperversa in giornali, tv, discorsi e omelie: una montagna di banalità e falsità.
Poi dall'alto di chissà quale autorità un personaggio come Macrom proclama che le nazioni sono superate e che le nazioni portano alla guerra. Gli fa eco Sua Santità quando prefigura come causa delle due guerre mondiali il nazionalismo europeo. Sciocchezze.
Quelli che nel 1914 si scontrarono non erano stati-nazione ma imperi (austro-ungarico, britannico, ottomano, russo e anche francese, almeno di fatto) e la guerra fu originata da espansionismo imperiale (come videro e definirono due opposti come Lenin e Hobson).
Per quanto riguarda la seconda guerra mondiale è veramente assurdo definire il nazismo come nazionalismo: Hitler non era un nazionalista ma un imperialista in cui l'idea di razza travalicava i confini nazionali per espandersi in spazi imperiali. Il Terzo Reich non era che il terzo "impero", dopo il primo, il Sacro Romano Impero (Heliges Romisches Reich), e il secondo, l'impero germanico (Deutches Kaiserreich), durato fino alla Repubblica di Weimar.
Hazony sostiene che il nazionalismo è una virtù e lo spazio della nazione è quello più naturale nel quale una comunità politica possa crescere, comunità nella quale la democrazia è alla base della convivenza e nella quale i suoi membri possano esercitare un controllo sulle proprie sorti. In sintesi per Hazony «
la nazione è una comunità politica che si riconosce in una certa cultura e in una certa lingua, in un sistema di valori condiviso; i suoi confini costituiscono lo spazio in cui si esercita la libertà di un popolo e in cui anche le minoranze possono e devono essere tutelate».
In questa frase ci sono tutti i concetti che il politicamente corretto non condivide: cultura, lingua, valori, confini.
Non esiste di contro una democrazia transnazionale, che cioè si estenda oltre lo spazio della nazione. Se esiste non è democratica.
Hazony parte da lontano: insigne biblista, mostra che la nazione non è un concetto recente, ma affonda le sue radici nell'Antico Testamento, dove il popolo ebraico è organizzato in nazione e che il nemico di questa nazione è - già da allora - l'impero.
Egli sostiene paradossalmente che la libertà è possibile solo grazie ai confini. In un'intervista a Radio Padania cita tre dei dieci comandamenti: il quinto (non uccidere), il settimo (non rubare) e il sesto (non commettere adulterio). Sono confini tracciati per proteggere la nostra libertà: la vita, la proprietà e la famiglia. Confini che difendono l'individuo, la famiglia, il clan, la nazione.
Al concetto di nazione Hazony contrappone quello dell'impero: esso rompe il rapporto tra popolo e nazione, poiché è necessariamente multietnico, si estende su spazi molto vasti e non consente al popolo di esercitare alcun controllo.
È una forma incompatibile con la democrazia: negli imperi un'èlite (a volte neppure eletta) prende le decisioni e la periferia è abbandonata a sé stessa.
Ancora Hazony: «
ove un dirigente ha in mente di essere il più intelligente di tutti e pensa di amministrare un paese meglio dei suoi stessi rappresentanti, lì c'è una mentalità imperiale».
Impero sono i super Stati, le mega burocrazie, i poteri sovranazionali, i colossi transnazionali del web.
Impero è l'Unione Europea. Tutto ciò che è troppo grande e anonimo, che non ha o ha perso le sue radici (o le rinnega come ha fatto l'Unione Europea cancellando le radici giudaico-cristiane della sua cultura), tutto ciò che non ha un volto.
E per Hazony, che non lo dice espressamente ma lo lascia intendere, l'Unione Europea ha un centro di potere imperiale: la Germania.
La stessa Merkel ha confessato, in un'intervista al Financial Time di fine gennaio scorso, che Europa e Germania coincidono negli interessi e nelle strategie. Non ha parlato di obiettivi e di visioni comuni, ma di interessi e di strategie per perseguirli, perché ciò che va bene alla Germania va bene anche per l'Europa.
E noi qui stiamo ancora a baloccarci con questo mantra europeo, non vedendo che l'Unione Europea è già strutturata come un impero, fallace e fallimentare, privo di un centro (ma c'è la Germania) e guidato da un'autorità non politica ma tecnocratica.
In questi giorni di Coronavirus nei quali - in teoria - una comunità coesa, con interessi condivisi dovrebbe perseguire e mettere in campo difese comuni ed esprimere solidarietà non solo verbale a uno dei suoi consociati, assistiamo a episodi sconcertanti che esprimono il vero volto dell'Europa e l'ipocrisia che la permea.
Oltre a confini chiusi da parte di nazioni a noi vicine, quando cominciava a delinearsi la nostra crisi sanitaria, la Comunità europea si è riunita per esaminare se le politiche italiane nei confronti di Alitalia prefiguravano o meno "aiuti di Stato".
Questo mentre in Italia e non solo, contavamo il numero dei contagiati e dei morti.
E il nostro dilemma politico è quello di mettere in campo risorse economiche per fronteggiare la prevedibile recessione e dare aiuto alle categorie colpite. Ma bisogna fare attenzione: ci sono i vincoli di sforamento del deficit, di rapporto debito/Pil da osservare, altrimenti potrebbero arrivare sanzioni.
A meno che il conclave dei burocrati europei non chiuda un occhio e ci conceda un'elemosina e qualche deroga. Come a dei mendicanti e non a una Nazione sovrana.
Questa è l'Europa.