Sono senza bandiere, ma cantano "Bella ciao"...
Sono questi i giorni in cui migliaia di "sardine" affollano le piazze d'Italia cantando in modo ossessivo "Bella ciao" per esorcizzare un improbabile pericolo fascista, mentre i complici del verbo politicamente corretto nulla fanno per stigmatizzare l'odio verbale che scaturisce impetuoso da tutti i media. Ed è questa la constatazione che ha dato origine al mio modesto scritto.
Mi è infatti capitato di rilevare con quanta ipocrisia il fenomeno "fascismo" venga affrontato in televisione servendosi di personaggi come Mattarella, Paolo Mieli e Corrado Augias.
Partirò dal Presidente della Repubblica, il quale dal podio quirinalizio indirizza in continuazione alati messaggi di democrazia agli Italiani: pensa forse che diventerebbero migliori se facessero proprio il suo verbo democristiano? E le occasioni per queste esercitazioni verbali non mancano, a cominciare dalle continue commemorazioni delle rappresaglie tedesche e fasciste che hanno insanguinato gli anni della guerra civile, ma dubito che mi capiterà di sentire dalle sue labbra parole di fraternità e di rispetto per i Caduti dell'altra parte: ad esempio dei sette fratelli Govoni.
Con lo stesso intento, ricorre invece a qualsiasi occasione "impegnata" valga la pena di mettere in campo, dal conferimento di titoli di cavalierato a una delegazione di imberbi studentelli, alla evasione fiscale e tutto nel paludato contesto che abitualmente contraddistingue gli incontri importanti ai quali sono presenti gallonati ufficiali e reparti in armi che nonostante l'apparenza sono ben lungi dall'essere espressione di un radicato spirito militare.
Per quel che riguarda Paolo Mieli le contraddizioni si rivelano particolarmente vistose quando attinge a piene mani ai filmati dell'Istituto Luce: poche settimane fa ho avuto modo di vedere una proiezione sul Regime che concerneva colonie marine traboccanti di ragazzi festanti, pregevoli esempi di edilizia razionalista e non si trascurava il servizio paramilitare, dove balilla in calzoncini corti e moschetto in spalla prestavano servizio a Piazza Venezia: facevano molta tenerezza, più che suscitare inarrestabili turbamenti antifascisti, ma erano comunque espressione di una generazione in erba educata all'amor di Patria, che non si sottrasse al suo dovere quando la parola passò alle armi.
Certo il Regime era illiberale, ma l'abile scelta delle inquadrature che traspare dai filmati fa ipotizzare una qualche indulgenza, e forse anche apprezzamento, per l'impianto corporativo conferito all'assetto statuale, alla legislazione del lavoro e all'impulso dato all'arte, compresa quella cinematografica.
Veniamo infine a Corrado Augias, vetero comunista, uomo colto e intelligente ma di indubbia faziosità, che con la trasmissione "Città segrete" ha abilmente mischiato le carte, su Roma, per infilarci gli Ebrei travolti dal furore nazista di Kappler, o su Venezia, per esaltare, cosa da non credere, un gerarca del calibro di Giuseppe Volpi di Misurata, imprenditore di vaglia che affidava alla Mostra del Cinema e agli impianti petroliferi di Porto Marghera il rilancio dell'economia veneziana.
Ma vorrei tornare alla violenza intrinseca del verbo antifascista suscitata dalle sardine, ma che viene ampiamente avvalorata anche da De André con la terribile litania di morte della "Guerra di Piero". Ne ricordate le parole? «
Sparagli Piero, sparagli ora / e dopo un colpo sparagli ancora / fino a che non lo vedrai esangue / cadere in terra a coprire il suo sangue».
Tutto ciò basta e avanza, non vi è da equivocare sulle vere intenzioni degli "amabili" avversari e non a caso il termine partigiano ricorre così di frequente nel linguaggio delle "sardine", quasi a invocarne l'appoggio.
Non alimentiamo vane illusioni, conserviamo ben salde le nostre idee, custodiamo nei nostri cuori le canzoni della Patria e non leviamo in alto il braccio destro nel saluto identitario: gli altri lo detestano e lo ritengono provocatorio. Invano attenderemo da loro una parola di cristiana comprensione: i fascisti la comprensione non la meritano!
Per questo negli anni della guerra fratricida sono stati uccisi a migliaia, come cani rabbiosi, come fu atroce la morte del Duce che fu tra i primi a essere abbattuto quando venne l'alba della "radiosa insurrezione".
I fascisti non sono scomparsi, ma gli altri, i continuatori della resa dei conti del 25 aprile, sono dietro l'angolo, pronti a dare inizio a una nuova carneficina. I fascisti non hanno diritto di vivere, noi siamo gli sconfitti, noi, come affermava Paul Serant, siamo i vinti della Liberazione.