Fertilia, dalla inconfondibile architettura
Tra il 1943 e il 1954 circa 350 mila Italiani della Venezia Giulia, di Zara, di Fiume, di Pola, del Chersoneso e di Lussino, dell'Istria e della Dalmazia dovettero abbandonare la loro terra, come prevedeva il progetto politico e criminale jugoslavo di eliminazione fisica della presenza italiana nel confine orientale.
Terrorizzata dagli eccidi delle foibe, la maggior parte dei profughi si diresse verso la Penisola nei purtroppo famosi "campi di raccolta"; di qui smistati in tutta Italia in un centinaio di "campi profughi" sparsi per ogni regione italiana.
La vita dei rifugiati non fu affatto facile: giungendo nel nostro paese erano convinti di essere riconosciuti come Italiani. Si dissero: «
Ci tratteranno bene. Siamo scappati per poter rimanere Italiani».
E invece, come racconta lo storico Giuseppe Parlato, essi furono considerati dai sindacati e dal Partito comunista italiano «
dei fascisti che avevano rifiutato il paradiso socialista per andare in un paese capitalista». Furono oggetto di attacchi vergognosi: alla stazione di Bologna i sindacati impedirono, al treno di profughi che chiedevano di rifocillarsi, di fermarsi. Dovettero proseguire fino ad Ancona perché i sindacalisti avevano minacciato lo sciopero generale e "l'assalto al treno".
Anche la vita quotidiana fu difficile: per il dialetto, che molti Italiani consideravano straniero, e per i cognomi in -ic e con l'-h finale. La presenza nei campi durò anche una decina d'anni, ma nonostante il disagio i profughi mantennero una grande dignità, anche nei confronti del governo che non fu generoso.
Esso non li aiutò e impose una grave condizione: che non si parlasse della tragedia delle foibe e della questione giuliana. Infatti se la cultura di sinistra tacciava di fascismo chi intendesse studiare e approfondire il fenomeno, la parte democristiana ignorò la comunità giuliana affermando che non si dovessero sollevare problemi "nostalgici".
Questo fatto fu ancora peggiore per i profughi: ciò fu ancor più doloroso perché non solo dovettero rinunciare alle proprie radici e ricordi, ma anche a raccontare. Per giunta alcuni operai comunisti di Monfalcone (Gorizia) si indignarono per l'esodo: trovavano vergognoso che degli Italiani rifiutassero "una società giusta" come quella socialista, decidendo così di andare a lavorare in Jugoslavia; quando però Tito ruppe le relazioni con Stalin, furono arrestati e internati nei campi di rieducazione.
Un caso particolare di questa triste vicenda riguarda la presenza giuliana a Fertilia, nella Sardegna Nord-occidentale. Il nome della città fu un nome augurale di prosperità per i coloni che avrebbero dovuto giungerci nel 1942. La città fu infatti ufficialmente fondata nel 1936 dal regime fascista nell'ambito dell'ambizioso progetto di risanamento e di bonifica del territorio nazionale.
Grande importanza fu data alla città di Fertilia, come si può notare dall'articolo pubblicato nel 1936 nella rivista "L'Economia Nazionale": «
Nella regione della Nurra, un tempo fertilissima e ricca di commerci e di traffici, sorgerà Fertilia, nuovo centro rurale della grande opera di bonifica intrapresa dall'Ente Ferrarese di Colonizzazione. La bonifica della Nurra si inquadra nel piano di valorizzazione agricola, sociale ed economica promosso dal Regime per la valorizzazione della Sardegna fedelissima e rientra nelle grandi direttive della bonifica integrale».
Fertilia in origine fu quindi una città di fondazione organizzata per i contadini italiani. I lavori iniziarono nel 1939 per fermarsi nel 1942. Nel secondo dopoguerra Fertilia era ancora deserta, pochi erano gli edifici ultimati. I profughi giuliani vi giunsero a partire dal 1947, trovandosi ad abitare in luoghi inadatti e venendo inizialmente ospitati nell'Ospedale civile di Alghero.
L'arrivo dei rifugiati si intensificò negli anni successivi, con l'arrivo nel 1948 dei primi pescherecci carichi di esuli. Il 27 giugno 1948 sul giornale della città di Sassari, La Nuova Sardegna, si lesse: «
Incontro tra passato e futuro: questa l'essenza della storia di Fertilia».
Anche un filmato dell'Istituto Luce del 1949, intitolato "Giuliani in Sardegna", nominava Fertilia come «
La città incompiuta al secondo capitolo della sua storia». In un recente articolo sull'anniversario della sua fondazione, "I 50 anni di Fertilia: il fascismo e la bonifica della Nurra", Fertilia venne chiamata "la città nuova".
Queste documentazioni ci riferiscono la realtà: la città fu il più grande centro di accoglienza dei profughi giuliani che nel resto d'Italia venivano ospitati in caserme, campi di prigionia, scuole, conventi; "Fertilia dei Giuliani" fu quindi completata e popolata quasi interamente dai rifugiati. Certamente il nostro paese fu messo nella grave difficoltà di dover alloggiare gli esuli, per questo motivo si presentò la possibilità di ospitarli nella borgata di Fertilia.
Dalle testimonianze emerge che nell'ex colonia c'era una desolazione totale, non c'era niente: solo buche, non strade ma terreni incolti e sterpaglie. Agricoltori, braccianti e pescatori s'insediarono in maniera abbastanza numerosa; la maggior parte dei nuovi abitanti giunse a Fertilia negli anni successivi, tra il 1948 e il 1952 il numero dei rifugiati raggiunse il migliaio.
La vita degli esuli fu fin da subito difficoltosa, ma nonostante l'iniziale diffidenza tra gli abitanti del luogo e i Giuliani, ci furono anche grandi segni di solidarietà. I profughi non si persero d'animo e si organizzarono per essere autonomi rispetto alla comunità di Alghero.
Il governo istituì l'Egas (Ente giuliano autonomo di Sardegna) per assistere la popolazione e realizzare lo sviluppo sociale ed economico della cittadina. Il problema più grande era quello occupazionale. Gli iniziali investimenti nazionali riguardarono l'attività della pesca, ma furono fallimentari: si costituì a Fertilia un centro peschereccio, ma la disorganizzazione nell'accoglienza era tale che non ebbe la possibilità di svilupparsi.
Nel 1948 giunsero alcune imbarcazioni che avevano lasciato le coste slave, ma ben presto dovettero tornare nell'Adriatico perché nella zona non c'erano industrie e strutture adatte alla conservazione del pesce, quindi il mercato locale non era in grado di vendere il prodotto.
Ma con la nascita dell'Etfas (Ente per la Trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna) e grazie alla Riforma agraria, Fertilia si trasformò in un importante centro agricolo. Successivamente lo sviluppo turistico della Sardegna legò Fertilia alle bellezze naturali e storiche della zona di Alghero. Nel centro storico di Fertilia si trova l'obelisco con sopra il leone di San Marco con la scritta "Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia".
Le vie sono intitolate a Fiume, Pola, Zara e non sono andate perdute le tradizioni e il dialetto d'origine istro-veneta, come l'orgoglio e la dignità della sua gente.