EXCALIBUR 97 - aprile 2017
nello Speciale...

Guardia del Duce a Salò

I Legionari della Guardia del Duce in tenuta da combattimento (Gargnano 1944)
Nel mese di novembre la Legione venne dislocata dove era il cuore della vita privata e pubblica di Mussolini: Salò. Qui venne acquartierato il Comando Legione, presso la ex casa del Fascio, mentre la caserma fu individuata in palazzo Magnolini a Bogliacco.
È da questo momento che don Ledda, divenuto anche responsabile dell'assistenza spirituale della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) di Brescia, assunse la veste di soldato politico. Divulga il suo credo tramite i giornali "Brescia Repubblicana" (quotidiano del Partito Fascista Repubblicano) e "Mi Cup" (Foglio del gruppo fascista della Cultura Popolare), nonché nel settimanale "Crociata Italica", organo di un movimento cattolico radicale, con lo stesso nome, diretto dal parroco di Terni don Calcagno, che propugnava la nascita di una chiesa nazionale indipendente dal Vaticano.
Non dimentico poi delle sue origini isolane, alternandosi al sottosegretario F. M. Barracu, trasmetteva alla radio di Salò i suoi discorsi incitanti i Sardi alla ribellione contro gli Alleati e il governo del maresciallo Badoglio. Si racconta anche che la madre, nell'udire alla radio (la radio di Salò si sentiva benissimo in Sardegna) la voce del figlio di cui non aveva notizie da anni, svenne.
Fece anche parte della commissione speciale che vagliava le domande di adesione alla Rsi degli ufficiali del disciolto esercito regio. Agli inizi del 1944 destò particolare scalpore un suo discorso commemorativo dei caduti in Istria e Dalmazia nel quale individuò come nemico principale: «la rabbia comunista, fomentata dagli ebrei che già vendettero e uccisero Cristo, e dagli emissari di Mosca, prezzolati col dollaro e la sterlina [...]. Non profano il tempio di Dio se io, Sacerdote di Cristo, predico l'amore di Patria e la Guerra Santa. Perché non furono empi Urbano II, Pietro L'Eremita e San Luigi IX. Anche la nostra è una Guerra Santa. Combattiamo contro i nemici di Dio, della sua religione e della civiltà. Combattiamo contro l'anticristo: Il bolscevismo, gli Ebrei, i massoni, gli anglicani».
La cosa non piacque al cappellano provinciale di Brescia mons. Angelo Barcellandi, il quale scrisse al responsabile dell'Ordinariato militare della Santa Sede mons. Casonato, chiedendo la rimozione di quattro cappellani (di cui due Sardi): «Bosio don Fausto, già della VII legione contraerea, ora sciolta; Esti don Angelo, già di una unità della Mvsn mobilitata: questi due se li puoi destituire fai un piacere a me e ti sarà grato S.E. Mons. Vescovo di Brescia, per non dire la popolazione. Alla XV legione è stato mandato un tale don Ciceri, Sardo; questi non riconosce il cappellano capo; veste impenitentemente la divisa grigio verde, non rispetta le vigenti disposizioni per la divisa talare, tiene condotta immorale, non recita l'ufficio, ecc. Nel reparto delle Camicie Nere che c'è a Salò c'è un certo don Ledda; non l'ho mai visto. So di lui perché S.E. Mons. Vescovo mi mandò a chiamare per dirmi di lui: nella predicazione ai soldati non parla di vangelo e di dottrina, ma di politica: tiene una condotta immorale; anche gli stessi fascisti non lo stimano perché è sacerdote sfasato. Tutto questo per scaricarmi da ogni responsabilità personale e d'ufficio. Tu vedi quel che c'è da fare».
L'effetto della missiva fu controproducente, poiché, venutone a conoscenza il comando della Gnr, questo non solo chiese l'allontanamento di mons. Barcellandi ma, scavalcando l'Ordinariato militare, nominò, nel luglio del '44, don Ledda ispettore generale dei cappellani della Gnr. Si racconta anche (ma la cosa va presa con beneficio di inventario) che Mussolini personalmente gli offrì, in quella occasione, la nomina a generale, ma che il cappellano l'avrebbe rifiutata asserendo che preferiva rimanere capitano. Don Ledda, da par suo aprì un apposito ufficio a Salò e chiamò a farvi parte, scavalcando anche lui l'Ordinariato militare, don Ciceri, Sardo di Tempio, suo fraterno amico che tale rimarrà per tutta la vita.
Al suo insediamento, don Ledda inviò ai cappellani della Gnr il seguente messaggio: «Per ordine del Comandante Generale assumo la carica di Ispettore Generale dei cappellani della Gnr. In questa qualità vi porgo il mio saluto, confratelli sacerdoti in grigioverde [...]. Il grigioverde che indossate deve richiamarvi ai doveri del cittadino soldato [...]. Avete un arma. Il Crocifisso. Avete un mezzo. La parola. Parlate. La propaganda nemica ha sgretolato il nostro fronte interno. La propaganda deve rinsaldarlo [...]. Oggi si combatte una guerra santa contro i nemici della religione e della Civiltà».
Da luglio sino a ottobre procedette alla nomina di un gran numero di cappellani militari nei reparti della Gnr, in barba al nulla osta obbligatorio dell'Ordinariato militare. Ma questa volta Mons. Casonato puntò i piedi e, minacciando gravi sanzioni canoniche (probabilmente la sospensione "A Divinis", già erogata a don Ciceri), ottenne che don Ledda si dimettesse dall'incarico.
Da tutto quello detto sin ora, non deve trarsi l'impressione che l'attività del sacerdote, per quanto politicamente e ideologicamente orientata, fosse di tipo - diciamo così - "sedentario". Al contrario, don Ledda seguiva spesso e volentieri i reparti delle Camicie Nere nella lotta contro le formazioni partigiane. A metà aprile del '44, sul sagrato della cattedrale di Vercelli, di fronte alle bare di venti militi della 63ª Legione CC.NN. "Tagliamento" caduti a seguito di una imboscata partigiana, don Ledda così parlò alla popolazione che assiepava la piazza antistante il sagrato: «La grazia divina non può essere che con noi, malgrado le prove durissime e inevitabili a cui ci sottopone. Non può essere con coloro che a migliaia trucidarono i preti in Ispagna, violarono le monache - tratte dai conventi - sugli altari delle Cattedrali sconsacrate, mitragliarono dopo un carnevalesco processo la statua del Salvatore a Madrid, armarono e armano i fratelli contro i fratelli, i figli contro i genitori, gli Italiani contro l'Italia e ciò grazie al tradimento di un monarca indegno e di un gruppo di venduti. La grazia divina è con noi, i nostri morti - per il Risorgimento, l'Unità e la grandezza d'Italia - sono con noi, marciano davanti a noi e ci additano la strada da percorrere e i doveri da osservare e la giustizia da compiere. Perché i morti vogliono giustizia. Sacerdote di Cristo, io qui - al cospetto delle spoglie di venti vostri fratelli - proclamo la necessità della vendetta. Vendetta intesa nel senso cristiano, cattolico, apostolico, romano: giustizia!».
Questa è l'ultima testimonianza scritta che abbiamo di don Ledda nella Rsi.
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