Sopra: si ammaina la bandiera ucraina
Sotto: immagini di guerra civile che mai avremmo pensato di rivedere in Europa
L'attuale scontro tra Ucraini filo-occidentali e Ucraini filo-russi non ci meraviglia: è un dato ricorrente in questa regione da almeno due secoli, con l'Occidente rappresentato di volta in volta dai Polacchi e dai Tedeschi. Mentre i Russi, fossero essi zaristi o comunisti, sono sempre stati il punto di riferimento della parte orientale del paese.
Tant'è che nel corso della rivoluzione russa del 1917, sorsero in contemporanea la Repubblica Popolare Ucraina, con capitale Kiev, e la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina con capitale Kharkov. Per brevissimo tempo l'impero guglielmino tedesco riuscì a imporre ai Russi il riconoscimento della Repubblica Popolare Ucraina di Kiev. Come vedete nulla di nuovo sotto il sole. Sarebbe troppo lungo spiegare questa tragica dicotomia del popolo ucraino, né questo è indispensabile per la comprensione dell'attuale conflitto.
Più interessante è invece comprendere il perché della contrapposizione russo-americana nella zona.
Per i Russi l'Ucraina ha sempre avuto grande importanza sia da un punto di vista economico, un territorio vasto quanto il doppio dell'Italia, con una produzione agricola, soprattutto granaria, di tutto rispetto e un potenziale industriale forte, soprattutto nelle zone filo-russe, che da un punto di vista strategico, è infatti,
per i Russi, il punto di passaggio obbligato verso tutti i paesi dell'Europa occidentale.
Non è un caso, infatti, che, non appena i rapporti col vicino si sono deteriorati, i Russi abbiano iniziato la costruzione di un gasdotto sotto il Mar Nero che permetterà loro, a partire dalla fine del 2015, di bypassare il territorio ucraino portando direttamente il loro gas nell'euro-zona. Costo dell'opera: dieci miliardi di euro, di cui almeno due finiranno nelle casse della Saipem, azienda dell'Eni.
Per comprendere quanto fosse importante il controllo dell'Ucraina, che pure rappresentava meno del 3% dell'ex impero sovietico, basta dire che Hitler e Stalin, in trattativa segreta dal 1942 al 1944, per raggiungere una pace di compromesso, non si accordarono proprio sull'Ucraina che Hitler voleva mantenere nella sfera d'influenza tedesca, mentre Stalin non voleva assolutamente cederla per le ragioni sopra esposte. Un'altra esigenza di natura soprattutto militare è il controllo del Mar Nero, senza il quale la Russia vedrebbe messo in pericolo, in qualche modo, il proprio accesso al Mar Mediterraneo e la conseguente possibilità di intervenire in soccorso dell'unico stato del Mediterraneo di cui è alleato, cioè la Siria.
Questo è l'unico motivo che ha spinto il pur prudente Putin ad annettersi senza tanti indugi la penisola della Crimea con l'importantissima base di Sebastopoli che, data la situazione, poteva diventare una base per le flotte Nato o degli Usa.
Del resto, il controllo del Mar Nero fu un assillo anche nell'ex Unione Sovietica: nel 1940, quando era ancora in vigore l'intesa russo-tedesca, Stalin propose la stipula di un trattato di amicizia favorevolissimo per l'Italia: l'Urss avrebbe riconosciuto la supremazia dell'Italia nel Mar Mediterraneo in cambio del riconoscimento della supremazia dell'Urss nel Mar Nero. Non se ne fece nulla perché non volemmo urtare la suscettibilità del nostro alleato tedesco.
Quanto agli Americani, la loro contrapposizione in Ucraina è determinata da due fattori:
1) che il dinamismo di Putin possa riproporre la Russia come potenza mondiale destinata fatalmente a contrastare, almeno in certe aree, la loro egemonia,
2) tutti gli stati europei, eccetto l'Ungheria, che si sono liberati dal dominio sovietico, pur essendo sotto tutela Nato, vedrebbero malvolentieri, ai propri confini, una Ucraina filo-russa, anche perché alcuni di questi stati hanno, al loro interno, forti minoranze russofone che, sulla falsariga dei russofoni dell'Ucraina, potrebbero chiedere aiuto alla loro madrepatria.
Ma allo stato dei fatti, gli Americani, oltre i discorsi roboanti e le sanzioni più o meno ridicole non vogliono andare, altrimenti non avrebbero tollerato l'annessione della Crimea, formalmente un atto di guerra verso un paese loro amico. D'altro canto, la Russia, una volta annessa la Crimea, non ha nessun interesse ad annettersi altri territori. Il suo obbiettivo è una Ucraina federale e neutrale e ciò sarà inevitabilmente nella realtà delle cose.
Ma veniamo all'Italia. In questo tipo di conflitto, in maniera certamente contorta ed equivoca, ci stiamo comportando come sempre, sia che governi la destra, sia che governi la sinistra, cioè siamo dalla parte dei russi.
È stato per primo Berlusconi che, quando ancora la Russia era considerato stato pressoché fallito, ne promosse l'ammissione al G7 che divenne G8 proprio con la partecipazione russa. Da allora la Russia considera l'Italia un amico affidabile e disinteressato nelle cui mani ha posto il suo settore economico più importante: quello energetico. È infatti principalmente l'Italia quella che sovrintende alla modernizzazione dell'industria petrolifera russa, alla costruzione dei gasdotti, alla ricerca e allo sfruttamento di giacimenti petroliferi.
Ma non si creda che l'amicizia con la Russia poggi solo su basi economiche. Non molti sanno che, per esempio, il riavvicinamento tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa è il frutto di una fattiva mediazione di Putin e di Berlusconi con le rispettive chiese d'appartenenza. Né l'Italia si è tirata indietro di fronte a situazioni
estremamente delicate quali la crisi della Georgia e della Siria. Nel primo caso fu Berlusconi a stemperare i propositi bellicosi di Bush, nel secondo fu il ministro degli esteri Bonino a imporre un altolà a Obama.
Che poi gli Americani abbiano apprezzato questi interventi è un altro discorso. Nessuno ci toglie dalla testa che la mancata riconferma della Bonino nella carica di ministro degli esteri del governo Renzi non sia dovuta a un discreto intervento americano.