EXCALIBUR 71 - dicembre 2012
in questo numero

Green economy

Si impone, con estrema urgenza, un nuovo sistema socio-economico

di Beppe Caredda
Sopra: gli stili di vita vanno ripensati
Sotto: fotovoltaico, eolico, biomasse sono spesso oggetto di critiche feroci
Sarà la crisi, brutta, dura e lunga, o l'inevitabilità di dover adeguare, in termini socio-ambientali, l'impresa, la produzione e i consumi; sia quel che sia, la green economy, o economia verde, sempre più entra a far parte del linguaggio economico e politico, insinuandosi nella discussione, più che mai accesa, sull'urgente necessità di modificare al ribasso gli stili di vita, imponendo, piaccia o no, una decrescita selettiva.
Con green economy si intende un nuovo sistema socio-economico da attuare con l'applicazione integrata di un insieme di strumenti di pianificazione e regolazione che implica una riconversione di tutto il sistema produttivo e non solo della cosiddetta "industria ambientale", verso processi e prodotti sostenibili.
Si tratta di un vero e proprio cambiamento radicale che si impone come una necessità tecnica oltre ché culturale, in grado di promuovere una più equilibrata convivenza fra ambiente, qualità della vita e agire umano.
In Sardegna, come noto, la green economy sta muovendo i primi passi sperimentali; le iniziative più significative riguardano, ad esempio, il progetto di riconversione industriale "Matrica" a Portotorres, la proposta di un "utilizzo pulito" del carbone del Sulcis con cattura e sequestro dell'anidride carbonica, i progetti "Sardegna CO2.0", "Smart City", "Sardegna compra verde" e via via con programmi di edilizia eco-sostenibile, risparmio energetico, piste ciclabili, prodotti a Km zero ecc..
I presupposti e le condizioni per l'affermazione della green economy sono noti e affondano le radici non tanto o solo nelle cosiddette battaglie ambientaliste, quanto nelle giustificate reazioni a un sistema capitalistico distorto, resosi incapace, bisogna ammetterlo, di sottoporsi alla disciplina della concorrenza e sempre più incline a ricorrer alle vie più comode della collusione e dello scambio politico.
Non vi è tuttavia, nella green economy, il rigetto totale del "capitalismo", piuttosto la sua riproposizione in termini sostenibili, evitando, ma questo è il rischio, che il nuovo ordine economico che essa propugna possa confluire o essere fagocitato dal capitalismo finanziario per finire nel grande circuito della finanza globale, quella oggi molto discussa e criticata.
La green economy viene però brandita come la bacchetta magica capace di segnare le vie d'uscita dall'attuale crisi. Sarà, e tuttavia in mancanza di idee e con prospettive colorate di lacrime e sangue, senza alternative che non siano le solite banalità elettorali, immersi nella confusione più totale, si può anche tentare. D'altronde siamo tutti o quasi convinti che l'attuale modello di produzione e di consumo vada radicalmente cambiato e che gli stili di vita debbano essere ripensati e adeguati alle gravose difficoltà e necessità del presente.
Compito della Politica, che di questa nuova impostazione se ne fa interprete e portavoce, deve essere però quello di creare condizioni e politiche che rendano davvero possibili i nuovi modi e sistemi di fare impresa innovativa. Impresa in grado di generare valore e ricchezza, non di sciupare risorse. Ma sugli incentivi per il potenziamento della ricerca e l'innovazione, come richiede la green economy, troppo si parla e poco si fa; l'aggiornamento professionale e la formazione imprenditoriale non sono adeguatamente considerati e supportati; la sensibilizzazione dei consumatori all'acquisto e all'utilizzo di beni e servizi innovativi ed efficaci in termini di qualità ambientale e sostenibilità economica non è sufficientemente promossa e incentivata.
Insomma, si studiano e si applicano affinamenti tecnologici per migliorare le prestazione della "candela", ma il salto verso la "lampadina" deve ancora avvenire.
Nel frattempo, si continua a criminalizzare la produzione e il consumo "tradizionali" senza che ancora vi sia appunto l'auspicata alternativa eco-sostenibile, efficace e remunerativa.
Arriverà? È solo una questione di tempo? Speriamo, anche perché, per come stanno le cose, è difficile continuare a credere che la ripresa dei consumi possa avvenire attraverso l'aumento del potere d'acquisto dei consumatori o l'aumento della produttività o una rinnovata fiducia degli investitori e dei mercati finanziari.
La realtà è che il nostro sistema produttivo si regge, fra le tante, su imprese come l'Ilva di Taranto, la stessa Fiat, l'Alcoa, l'Eurallumina, la Saras, ecc., fino alle piccole e medie imprese, tutte più o meno emblematiche di un sistema che scricchiola e non regge più il peso del diritto al lavoro, del diritto alla salute, del diritto alla qualità ambientale.
Diritti acquisti, certamente, e tuttavia non sempre e ovunque fra loro conciliabili. Tentare di aumentare il reddito spostando il peso fiscale dal lavoro e dalle imprese verso le attività più inquinanti e dannose può essere un buon espediente prima che una necessità.
Attribuire, però, come si fa, un prezzo all'inquinamento secondo il criterio "chi inquina paga" è certamente suggestivo e psicologicamente impattante, ma rimane in fondo e di fatto una possibilità, una scappatoia certo onerosa, a continuare a inquinare pur dietro pagamento.
Bisognerebbe, invece, dare un po' più di fiducia e credibilità anche a un altro criterio che prevede la detassazione degli utili d'impresa, se e quando investiti in opere e miglioramenti tecnologici ambientalmente compatibili. Certo, individuare imprese in attivo (per il fisco) è sempre stato un bel problema, ma richiedere il pagamento del danno ambientale è forse ancora più difficile.
La possibilità di detassare gli utili al fine di migliorare il rendimento ambientale dell'impresa, ma anche poter contare su finanziamenti agevolati e/o agevolazioni fiscali, su politiche economiche certe e di lungo periodo, oltre che su un supporto tecnico-scientifico o su piani formativi adeguati, può invogliare l'imprenditore a operare effettivamente e convenientemente per il cambiamento, specie se, come dicevo, la politica incoraggiasse e incentivasse efficacemente il consumo dei beni e servizi prodotti appunto da imprese sempre più a norma e tecnologicamente all'avanguardia.
Ma ciò che deve essere chiaro è che anche con la green economy, in quanto comunque impresa e produzione, l'assetto del territorio e le sue risorse, il paesaggio e l'ambiente, non sono fattori o elementi di poco conto.
E qui torna in ballo l'annosa questione dei diritti alla salute e al lavoro, della salvaguardia ambientale e dei tanti vincoli e impedimenti posti all'attività d'impresa e all'uso del suolo.
Non sfuggono infatti i pareri e i giudizi non sempre unanimi ad esempio sulle nuove tecnologie energetiche, uno dei cavalli di battaglia della green economy. Il fotovoltaico, l'eolico, le biomasse e via elencando sono spesso oggetto di feroci critiche sul piano ambientale non meno che su quello della sostenibilità economica. Così è anche circa l'introduzione di prodotti cosiddetti ecologici negli acquisti di materiali di consumo, il tanto discusso miglioramento della gestione dei rifiuti, la riduzione degli imballaggi, i sistemi per la riduzione degli inquinamenti, i mezzi e le infrastrutture per la mobilità sostenibile, i sistemi di risparmio idrico, la difesa del suolo, ecc..
Eppure tutti, a destra come a sinistra, sono convinti che quella della green economy sia la strada giusta.
Afferma Realacci: «Per uscire dalla crisi è necessario (come sostiene Renzi nel suo programma, n.d.r.) puntare sulla green economy, sull'innovazione, sulle rinnovabili, sulla cultura e sulla vocazione italiana alla qualita»; oppure «La green economy è l'asse centrale del nostro futuro produttivo e industriale», come sostiene Laura Puppato.
Cappellacci non è da meno e, col plauso di tanti, afferma: «Dobbiamo puntare all'industria ad alto valore aggiunto, come la green economy; il futuro del Sulcis è questo»; oppure: «Il turismo da solo non è sufficiente, dobbiamo puntare all'industria come la green economy, che è coerente con l'immagine dell'isola delle vacanze e rispettosa dell'ambiente»; o ancora: «Chimica verde: una nuova sfida per la Sardegna; inaugurato a Porto Torres il nuovo centro di ricerca per la chimica verde e firmato la convenzione-quadro tra la Regione, Matrica e le Università degli studi di Cagliari e Sassari».
Ma la cronaca giornalistica e non solo su queste affermazioni e iniziative pone serie domande ancora in attesa di risposte convincenti.
Indiscutibilmente, però, ciò che risalta e preoccupa è che "fare" non è proprio possibile e ogni discussione in merito è pertanto inutile e distrae l'attenzione dal vero problema: il costante impoverimento della popolazione, dell'ambiente e del Paese.
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