L'abbraccio che ha fatto il giro del mondo tra l'appena rieletto Barack Obama e la moglie Michelle
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La storia americana continua grazie a voi. Il meglio deve ancora venireÅ.
L'uomo degli slogan ha vinto ancora e queste sono state le prime affermazioni del 45mo presidente degli Stati Uniti, Barak Hussein Obama, confermato per un secondo mandato.
La sua rielezione è stata in bilico solo apparentemente, anche se i 332 grandi elettori su 538 (270 erano quelli necessari per la maggioranza) sono ben inferiori ai 365 conquistati nel 2008, quasi 9 milioni di voti in meno. E la conquista del Senato ma non della Camera fa presagire un mandato non certo tranquillo.
Vittoria comunque ottenuta come frutto di una strategia accorta: il liberal Obama aveva come garanzia Bill Clinton schierato al centro, mentre il moderato Romney - di scarsa leadership - era abbinato al radicale Paul Ryan. Un abbinamento perdente.
Ma quale scenario si presenta davanti agli occhi del nuovo-vecchio presidente e quali sono i principali problemi che dovrà affrontare?
In economia siamo in presenza di una nazione che non cresce abbastanza e di un tasso di disoccupazione inchiodato intorno all'otto per cento. La ricetta presentata da Obama durante la campagna elettorale, oltre a prevedere un inasprimento fiscale nei confronti dei maggiori contribuenti, punta sulla tipica formula keynesiana con lo stato che con i suoi stimoli deve rimettere in moto l'economia: quindi finanziare l'istruzione, la ricerca, le infrastrutture. Spesa pubblica e alta tassazione sembrano essere le pietre miliari sulle quali fondare il nuovo stato.
Per quanto riguarda l'Europa, certamente essa non è un problema per il nuovo presidente, ma sarebbe stato così anche per lo sfidante: l'Europa non conta proprio nulla. L'amore di Obama per il nostro continente è un amore tiepido, di convenienza. In effetti gli interessi americani sono rivolti in tutt'altra direzione (Medio Oriente, Cina, Russia) e la nostra influenza e importanza sono ridotte ai minimi termini. Da molti anni gli Stati Uniti sono in una fase neo-isolazionista e la figura di "guardiano dell'impero" non è certo la più gradita: troppi sono i problemi interni ed esterni che essa deve affrontare. Se l'economia americana sarà in grado di ripartire, l'Europa ne trarrà solo un indiretto beneficio. Non si fa più credito.
In Medio Oriente non cambierà assolutamente nulla. Se Israele propendeva per Romney - magari solo in virtù dell'esplicito appoggio da esso manifestato - la rielezione di Obama lascia le cose immutate dal punto di vista delle strategie future. Quattro anni sono passati: il discorso filo islamico di Obama tenuto all'Università del Cairo, l'inchino al monarca saudita, l'apertura a tutte le "primavere" arabe, anche con l'uso della forza nei confronti della Libia, sono testimonianza della sua visione di questo esplosivo angolo di mondo. E la sua rielezione non determinerà certo un cambiamento della sua politica.
Ma lo scenario è cambiato: l'Iran è sempre più vicino alla sua atomica e la "primavera araba" tanto decantata ha lasciato sul terreno un Islam in mano ai Fratelli Musulmani poco propensi ai cambiamenti e alle concessioni. La Siria continua a essere un inferno, la Libia non è capace di fermare gli assassini dell'ambasciatore americano e infine centinaia di missili partiti dalla Striscia di Gaza verso Israele hanno di nuovo infiammato la zona.
Può darsi che questa nuova fase militare tra i Palestinesi e Israele sia banalmente voluta per allontanare la paventata azione militare dello stato ebraico nei confronti dell'Iran, ma è indubbio che la forza e la presenza americana nella zona siano irrilevanti.
Certo Obama, almeno a parole, appoggerà Israele e il suo diritto alla difesa, ma fra un po' ci dimenticheremo le centinaia di razzi islamici che hanno originato questa tragedia.
Al Cairo e a Gerusalemme si è presentata Hillary Clinton che con una estenuante spola ha composto la situazione. Ma il merito per tutto il mondo è andato al "faraone" egiziano Morsi, il quale, inebriato da tale vittoria, ha deciso di accaparrarsi, dopo il potere legislativo e quello esecutivo, anche il potere giudiziario. E la folla è ritornata in piazza come ai tempi di Mubarak. Non so come andrà a finire questa vicenda, ma certamente la "primavera" sembra ancora lontana, e con essa è lontana qualsiasi somiglianza con la democrazia.
Affinché le cose cambino, occorre che la politica di Obama perda quell'ambiguità che è stato il suo carattere distintivo degli ultimi quattro anni.