EXCALIBUR 60 - giugno 2010
in questo numero

Il vero processo che portò all'unità d'Italia

Il ruolo di Pio IX in una lettura diversa della storia d'Italia

di Don Chicco Locci
Sopra: il 150º anniversario dell'Unità d'Italia
Sotto: Papa Pio IX, nato Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878)
Fervono i preparativi per festeggiare il secolo e mezzo dell'unità d'Italia, e tutti sembra siano concordi nel magnificare i meriti e le gesta di coloro che la vollero fortemente e la conseguirono abbattendo il potere temporale della Chiesa, da loro considerato unico vero nemico dell'unità stessa.
C'e' addirittura chi ipotizza che la Chiesa dovrebbe ringraziare gli eroi del Risorgimento per averla liberata dalle incombenze "terrene", permettendole così di volare più "alto" nel mondo delle spirito. Si sorvola in genere su alcuni non trascurabili dettagli:
1) la Chiesa non era contro l'unità d'Italia, anzi ebbe e perseguì un suo "progetto" di unità nazionale;
2) il cosiddetto "potere temporale" dei papi non era brama di potere, ma conditio sine qua non affinché la Chiesa potesse esercitare, senza condizionamenti, la sua missione universale libera dalle ingerenze e dalle pressioni dei singoli stati. Tant'è che nel 1929, con i patti Lateranensi, la "questione Romana" si chiuse con la concessione alla Chiesa di 44 ettari (Stato Città del Vaticano) sui quali essa potesse esercitare il suo "potere temporale";
3) lo spirito del "Risorgimento" era fortemente anticattolico, perché influenzato dal giacobinismo massonico di impronta francese e dal protestantesimo antipapista di matrice inglese. Quando il 16 luglio del 1846 fu eletto Papa, col nome di Pio IX, il cardinale Giovanni Mastai Ferretti, ci fu grande soddisfazione da parte degli spiriti liberali per i primi provvedimenti adottati dal nuovo pontefice nello Stato Pontificio.
Ecco cosa dice in proposito lo storico della chiesa G. Martina: «Il nuovo Papa iniziava il suo pontificato con gesti umani e conciliativi: accordò una larga amnistia ai condannati politici e il rimpatrio agli esuli, addolcì le condizioni degli Ebrei a Roma, con l'abolire la clausura del ghetto; istituì una Congregazione di Stato per provvedere alla riforma dell'amministrazione. Il plauso dei liberali si accrebbe quando Pio IX concesse una moderata libertà di stampa, creò un consiglio dei ministri, istituì la guardia civica, ammise pure al governo un certo numero di laici».
Però il nuovo Papa non limitava il proprio operare all'ambito del proprio stato, ma, come dice lo storico della Chiesa, J. Lortz: «Il programma di Pio IX era chiarissimo: progresso nell'ordine nel suo stato e unità federale della nazione italiana. Tutti gli Italiani, dalle Alpi al Mediterraneo, appartenevano a un'unica nazionalità: ciò andava riconosciuto (egli sosteneva) anzitutto dai diversi stati in cui era divisa l'Italia per avviarsi a una forma di unità, non solo doganale, ma anche politica; e doveva essere riconosciuto soprattutto dagli altri stati d'Europa».
Si arrivò, da parte di alcuni politici di spicco quale il Gioberti, alla proposizione di una unità federale dell'Italia, a capo della quale avrebbe potuto sedere il Pontefice.
In realtà Pio IX non condivideva interamente il progetto di Gioberti. Egli puntava, almeno in una prima fase, a un abbattimento delle barriere doganali, in preparazione di una unificazione futura. Tant'è che fece predisporre da Giovanni Corboli Bussi, Pellegrino Rossi e Antonio Rosmini un piano di unione doganale che fu proposto nell'agosto del 1847 all'attenzione delle corti di Torino, Firenze e Modena. Esso fu accolto integralmente solo da Firenze, mentre a Torino fu accolto con scarso entusiasmo. Il Re Carlo Alberto, infatti, firmò solo dopo alcuni mesi i preliminari dell'accordo. Dando così modo all'Austria di venire a conoscenza del progetto papale e di cercare di ostacolarlo proponendo ai Regni di Modena, Parma e Piacenza, trattati economici e militari così vantaggiosi da far ricredere i rispettivi principi sulla bontà della Confederazione degli Stati Italiani.
Fu proprio dall'Austria e dal Regno Sardo che pervenne al Pontefice l'inizio delle grandi incomprensioni che sfociarono nella Questione Romana. L'Austria, infatti, già dal mese di agosto del 1847, aveva rafforzato la propria presenza militare a Ferrara, salvo doversi poi ritirare a seguito delle proteste di Pio IX.
Nel mentre, il Re di Sardegna faceva circolare una lettera nella quale si diceva pronto a far guerra all'Austria, in favore della Cconfederazione degli Stati Italiani, sotto l'egida del Romano Pontefice, il quale sempre ripeteva che la confederazione italiana andava fatta con mezzi pacifici e non con la guerra.
Quando, a seguito delle Cinque Giornate di Milano, gli Austriaci furono cacciati dalla città, Carlo Alberto dichiarò, il 23 marzo del 1848, guerra all'Austria, con un proclama nel quale invocava Dio che aveva dato Pio IX all'Italia e nel quale diceva di agire unicamente per liberare i fratelli italiani oppressi. In tale frangente, tutti gli Stati Italiani mandarono contributi di uomini, sia regolari che volontari, perché con le armi ci si liberasse del dominio austriaco e non certo per assecondare le mire espansionistiche piemontesi.
Anche Pio IX inviò truppe sul Po, non certo per fare la guerra, ma per tutelare i confini del Regno Pontificio.
Anzi, egli si adoperò, ma invano, presso Carlo Alberto perché, proprio in quel momento, nascesse la lega nazionale italiana. Ma il Re, forte delle vittorie riportate a Goito, Mazambano e Valeggio, non solo non aderì a tale proposta, che pure aveva lungamente assecondato, se pure in modo equivoco, ma mandò per i regni d'Italia suoi emissari con il compito di far sorgere movimenti rivoluzionari favorevoli all'annessione al Piemonte. Pio IX si vide costretto a dichiarare che, in quanto pastore universale, non poteva fare guerra a nessuno, tanto meno ai cattolici.
Nonostante le sue affermazioni, Pio IX non intendeva abbandonare la questione italiana. Egli, anzi, desiderava che l'Austria abbandonasse il territorio italiano, ma preferiva che si perseguisse la strada della trattativa e della pace; per questo si era anche adoperato presso l'imperatore d'Austria, affinché riconoscesse la nazionalità italiana nell'arco dei suoi confini naturali.
Si deve ricordare anche che, nella sua allocuzione, il Papa non condannava la guerra all'Austria, né vietava ai suoi sudditi di parteciparvi liberamente e personalmente. Ma poi, come ben sappiamo, la situazione precipitò, tanto da far affermare allo storico G. Lentini: «La posizione di neutralità del Papa in questa guerra, motivata dal suo ministero del Capo della Chiesa, urtò, pertanto, non certamente i veri interessi del popolo italiano, bensì quelli della Casa Savoia e dei suoi sostenitori liberal-massonici; i quali seppero così ben orchestrare la campagna denigratoria contro di lui, che la taccia di traditore della causa italiana fu appiccicata, anziché a Carlo Alberto e ai suoi accoliti, proprio a Lui: a Papa Pio IX».
Sappiamo poi bene come, a partire dal 1850, si creò una legislazione fortemente repressiva contro i diritti civili ed economici della Chiesa e contro la libertà del clero, di cui fecero le spese anche numerosi presuli sardi esiliati dalle loro diocesi.
Conosciamo tutti i fatti che portarono alla creazione di uno stato unitario con un processo che fu, non come oggi si dice, di unificazione nazionale a opera di gloriosi eroi della Patria, ma di annessione dei vari regni a quello Sardo-Piemontese tramite moti e sommosse, che furono create ad arte e aizzate da personaggi di ben dubbia moralità, nemici della Chiesa e dei poveri, liberal-massoni e protestanti.

(Estratto dalla tesi dottorale: "Il concilio plenario Sardo del 1924" - Roma, 2000)
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