Sopra: mantenere riserve statali in vista di nuove emergenze?
Sotto: la principale fonte rinnovabile, quella idroelettrica
Le prime infrastrutture elettriche in Sardegna vennero installate nell'ambito del primo programma globale di sistemazione idraulica delle regioni meridionali, che fu predisposto, a partire dal 1908, dall'Ingegner Angelo Omodeo e affidato alla neonata Società elettrica sarda (S.E.S.), costituita a Livorno nel 1911 da parte della Bastogi e della Banca Commerciale Italiana, con sede a Roma e direzione di esercizio a Cagliari.
Nel 1913 venne emanata la legge speciale che autorizzava la costruzione e la gestione di bacini artificiali sul fiume Tirso: la produzione di energia elettrica da parte della Ses ebbe inizio nel 1914, e diede impulso a diverse attività agro-industriali nei diversi settori.
L'entrata in esercizio degli impianti di produzione Ses fu la seguente:
1914 - centrale termica di Cagliari (dismessa nel 1924);
1915 - centrale termica di Portovesme (ceduta alla Monteponi nel 1927);
1919 - centrale termica di Sassari (dismessa nel 1947);
1923-1925 - centrali idroelettriche del Tirso;
1924 - centrale termica di Santa Gilla;
1927 - centrale idroelettrica del Coghinas;
1939 - centrale termica di Santa Caterina;
1949 - centrali idroelettriche del Flumendosa;
1958-1963 - centrali idroelettriche sul Taloro, affidate alla Società Idroelettrica del Taloro, appositamente costituita;
1959 - seconda centrale sul Coghinas.
Sempre dalla Ses furono costruite le prime centrali termiche che utilizzarono il carbone del Sulcis, dando un notevole impulso alla valorizzazione di quel bacino.
La rete di distribuzione dell'energia elettrica venne estesa in diverse zone della Sardegna, anche tramite società subdistributrici che via via sorsero nell'isola (comunque vincolate alla Ses da precisi contratti). Nell'isola sorsero anche altre aziende di minori dimensioni che si occuparono di produrre energia, dotate di proprie reti di distribuzione in ambito locale.
Nel 1953, con legge regionale n. 9 del 7 maggio, venne costituito l'Ente sardo di elettricità, di cui facevano parte oltre alla Regione sarda, le industrie minerarie, la Società elettrica sarda e altre imprese private.
Dopo il 1957 tutta l'organizzazione generale della Ses (compresa la direzione generale) venne concentrata a Cagliari.
Come precisato in un precedente articolo, in seguito alla legge n. 1643/1962, si nazionalizzarono tutte le industrie elettriche, venne costituito l'Enel, e anche la Ses venne trasferita al nuovo ente (decreto 29.03.1963, n. 346).
Anche in Sardegna con l'Enel venne avviato un nuovo ciclo storico. Negli anni successivi, così come nel resto d'Italia, venne avviato il processo di unificazione della rete elettrica regionale.
Dopo il 1965 la Sardegna cessò di essere un'isola energetica: venne infatti unita all'Italia (passando per la Corsica) attraverso un cavo di portata pari a 300 MW (Sa.Co.I), realizzato nel 1965 da Pirelli Cavi.
Nel frattempo i consumi di energia crebbero: 80 GWh nei primi anni trenta, 210 GWh nel 1940, 330 GWh nel 1950, 600 GWh nel 1960, 2900 GWh nel 1970, 6700 GWh nel 1980, 9000 GWh nel 1990, 10200 GWh nel 2000.
Insieme ai consumi crebbero le centrali, inizialmente idroelettriche, poi venne il carbone, poi si importò sia il carbone che l'olio combustibile (quest'ultimo definitivamente scomparso per motivi ambientali), infine gli scarti di raffineria e finalmente le rinnovabili (biomasse, fotovoltaico ed eolico, principalmente).
Attualmente (scusate per le approssimazioni e semplificazioni) quasi tutta l'energia consumata in Sardegna viene generata da tre grandi poli energetici: Sulcis (centrale 240 MW a carbone in produzione continua, ex 2x240 MW in fase di conversione a 340 MW a carbone) e Portoscuso (2x160 MW di riserva), Fiume Santo (centrali 2x320 MW in produzione continua, ex 2x160 MW in fase di conversione a 410 MW a carbone), Saras (centrale 540 MW a TAR, scarti di raffineria, fonte "assimilata alle rinnovabili", in produzione continua).
Complessivamente, insieme ad altre piccole centrali Turbogas e piccoli produttori di varia natura, sono circa 2600 MW da origine termoelettrica di potenza installata. Oltre a questi sono disponibili 460 MW da fonte rinnovabile idroelettrica (centrali Taloro, Coghinas, Flumendosa), 450 da fonte rinnovabile eolica (vari siti, e si prevede un consistente aumento nel 2010), infine 16 MW da fonte rinnovabile fotovoltaica (anche qui si prevede un aumento).
Siamo a oltre 3.500 MW di potenza installata, con un massimo della potenza richiesta in rete dagli utilizzatori sempre inferiore ai 1.800 MW.
Risulta quindi che la potenza potenzialmente disponibile è circa il doppio di quanto strettamente necessario. La necessità di avere potenza installata superiore a quella prelevata dalla rete è stata storicamente giustificata dalla necessità di avere una congrua quota di riserva, in considerazione dell'insularità della rete e della limitata potenza transitabile nel cavo Sacoi che ci legava alla penisola.
Tale quota di riserva (quella strettamente necessaria) è destinata a diminuire una volta che entrerà in funzione per intero un nuovo sistema di collegamento energetico mediante cavi sottomarini (denominato Sa.Pe.I., 500 MW già attivi e altri 500 MW in fase di ultimazione). Alcune centrali, oggi vincolate a riserva, potrebbero essere riattivate producendo energia da immettere in rete (esportandola se necessario).
Nel 2009 la produzione totale di energia è stata di 14.275 GWh, di cui 12.772 GWh da fonte fossile, 795 GWh da fonte rinnovabile idroelettrica, 708 GWh da fonte rinnovabile eolica/fotovoltaica.
Tolti 808 GWh consumati per servizi alla produzione, 458 MWh consumati dal pompaggio notturno delle idroelettriche, l'esportazione di 630 GWh attraverso il Sacoi, i consumi energetici netti sono pari a 12.120 GWh (60% industria, 20% terziario, 18% residenziale, 2% agricoltura).
La previsione del "Piano Energetico Ambientale Regione Sardegna" (tavole che contengono la "proposta di sviluppo della generazione elettrica") è che si debba arrivare a produrre 22 TWh entro il 2015. Circa 16 TWh servirebbero per soddisfare i crescenti consumi dell'Isola, mentre gli altri 6 potrebbero essere immessi sulla Rete di Trasmissione Nazionale utilizzando i cavi del sistema "Sa.Pe.I - Sardegna Penisola Italiana".
Questi sono i dati oggettivi, e chi volesse affrontare un discorso sull'energia in Sardegna deve partire da questi dati (ammesso e non concesso che le previsioni di sviluppo dei consumi elettrici del Pears siano corrette).
Si legge nei giornali che a settembre i contenuti del Pears verranno ridefiniti. La classe politica dirigente ha la forza e l'autorità necessaria per orientare queste scelte, ma in che direzione vuole andare? Si vuole prevedere una progressiva riduzione della dipendenza dai combustibili fossili di importazione? Sarà veramente favorita la produzione diffusa di energia da fonte rinnovabile?
Si vorrà tenere conto del fatto che quando la produzione dell'energia si sposta da una parte all'altra della Sardegna, con essa si spostano (o si sopprimono da una parte e si riattivano da un'altra) anche posti di lavoro?
Il 12 marzo 2010 la regione ha deliberato delle linee guida sul regime autorizzativo degli impianti, che rischiano di assestare un colpo mortale allo sviluppo delle energie rinnovabili in Sardegna: quando verranno modificate? Ma siamo davvero sicuri che si volessero fermare i signori del vento, o si volevano favorire i signori del carbone? E taciamo sul resto.
E a noi interessa incidere nelle scelte? Scegliere se ridurre o meno la dipendenza dai combustibili fossili, se ridurre o meno la quota delle rinnovabili, se incentivare o meno la filiera corta delle biomasse (compatibilmente con la struttura e composizione della rete elettrica sarda) è una scelta politica e non solo tecnica. E il nucleare è tabù?
Parliamone, e diciamo la nostra, senza preconcetti.
Alla prossima.
* dirigente dell'Associazione "Ambiente e/è Vita"