Sopra: la copertina del libro di Claudio Finzi "Europa, Occidente, Americhe" (edizioni Settimo Sigillo, 2009 - 11 euro, reperibile presso la libreria "Riscossa Europea", in Via Regina Margherita, 39-41 a Cagliari)
Sotto: Thomas Jefferson e il testo del Primo Emendamento
L'agile volume di Claudio Finzi raccoglie - rivisti e corretti - alcuni scritti uniti da un comune oggetto: i rapporti tra l'Europa e le Americhe, esaminati in alcuni momenti fondamentali della storia.
Per Americhe l'autore intende ovviamente le due Americhe, Nord e Sud, ma noi, per maggior interesse, esamineremo in particolare i tribolati e controversi rapporti tra l'Europa e l'America del Nord, gli Stati Uniti. Oltretutto l'approccio mentale tra le due Americhe è diverso: se il Sud rivendica un'"impronta" europea nel suo essere americana, quella del Nord rivendica con orgoglio - e con vigore - la sua tipica "americanicità".
Claudio Finzi parte da questa considerazione per analizzarne la genesi, risalendo ai "padri fondatori" della democrazia americana, da Washington a Jefferson in particolare, che nei loro scritti e nei loro discorsi proclamavano la diversità del Nuovo Mondo rispetto all'Europa: da una parte la pura e libera America, dall'altra la corrotta Europa; da una parte America in pace, dall'altra l'Europa dilaniata dalle guerre; qui uguaglianza e libertà contrapposte a schiavitù e discordia.
Eppure in apparenza l'America trae origine culturale dall'Europa: ma ciò che ha contribuito a differenziarla è la visione religiosa. I padri pellegrini, quei puritani che abbandonavano l'Europa, fuggivano dalle persecuzioni religiose e approdavano verso un Nuovo Mondo, guidati da Dio, come gli Ebrei verso la Terra Promessa.
Questo profondo spirito religioso, che anima la visione americana nata con i Puritani originari, è ancora oggi rimasto inalterato, pur con i milioni di immigrati di origine diversa: anzi è - da tutti - rivendicata con orgoglio quasi a sancire la loro diversità. L'ideale meridiano che una volta separava l'Europa dagli "altri", si è spostato in mezzo all'Atlantico e - questa la considerazione di fondo - se noi non siamo gli "altri" al di là del meridiano separatore è solo perché ci siamo "americanizzati", assorbiti in una visione del mondo che non è più europea ma americana.
Partendo da questa considerazione e quindi di una "specifica" identità americana, l'autore esamina la visione che tre autori americani hanno della loro identità. L'analisi è oltremodo intrigante soprattutto per la scelta dei tre pensatori, tutti del XX secolo.
Il primo è Amos Russell Kirk: la sua opera fondamentale "Le radici dell'ordine americano. La tradizione europea nel valori del Nuovo Mondo", ispirata alle idee di Eric Voegelin, di Platone e di Edmund Burke, è analizzata dall'autore che mette in evidenza come il concetto di ordine politico sia strettamente legato all'ordine dell'animo umano: è l'ordine della coscienza dell'uomo che ci dà e ci deve dare l'ordine della società degli uomini. Tesi sostenuta da Platone duemila anni prima, per il quale esiste un modello della società umana che porta in sé stesso la relazione inimitabile con il modello dell'anima dell'uomo. Da questo concetto discende per Kirk che il pensiero politico statunitense costituisce il vertice - storico, classico e politico - di quanto sia stato elaborato, in Europa, nei millenni passati. Quindi gli Stati Uniti sono gli eredi della tradizione classica ed europea (rivoluzione francese esclusa, secondo la tesi cara a Burke).
Il secondo autore è Samuel P. Huntington, la cui scomparsa abbiamo ricordato su Excalibur di qualche mese fa, diventato celebre per la sua teoria sullo "scontro di civiltà". Il testo qui esaminato è "La nuova America. Le sfide della società multiculturale", scritto qualche anno prima. In esso l'autore si interroga sul pericolo che minaccia l'identità statunitense, evidente nel titolo originale "Who are we?". Huntington si chiede se i valori che impregnano l'identità statunitense siano comuni a tutta l'umanità, e quindi applicabili a tutte le genti, oppure caratterizzino un popolo unico nella sua eccezionalità. Da qui discende la missione dell'America: portare nel mondo la loro felicità, quei diritti umani fondamentali e la democrazia dei quali essi sono gli unici depositari nel mondo. Ma questo spirito americano è ora in pericolo: il multiculturalismo e la presenza di élite transnazionali e soprattutto la forte immigrazione dei
latinos, soprattutto messicani. Immigrazione che - a differenza di quanto avveniva nei secoli passati - non cerca l'integrazione, ma tende a mantenere la sua specificità, mettendo in crisi l'identità americana nel suo complesso. L'idea di una futura America bilingue e biculturale getta Huntington nel terrore.
Il terzo autore citato è Michael O'Meara, per un suo articolo pubblicato su "The occidental Quaterly", che l'autore traduce liberamente in "L'alba del Settentrione: il nazionalismo bianco e l'asse Parigi-Berlino-Mosca". In esso si sostiene che finchè era in atto la contrapposizione tra l'Occidente e il blocco comunista, le differenze tra l'Europa e gli Stati Uniti erano nascoste dalla lotta comune contro il comune nemico: dissolto l'impero sovietico sono emersi i problemi e l'"avanguardia dei nazionalisti europei" separa in modo netto l'Occidente dall'Europa, ritenendo che gli Stati Uniti siano il loro nemico principale. E si fa notare che i due "nazionalisti" citati sono Guillaume Faye e Claudio Finzi stesso. La fine della seconda guerra mondiale ha messo in moto un cambio di identità e la crescita di un pericolo comune per l'Europa e gli Stati Uniti, concretizzato con la crescita dell'immigrazione ispanica e asiatica, nonché con quella della comunità musulmana e della denazionalizzazione dell'economia. Una rinascita di un Nuovo Ordine Mondiale è possibile solo sulle ceneri dell'attuale civiltà.
Il volume di Finzi è certamente affascinante nella ricostruzione della genesi del pensiero americano, nell'analisi delle sue radici storiche e filosofiche: l'Europa e l'Occidente sembrano due entità morali diverse e l'atteggiamento americano verso l'Europa è certamente di durezza, quasi la vedesse come una genitrice matrigna e corrotta.
E come allora fu salvata prima dal nazismo e dal comunismo, ora deve essere salvata dal terrorismo fondamentalista, almeno questa è l'opinione dei circoli intellettuali americani, eredi dello spirito dei Padri Fondatori. È una sorta di "americanizzazione" dell'Europa, ormai schiava nell'anima, poiché ha rinunciato alla sua originaria tradizione europea.
È sicuramente una lettura interessante e stimolante, anche se personalmente non condivido la sua tesi di fondo: non vedo un'America equiparata alla "Bible Belt". La religione è certamente un elemento sempre presente nella cultura, nella politica, nell'essere stesso degli Americani. Ma questa sorta di predestinazione che li eleva al di sopra del resto del mondo che sono chiamati a redimere e che condiziona le loro scelte, non mi pare corrisponda sempre alla realtà dei fatti.
L'autore cita Russell A. Kirk e la verità di questa supremazia statunitense, per affermare che «
la pretesa, drammatica perché ha condotto a sciagure immani per l'Europa e per tutto il mondo, di una missione eterna degli Stati Uniti d'America, è viva in Kirk, tanto quanto in Jefferson e in Monroe, in Wilson e in Roosevelt, in Eisenhower e in Schwarzkopf».
È una tesi un po' troppo forte.