I disordini a Teheran continuano nonostante la repressione
In un clima di tensione l'ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, presidente uscente, è stato confermato vincitore delle elezioni tenutesi, in Iran, all'inizio di giugno. Il vantaggio sul suo rivale, il candidato moderato Mir Hossein Mussavi, è stato definito "schiacciante". Sulle elezioni pesa il sospetto di brogli, sospetto che ha portato nelle piazze per più giorni, migliaia di manifestanti: nei disordini che sono scaturiti sono state arrestate centinaia di persone e i morti sono stati più di 70.
Ai primi di settembre, dopo circa tre mesi dal voto, Ahmadinejad ha presentato la sua squadra di governo: 21 ministri tra i quali tre donne, due delle quali non sono state accettate. Per dare un'idea della "svolta" attesa da molti osservatori occidentali, basterà dire che l'unica donna ammessa - che guiderà il dicastero della Salute - è la ginecologa Marzieh Vahid Da-stjerdi: una ultraconservatrice che in passato aveva proposto l'introduzione della segregazione nella sanità, uomini a curare gli uomini e donne a curare le donne. Alla faccia della tanto conclamata tolleranza islamica decantata da Obama nel suo "storico" (ci mancherebbe altro) discorso de Il Cairo.
Un altro elemento di spicco del nuovo governo è il reponsabile della Difesa, un certo Ahmad Vahidi, forse da noi non molto conosciuto, ma ben presente negli archivi dell'Interpol che lo ricerca perché coinvolto nell'attentato al centro di assistenza ebraico di Buenos Aires che, nel 1994, provocò 85 morti e oltre 200 feriti. Con i tempi che si preannunciano, serviva qualcuno di comprovata esperienza.
Questo è il quadro dell'Iran attuale.
Un paese oltremodo diviso, che ha pesantemente contestato i risultati delle elezioni, che ha pagato la sua richiesta di chiarimenti con la chiusura di giornali, radio e oscuramento di siti Internet. E con decine di morti.
È forse la peggior crisi interna dalla rivoluzione islamica del 1979, che ha svelato la profonda frattura tra l'èlite politica e il resto del paese, compresa quella clericale.
Ma il presidente dell'Iran resta Ahmadinejad, il quasi sconosciuto figlio di un fabbro ferraio, che, da sindaco di Teheran, nel 2005 a sorpresa vinse il ballottaggio contro il presidente uscente Rafsanjani.
L'Iran l'antica Persia, ci appare geograficamente lontana, e osservandola ci si rende conto che è un paese del quale non si conosce molto, e spesso ciò che conosciamo è incompleto, distorto.
Proviamo a dare uno sguardo alla sua storia, volutamente stringata dato l'esiguo spazio a disposizione.
Lo splendore delle antiche dinastie persiane resta immutato nei secoli
Il mondo persiano è un mondo pieno di storia, attraversato da dinastie illuminate, da periodi di splendore e da altri di divisioni interne, in un continuo ciclo di avvenimenti che hanno attraversato secoli.
Gli splendori degli Achemenidi - Ciro, Dario, Serse - spazzati via nel III secolo a.C. dal ciclone di Alessandro Magno.
Poi i Seleucidi, quindi i Parti, i Sasanidi - che riportarono in auge l'antica religione iraniana, lo zoroastrismo - e poi la crisi e le divisioni interne, che resero l'impero inerme di fronte all'urto degli Arabi, il cui arrivo nel 632 modificò profondamente la società e la cultura persiana.
Due secoli e poi di nuovo il declino. Nell'XI secolo l'Iran è dei Selgiuchidi, ed è un periodo di rigoglio economico e culturale. Ma poi arrivano i mongoli di Genghiz Khan e poi i Timuridi e l'Iran brilla di nuovo, come la sua splendida Isfahan. Dopo di loro i Safavidi, che regnarono fino al 1730, inserendo l'Iran nel gioco della storia moderna. Fu sotto i Safavidi che l'islam sciita fu adottato come religione nazionale: gli elementi popolari dello sciismo e il prestigio del suo clero sono stati da allora continui elementi di tensione con il governo secolare, reale o elettivo. Tensioni che provocarono un decadimento della coesione del paese e l'insediamento della dinastia turca dei Qajar, che stabilirono la capitale a Teheran.
Il grande gioco dell'Oriente ha inizio, con la Russia e l'Inghilterra che cercano di imporre la loro influenza, decise a sfruttare il disagio dei Qajar sul trono del Pavone. E l'inizio del XX secolo scaraventa la Persia nel ruolo fondamentale di preda per le diplomazie del mondo a causa del nuovo bene che viene scoperto nelle sue terre: il petrolio.
La prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica sembrano far pendere la bilancia dalla parte occidentale, con le prime concessioni per la ricerca del petrolio. Ma serve anche altro. E Lord Curzon, ex vicerè d'India, individua il nuovo in un colonnello della Brigata Cosacca, Reza Khan: lo nomina comandante della Brigata, quindi Ministro della Difesa, poi Primo Ministro. Nel 1925, deposto l'ultimo dei Qajar, viene incoronato con il nome di Reza Scià e fonda una sua dinastia, la dinastia Pahlavi.
Pahlavi crea e rafforza un esercito nazionale, dà impulso alle costruzioni ferroviarie, alle industrie cementifere, tessili, diffonde l'elettricità, costruisce scuole e ospedali. Nel 1935 cambia nome allo Stato, che si chiamerà Iran. Ma il suo resta un potere assoluto e non viene intrapresa alcuna strada per avviare la nazione verso un sistema costituzionale.
Dopo di lui, suo figlio Mohammad Reza Pahalavi, continua nella strada tracciata. Una sorta di orgoglio nazionale porta a ricercare spiragli per un affrancamento dell'economia in mano ai concessionari dei giacimenti: il culmine si ha nel 1950-51 con la nazionalizzazione del petrolio e il conflitto con la Gran Bretagna. Coincise con la nomina a Primo Ministro di Mossadeq, il quale riuscì a inimicarsi tutte le forze: tentò di limitare il potere dello Scià e delle Forze armate, varò una riforma agraria e fiscale che gli mise contro tutti i poteri forti del paese, tra cui i grandi possidenti e i religiosi: nel 1953 fu abbattuto da un colpo di stato favorito da un'operazione "coperta" (Operazione Ajax) dei servizi segreti americani e britannici.
Comincia ora un periodo confuso e contraddittorio: deboli tentativi di democratizzazione, riforme agrarie (la "rivoluzione bianca"), una nuova politica petrolifera. Ma le sperequazioni all'interno del paese si aggravano: tutte le classi sociali soffrono o per mancanza di risorse economiche o per mancanza di influenza sulla vita politica del paese. E quando lo Scià tenta di intervenire nel minato campo dell'istruzione - appannaggio della classe religiosa - cresce rapidamente un forte potere di opposizione guidato dai religiosi sciiti dell'ayatollah Khomeini, allora in esilio a Parigi.
Si arriva così al 1978 con una forte repressione e l'introduzione della legge marziale: il paese è paralizzato, lo Scià lascia l'Iran, l'esercito si disgrega e il 1º febbraio 1979 Khomeini sbarca a Teheran su un aereo dell'Air France, bacia il suolo e comincia la Rivoluzione islamica dell'Iran, ancora in corso. Il resto è cronaca.
Qual è il futuro dell'Iran? Dove deve svolgere lo sguardo? Il vecchio dilemma di Rafsanjani (dove guardare: a oriente o a occidente?) è ancora attuale.
Alla presidenza si sono alternati elementi moderati e progressisti come Kathami e lo stesso Rafsanjani, ma un cambio della strategia geopolitica dell'Iran non è una cosa facile.
Uno dei principi fondamentali dell'attuale costituzione iraniana, l'articolo 110, stabilisce che tutta la gestione del paese, politica estera compresa, è materia di esclusiva competenza della Guida della Rivoluzione: cioè di Alì Khamenei. L'esecutivo, chiunque lo rappresenti, deve attenersi alle indicazioni della Guida, traducendole in piani politici per realizzarle. È il sistema inventato dal Grande Ayatollah Ruhollah Khomeini, giustificato da un'interpretazione radicalmente nuova del concetto islamico di
velayat-e fagih, cioè "governo del saggio". Un sistema che non fa parte dell'islam: è khomeinismo.
Fin quando questo sistema non cambierà, le elezioni presidenziali resteranno sempre un avvenimento di facciata, buono solo per creare illusioni, soprattutto in occidente.