Gianfranco Fini: una faccia per tutte le stagioni
Puntuali come i freddi invernali arrivano i capricci di Gianfranco Fini.
Che il Cavaliere si stia dannando l'anima fra Alitalia, immondezza napoletana, terremoto dell'Aquila, crisi ecomica epocale,
escort, procure che lo vogliono in galera e quant'altro, non importa un fico secco all'esimio presidente della Camera. Per il nostro, i pericoli che incombono sull'Italia sono tutti concentrati nelle malefiche simpatie di Berlusconi per il "Cesarismo", ovvero per una sua monarchia assoluta, per un Pdl "caserma", e per un altrettanto disprezzo verso la centralità del Parlamento, la sacralità del Presidente Napolitano, i princìpi fondanti della costituzione repubblicana.
Il tutto arriva, non a caso, dopo il ripudio di tutto ciò che in valori, idee, progetti e storia, può avere a che fare con una destra nazionale, popolare, anticomunista, cattolica, poco incline all'antifascismo e alle società multietniche e multiculturali. Ovviamente esplodono gli applausi di tutte le sinistre: ad averlo loro un
leader così! Laico, progressista, misurato nei toni ma fermo nei princìpi! Altro che Franceschini o Di Pietro, per non parlare di D'Alema, eterno inciuciatore del Cavaliere! Ed è una girandola di inviti nei programmi
chic delle televisioni. Piovono le interviste, un giorno sì e uno no, dei più importanti quotidiani notoriamente legati a quei gruppi economici che amano il Cavaliere come il diavolo. Fra gli ex di An regna invece un sentimento che oscilla fra lo sbigottimento, la delusione e la rabbia. È come se nella loro visuale si fosse improvvisamente diradata la nebbia.
Crolla un mito: la continuità ideale della destra italiana da Mussolini ad Almirante a Fini. Berlusconi, considerato da una parte di An, quella con la puzza sotto il naso, come il fondatore del partito-azienda, il capitalista che badava innanzitutto ai propri interessi, politico vincente, ma rozzo e intemperante, appare improvvisamente come statista di razza. Tremonti, Sacconi e Brunetta, con i loro progetti neocorporativi e modernizzatori, richiamano alla memoria lo
staff tecnocratico, ex socialista riformista, con cui Mussolini affrontò la grande crisi del 1929 creando l'Iri. Non parliamo poi di Bossi! Sino a ieri il nemico per antonomasia dell'unità nazionale, esagerato ed esagitato quanto il suo fido Calderoli. Oggi, in pratica, Bossi, con i suoi leghisti, costituisce l'ala squadrista (democratica, s'intende!) decisa a far fallire qualunque tentativo extra-democratico di far cadere il Cavaliere.
Contrariamente alle apparenze, l'unico a non dare eccessivo peso alle sparate seriose di Fini è proprio Berlusconi. Evidentemente l'uomo conosce bene il suo pollo: sa che non ha idee e convincimenti propri, ma se li costruisce o inventa sul momento in funzione dei propri obiettivi politici. Che questi obiettivi siano finalizzati a scalzarlo e a sostituirlo nella
leadership del popolo delle libertà o nella guida del governo, almeno in questa fase, non lo pensa, e in ogni caso non lo teme: troppe volte Fini ci ha provato e sempre ne è uscito sonoramente sconfitto. L'ultima volta ha dovuto pure cedergli persino An, anche se al netto dei quattrini, dei beni immobili e de "Il Secolo D'Italia". È più probabile che Fini soffra nel capire che non è, né mai lo diventerà, delfino di Berlusconi, e che, nel partito di cui, offendendo la cronaca e la storia, si proclama "cofondatore", conta poco o nulla. Pertanto, poiché è tutt'altro che sprovveduto e privo di capacità politiche, gioca il ruolo di
leader, all'interno del popolo delle libertà, di una destra minoritaria, ma, secondo lui, laica, moderna, cosmopolita, che esiste in tutta l'Europa, fuorché in Italia, paese notoriamente retrogrado, visto che le nostre destre sono cattoliche, populiste, reazionarie, xenofobe, ecc..
Una cosa ci tranquillizza: per quanto Fini si agiti, potrà diventare tutto, anche Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica, ma non diventerà mai un capo o uno statista, perché gli manca un cuore e un progetto così ambizioso da andare oltre la sua persona per abbracciare l'interesse di un popolo o di una nazione. Solo chi ha tali requisiti passerà alla storia.
Questa è la discriminante che separa il politico "normale" dal rivoluzionario. Fini si rassegni. La destra che piace a noi, la destra che vuole rifare l'Italia, cioè la destra rivoluzionaria, piaccia o non piaccia, oggi si chiama Berlusconi.