EXCALIBUR 54 - maggio 2009
in questo numero

Riflessioni sul futurismo (1ª parte)

Il significato e l'eterna attualità, al di là della rivoluzione del senso estetico, che il futurismo ha rappresentato non solo in Italia ma in tutto il mondo

di Isabella Luconi
Filippo Tommaso Marinetti
Filippo.
Filippo Tommaso Marinetti nasce ad Alessandria d'Egitto il 22 dicembre 1876.
Nel 1909, anno in cui pubblica sul giornale francese "Le Figaro" il suo manifesto, ha 33 anni. È il più vecchio di tutti i futuristi: Strano fatto per chi esaltò la giovinezza e i suoi ardori.
Non nasce in Italia, ed è culturalmente figlio francese: strano fatto per chi fu uno dei più accesi patrioti del suo tempo.
Tutti i manifesti del futurismo sono racchiusi in undici punti, numero che Marinetti considerava scaramantico: strano fatto per uno spirito libero ma che non riuscì a fare a meno della superstizione.
Si innamorò perdutamente cedendo a quel sentimentalismo che tanto aveva combattuto: strano fatto per chi considerava la donna un mezzo di piacere.
Queste però non sono contraddizioni, ma aspetti di una personalità eclettica tutta concentrata in quello sguardo spiritato che scrutava il mondo attraverso due occhi che assomigliano a due spilli perforanti.
Se così non fosse non sarebbe stato un uomo.
Oggi la nostra modernità lo avrebbe rinchiuso dentro una struttura psichiatrica, con una probabile diagnosi di schizofrenia, per quel suo rifiuto della realtà che lo circondava.
Buon per lui che non è nato in questa nostra società considerata moderna, ma la cui modernità impallidisce di fronte a quello spirito futurista che fu Marinetti.
L'Italia dei cesari non ha nessun antecedente paragonabile a ciò che fu e a ciò che fece il nostro Filippo.
Nulla di simile nella storia passata e nulla di paragonabile in quella futura.
Merita a questo proposito una riflessione quel filone di pensiero che ha fatto un tentativo di confronto fra futurismo e globalizzazione, quest'ultima intesa come rifiuto delle regole passatiste.
Mai bestemmia culturale più feroce fu pronunciata.
La globalizzazione è l'annientamento dell'uomo, della sua idealità e della sua capacità di governare la realtà per trasformarla secondo il suo pensiero e la sua azione.
La modernità della globalizzazione è un fattore endogeno e autodistruttivo che governa gli input della società nella quale viviamo.
Mentre la modernità nel futurismo non è l'accezione volgare di ciò che non è passato, ma è il volo dello spirito, oltre i confini dello spirito stesso, è il momento della ideazione della natività, della risposta al perché si nasce e del perché si vive.
Ogni aspetto dell'arte e della creatività viene trasformato ai ritmi accelerati del futurismo, che nasce in un periodo storico in cui le scoperte scientifiche e tecnologiche diedero nuovi impulsi alla produzione e contribuirono a cambiare il volto della vecchia società borghese.
Il nuovo credo del futurismo è la religione della velocità legata a una nuova divinità: la macchina.
Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio
La pittura e la scultura.
I pittori futuristi si proclamano «selvaggi moderni dallo sguardo incorrotto, liberi di far cantare e urlare sulle tele le loro emozioni».
Ogni parola usata è la rappresentazione del loro credo.
Selvaggi moderni: la modernità non è una evoluzione dal passato ma è una specifica prerogativa insita nell'uomo e che nasce con l'uomo stesso.
Lo sguardo incorrotto: la corruzione è l'arte del passato, statica piena di fronzoli, lo sguardo del futurista non si lascia abbindolare dalle tradizioni.
Liberi: solo nella libertà dell'essere in quanto essere si può essere veramente liberi, persino la "libertè" della rivoluzione francese impallidisce di fronte a questo modo di intendere la libertà.
Cantare e urlare sulle tele le emozioni: la tela è l'immagine dell'audacia dell'uomo, è l'audacia stessa.
La musica.
I suoni puri sono superati per dare spazio al "suono rumore": il rumore è suono, ritmo, velocità, quella velocità dei veicoli che i futuristi volevano moltiplicare fino a incendiarli come zolfanelli per la violenza dell'attrito sull'aria.
L'architettura.
I futuristi esaltano la bellezza nuova del cemento e del ferro. La città futurista si espande in verticale con i grattacieli chiamati grattanuvole.
Di fronte a queste nuove costruzioni ancora oggi si rimane smarriti nell'osservarli, è l'infinito che diventa finito, i confini sono quelli che l'uomo gli dà, l'infinito che non è governabile viene incanalato in spazi che sembrano momenti di libertà dalla materia. Non è rintracciabile nulla di simile neanche nella più moderna architettura.
La letteratura.
Non il verso libero ma parole in libertà.
Il manifesto tecnico della letteratura futurista è un capolavoro rivoluzionario, ma a differenza delle rivoluzioni, le quali una volta cessate ripristinano il vecchio regime, la letteratura futurista è una sfida permanente all'obsoleto, allo statico, attraverso quel mezzo che solo l'uomo possiede e che deve usare perché solo così potrà penetrare le cose del mondo e riavvicinarle all'uomo.

Volevano uccidere la luna.
Filippo e Benito.
È la storia di una amicizia che li vide nemici.
Già nell'aspetto fisico sono rappresentanti di due personalità diverse.
Uno magro, scattante, personificazione di quella accelerazione che avrebbe dovuto guidare il mondo.
L'altro, massiccio solido, personificazione di quella sicurezza alla quale affidare le sorti del mondo.
Simile in entrambi lo sguardo: attento perforante catturante, era come se volessero entrare nelle cose della vita per modificarle a loro piacimento.
Simile la loro origine politica, entrambi socialisti, entrambi defezionisti da quel movimento che non li poteva certo rappresentare.
Scrive Benito (1902-1904): «Il socialismo è un vasto movimento pietista, non l'avanguardia vigile del proletariato, ma una accolita di malcontenti, con alcuni vanitosi già compromessi con la borghesia che li usano proprio per far naufragare il socialismo».
Scrive Filippo nel 1910 un programma rivoluzionario diretto a tutto il mondo operaio stimolando all'insurrezione contro il peso enorme della macchina sociale, e accusando anarchici e socialisti riformatori di una azione eccessivamente prudente, idealità l'uno, azione l'altro.
Complementari e opposti si attraggono e si respingono in continuazione.
Entrambi però si stimano e riconoscono all'altro capacità e meriti.
Uno laureato in leggi, l'altro semplice maestro, entrambi hanno iniziato con la passione per la poesia.
Nel 1909 Filippo ha già esternato il suo credo, Benito ce l'ha ancora in embrione.
Sono insieme alla manifestazione alla Scala contro Bissolati e sono ancora insieme il 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro, all'adunata milanese durante la quale nacquero i fasci di combattimento.
Filippo si candida nel listone fascista ma non viene eletto.
Benito lo nomina primo accademico d'Italia.
Filippo-Benito rivoluzionari e antiborghesi, due uomini e una sola idea.
Filippo teorizzò una rivolta dell'azione sulla contemplazione.
Benito fece dell'azione politica la sua bandiera.
Entrambi vissero credendo in un'idea.
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