EXCALIBUR 54 - maggio 2009
in questo numero

La Resistenza e il 25 aprile di Berlusconi

Un primo passo verso l'abbattimento del nostro muro?

di Angelo Abis
Silvio Berlusconi celebra il 25 aprile tra i terremotati d'Abruzzo
In un mio precedente articolo su Excalibur avevo scritto molto impudentemente che Berlusconi «a commemorare il 25 aprile non ci va neppure morto!». Pertanto di ciò chiedo scusa ai lettori.
Però, intendiamoci, Berlusconi, come qualunque Italiano medio che non è stato coinvolto in prima persona negli avvenimenti di sessant'anni fa non è né fascista né antifascista. Probabilmente della resistenza condanna solo la componente comunista e del fascismo apprezza o giustifica solo l'anticomunismo. E anche per questo 25 aprile se ne sarebbe rimasto a casa se i suoi due più subdoli nemici, Fini e Napolitano, non lo stessero logorando sul piano politico e istituzionale (caso Eluana, accuse di "cesarismo", poco rispetto per il Parlamento, protagonismo, ecc.) con un crescendo che non promette niente di buono.
Perché allora, avrà pensato il Cavaliere, non sfruttare l'incauto invito di Franceschini per dimostrare che in Italia l'unico che ha le carte in regola politiche e istituzionali (è il primo presidente di fatto designato dal popolo con procedimento democratico) per dirimere una volta per tutte la vexata quæstio della resistenza e della festa del 25 aprile? Detto e fatto.
Accetta la sfida, ma, siccome non è fesso, con nonchalance, sceglie lui il luogo, i padrini e l'arma con cui cimentarsi, mantenendo sino all'ultimo la cosa riservata. Poi l'annuncio: il Presidente del Consiglio il 25 aprile si recherà nel Comune abruzzese di Onna, il più disastrato dal recente terremoto che lì ha fatto 40 vittime su 250 abitanti.
Ovviamente parlerà solo lui sullo sfondo di montagne di macerie. Come pubblico i volontari civili, militari e i reduci della brigata "Maiella".
Mi precipito a consultare la pregevole opera dell'ex partigiano Claudio Pavone "Una guerra civile", ma nelle oltre 820 pagine del testo non trovo neppure una riga che parli di Onna e dei partigiani della brigata "Maiella" che pure erano 1.500. Ho più fortuna con una "Storia della guerra civile in Italia" che l'autore, Giorgio Pisanò, mi regalò in quel di Roma circa 35 anni fa e che io maledissi (l'opera, non Pisanò) perché già carico di bagagli me la dovetti tenere sottobraccio (tre volumi) sino a Cagliari.
Vediamo cosa dice Pisanò: «Ai primi di giugno del 1944, per vendicare un loro soldato accoltellato da un giovane, i Tedeschi effettuarono una pesante rappresaglia a Onna, una frazione dell'Aquila, fucilando tredici ostaggi fra i quali due donne». E ancora: «La "brigata Maiella", costituita inizialmente da 150 uomini, non assunse mai preciso colore politico e i suoi componenti rifiutarono la qualifica di "partigiani" [...]. Questa formazione si costituì in Abruzzo, in una zona diventata terra di nessuno, per salvaguardare la vita e i beni della popolazione rimasta in balia degli eventi bellici e di elementi incontrollabili degli opposti eserciti. Ebbe in tutto 56 caduti».
Tutto ok! A parte il fatto che in Abruzzo ci sono centri molto più importanti di Onna che sono stati teatro di duri scontri tra civili e Tedeschi e di altrettante feroci rappresaglie e ci furono numerose formazioni partigiane con un preciso colore politico.
Gli è che al Cavaliere faceva comodo un comune terremotato e la brigata "Maiella" perché apolitica e il cui rappresentante, il "partigiano" Antonio Rullo mette al collo del premier il tricolore e dichiara, coram populo: «Berlusconi ha ragione. La pietà è giusta. Noi non ci siamo mai sparati con i repubblichini, né loro ci spararono mai».
Ma veniamo al discorso di cui riportiamo quanto da noi ritenuto eretico o innovativo: «Un impegno: è quello di non dimenticare [...] gli orrori dei totalitarismi (storicamente i totalitarismi sono solo due: nazional-socialismo e comunismo, n.d.r.) [...]. Il nostro paese ha un debito [...] verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l'onore della patria, per fedeltà a un giuramento e per quel grande valore [...] che è la libertà (il sacrificio per dei valori condivisi e non contro chicchessia, n.d.r.) [...]. Lo stesso debito di gratitudine lo abbiamo verso [...] Americani, Inglesi, Francesi e Polacchi [...]. Senza di loro il sacrificio dei nostri partigiani avrebbe rischiato di essere vano (la guerra l'hanno vinta gli alleati e non i partigiani, n.d.r.) [...]. E con rispetto dobbiamo ricordare oggi tutti i caduti, anche quelli che hanno combattuto dalla parte sbagliata sacrificando in buona fede la propria vita ai propri ideali e a una causa già perduta (il fascismo non è stato sconfitto dalla resistenza ma era già finito col 25 luglio, n.d.r.) [...]. La resistenza è con il risorgimento uno dei valori fondanti della nazione (uno dei valori, non il valore unico ed esclusivo, n.d.r.) [...]. La nazione libera tuttavia non ha bisogno di miti (la resistenza è un mito di cui si può fare a meno, n.d.r.) [...]. Occorre ricordare anche le pagine oscure della guerra civile, anche quelle nelle quali chi combatteva dalla parte giusta ha commesso degli errori (facciamo un po' luce su come sono andate veramente le cose: vedi Pansa, n.d.r.) [...]. La costituzione repubblicana [...] ha mancato l'obbiettivo di creare una coscienza morale comune della nazione, un obiettivo forse prematuro per quei tempi, tanto che il valore prevalente fu per tutti l'antifascismo, ma non per tutti l'antitotalitarismo (una coscienza nazionale comune non può sorgere dall'antifascismo, n.d.r.) [...]. Oggi, 64 anni dopo il 25 aprile 1945 e a vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, il nostro compito è quello di costruire finalmente un sentimento nazionale unitario [...]. Sono convinto che siano maturi i tempi perché la festa della liberazione possa diventare la festa della libertà e possa togliere a questa ricorrenza il carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria le ha dato e che ancora divide il nostro paese piuttosto che unire».
Perché il 25 aprile ci unisca occorre seppellire la cultura rivoluzionaria - leggi comunista - che ancora ci divide e accantonare la festa della liberazione e farla rinascere come festa della libertà.
Sintesi del discorso: l'anno prossimo, forte della vittoria alle europee, del superamento della crisi economica e della ricostruzione dell'Abruzzo terremotato, celebrerò l'anniversario della festa della libertà, 25 aprile 2010 - anno I della nuova era berlusconiana.
Il "nostro" 25 aprile.
Galleria fotografica della manifestazione cagliaritana in ricordo dei Caduti della Repubblica Sociale Italiana.
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