EXCALIBUR 49 - giugno 2008
in questo numero

"Le Benevole" di Jonathan Littel

Diario di un SS non pentito

di Angelo Marongiu
La copertina del libro "Le Benevole" di Jonathan Littel
Vincitore del Premio Goncourt e del Gran Premio del Romanzo dell'Accademia di Francia, per mesi in cima alle classifiche francesi, un caso editoriale senza precedenti: in Italia per i tipi della Einaudi, ecco il romanzo di un quarantenne americano che scrive in lingua francese, da alcuni definito "il romanzo" sulle atrocità del nazismo.
Gli orrori della guerra sono raccontati in prima persona da Maximilian Aue, un ufficiale delle SS che, a guerra finita, dirige una fabbrica di merletti nella Francia del Nord e, con occhio lucido e freddo ripercorre il suo passato: la campagna di Russia e lo sterminio degli ebrei, l'assedio di Stalingrado e l'allucinante atmosfera di una Berlino sotto i bombardamenti alleati.
Il punto di vista è quello di un carnefice: Maximilian è intelligente, colto, omosessuale: affascinato dall'ideologia nazista; dopo un soggiorno a Parigi, si sposta sul fronte orientale e redige rapporti per i vertici del Reich sull'avanzata della campagna di Russia. Ferito casualmente a Stalingrado rientra a Berlino, quasi un eroe, e assiste - in maniera fredda, apparentemente assente - al declino della Germania nazista, fino all'inatteso finale che suggella una storia dall'epilogo certamente non scontato.
Maximilian racconta la sua storia in modo lucido, non è pentito di ciò che ha fatto e sa di aver commesso cose orribili. Ripercorre la sua vita in modo inquietante e si sposta nel tempo seguendo il ritmo delle danze barocche - Toccata, Allemanda, Sarabanda, Minuetto, Giga scandiscono i tempi di una danza macabra - vivendo in prima persona l'ascesa e la caduta degli dei della Germania.
Nelle oltre 900 pagine si passa da una gelida e impressionante conta di morti a una comparazione filosofica tra nazismo e comunismo, in un illuminante gioco di scacchi tra lo stesso Maximilian e un commissario politico sovietico arrestato a Stalingrado, con il quale ha uno scontro feroce sulla similitudine delle ideologie comunista e nazista.
La sua parabola continua, fino alla fuga in Pomerania, nei possedimenti della sorella ambiguamente amata. Il cinismo, l'orrore, il dolore, la vergogna sono rappresentati in modo agghiacciante, con una ferocia visionaria e Littell fa muovere il suo personaggio in un'atmosfera di paradossale consuetudine, in una quotidianità malata di deliri e di atrocità - personali e collettive - che sembrano narcotizzare e manipolare le coscienze, in un allucinante viaggio al termine della notte dell'umanità.
Una domanda incalzante sembra - fin dalle prime pagine - ossessionare il lettore, domanda che pone lo stesso Maximilian: «Tu, che sei mio fratello, in quanto umano come me, tu che ora stai in una situazione di calma e di privilegio, se ti fossi trovato al mio posto, cosa avresti fatto?».
È descritto un uomo banale, ma non la banalità del male, poiché siamo in un mondo ben più complesso. La storia è costellata di burocrati che, come ha affermato la Harendt, sono convinti di eseguire solo degli ordini, ma anche di sadici che provano piacere torturando le loro vittime. Maximilian non è un burocrate e non è un invasato: è solo, banalmente, un nazista razionale che gioca la sua parte in una guerra, come un uomo normale e reale.
La domanda che pone al suo lettore si conclude dicendo: «...non cerco di dire che non sono colpevole di questo o quel fatto. Lo sono io, voi non lo siete, va bene così. Ma tuttavia dovreste potervi dire che ciò che io ho fatto l'aveste fatto anche voi. Forse con meno zelo, ma forse anche con meno disperazione».
Non è un romanzo storico, ma un grande affresco epico e tragico che sfiora tutti i temi che la letteratura occidentale ha dedicato all'argomento, ed è facile il richiamo a Hilberg o Friedlander o alla Harendt, perfino allo stesso Bettelheim. In questo fluire quotidiano dell'orrore, Maximilian Aue è trascinato dai suoi fantasmi: eppure l'epilogo della vicenda vede un uomo che si salva nonostante le atrocità commesse.
Grazie alle "Benevole" (le "Bienveillants" del titolo originale), le mitiche Eumenidi cantate da Eschilo nell'Orestea, che si contrappongono alle Erinni, le divinità della vendetta, e lo proteggono dalla furia degli dei, Maximilian si salva dalla punizione degli uomini, ma non trova certo la salvezza.
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