Una manifestazione a favore del Tibet
Una data, 8/8/2008: è certamente molto facile da mandare a mente, scelta, non casualmente, ma in quanto ritenuta di buon auspicio. È la data di inizio delle prossime Olimpiadi estive - le XXIX dell'era moderna - che, come tutti sanno, si svolgeranno a Pechino.
La scelta di Pechino quale sede dei giochi olimpici fu salutata come il suggello della formidabile aspirazione della Cina, che dopo la scalata ai mercati economici, cercava la sua consacrazione mondiale accaparrandosi anche il più fantasmagorico evento mediatico del mondo.
L'atmosfera festosa che il 13 luglio 2001 salutò la vittoria nell'assegnazione a Pechino dei giochi olimpici, trovò un ulteriore elemento di soddisfazione nel dicembre dello stesso anno quando - cinque mesi dopo l'assegnazione dei giochi - la Repubblica Popolare Cinese fu ammessa a far parte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio.
Sette anni fa: eppure guardando quel mondo, com'era allora e com'è ora, sembra passata un'eternità. La Cina si stava affacciando timidamente nel mondo dell'economia globale e per la maggior parte dei media occidentali era ancora una sorta di "inesplorato paese". Non esisteva certamente l'immagine del "pericolo giallo" e la cosiddetta sfida cinese non esisteva. Solo alcuni sparuti commentatori economici e politici - inascoltate Cassandre - ne intravedevano i contorni. Per l'Occidente la Cina era solo un nuovo immenso mercato, il più grande del mondo, che si apriva alle nostre merci.
La realtà dei fatti ha superato ogni immaginazione: ora non si fa che parlare del pericolo che la Cina rappresenta nello scenario economico mondiale. Noi abbiamo un'economia piena di vincoli, leggi, regolamenti, cavilli, regole e curvature delle banane, che ingessano il nostro sviluppo e lo rendono schiavo di migliaia di codicilli, mentre l'anarchia di quella cinese - al limite della criminalità - la fa volare a ritmi di crescita inimmagginabili.
Le Olimpiadi dovevano essere il suggello ideale di questa ascesa nell'empireo delle potenze mondiali, ascesa economica ma accompagnata da innegabili progressi militari e spaziali, nonché da una accresciuta influenza politica (economica?) in aree a essa vicine, come la Birmania, ma anche lontanissime, come il Sudan. Nella realtà dei fatti l'orgia di potenza e di prosopopea che le Olimpiadi rappresentano rischia di strangolarla con i suoi cinque cerchi.
Cinque cerchi come le cinque lettere di un paese che - periodicamente nella storia - torna a far parlare di sè: il Tibet.
Per i più ottimisti, gli episodi avvenuti a Lhasa il 14 e 15 marzo scorsi, non sono che l'inizio di altri avvenimenti in grado di trasformare i giochi olimpici in un incubo per il mondo cinese.
Per i pessimisti, il 14 e 15 marzo scorsi, sono stati non l'inizio, ma la fine di un popolo, timidamente riemerso alla luce del sole ma quasi subito ripiombato nel buio nel quale è stato affondato oltre cinquantanni fa. Pur con qualche imbarazzo iniziale, il pugno di ferro di Hu Jintao che si è abbattuto sui tibetani - feroce e inaccettabile per i nostri canoni, ma "normale" in quelle latitudini - ha soffocato ogni sussulto.
L'Occidente? Parole, minacce, promesse, vado o non vado all'inaugurazione dei Giochi Olimpici (!) e poco altro.
La disperazione dei monaci del Tibet non avrà né video né audio. Ci sono i Giochi Olimpici e i suoi sponsor.
Da parte nostra - nel prossimo numero - proveremo a raccontare la storia, gli intrecci politici, i conflitti di questo paese, simbolicamente così importante per la carica mistica che esso racchiude.
Piccola cosa, come la bandiera del Tibet, che dall'8/8/2008, esporrò dal balcone della mia casa.