L'insurrezione di Torino
A quello scarno ma significativo comunicato del Comando Piazza del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) fanno seguito numerosi rapporti e ordini di servizio, fra cui una nota intitolata "Situazione generale", stilata alle ore 12 dello stesso giorno, in cui, fra l'altro, si conferma che «Tedeschi e Repubblicani hanno, nella notte, abbandonato la città e cessato la resistenza, salvo alcuni nuclei sporadici che agiscono per iniziativa personale».
Da questi documenti ufficiali risulta evidente che le truppe fasciste hanno occupato Torino fino a quel momento, e cioè fino alle prime ore del giorno 28 aprile, impedendone la "liberazione" a opera dei partigiani nel giorno fatidico, il 25 aprile, successivamente assurto a data simbolo di quell'avvenimento.
E quelle truppe fasciste, oltre 20 mila uomini, lasciarono Torino nella notte tra il 27 e il 28 aprile per dirigersi verso la Lombardia, ben intenzionate a raggiungere il cosiddetto "ridotto della Valtellina", in cui si sarebbe dovuto compiere l'ultimo atto di quella ormai impari lotta.
Si fermarono invece presso Ivrea, in località Strambino Romano, e qui, preso atto degli avvenimenti degli ultimi giorni e consapevoli del fatto che non vi fosse più alcuna possibilità di continuare da soli una guerra ormai perduta, respinte sdegnosamente e senza neppure discuterle le ulteriori proposte di resa da parte degli emissari del C.L.N., trattarono e firmarono la resa "con l'onore delle armi", da combattenti regolari a combattenti regolari, con gli Angloamericani nel frattempo sopraggiunti, il 5 maggio 1945.
Forse non l'ultimo, ma certamente il più consistente e uno degli ultimissimi reparti della R.S.I. a cedere le armi alle truppe alleate.
E mentre, come abbiamo visto, di tutto questo ci dà autorevole conferma l'"Istituto Storico della Resistenza", dalla "Storia della Guerra Civile in Italia 1943/45", pubblicato da Giorgio Pisanò nel 1966, apprendiamo ulteriori dettagli su questi avvenimenti:
«I comunisti volevano l'insurrezione a ogni costo e il 24 aprile, alle ore 19, impartirono, tramite il Comitato Militare, l'ordine di insurrezione per il 25 successivo. Quest'ordine prevedeva che i G.A.P. e le brigate già dislocate in città scattassero alla conquista dei centri strategici e delle fabbriche nelle primissime ore del giorno. Contemporaneamente le bande esterne provenienti dal Monferrato, al comando di Pompeo Colajanni, detto "Barbato", avrebbero cercato di penetrare in Torino. Ma i comunisti si erano illusi che al primo allarme le truppe fasciste, prese dal panico, avrebbero gettato le armi e si sarebbero arrese: sembrava logico infatti che, dato il tracollo ormai in atto, gli uomini della R.S.I. cercassero di salvare almeno la vita. I fascisti, invece, non avevano alcuna intenzione di arrendersi.
Le truppe che presidiavano Torino, comprendevano tra l'altro:
- un Battaglione territoriale per i servizi di pubblica sicurezza,
- un Battaglione O.P. (Ordine Pubblico) del Comando Provinciale di Torino e cinque Compagnie fatte confluire nel capoluogo da altre zone,
- il Gruppo Battaglioni Carri "Leonessa", con circa 250 mezzi corazzati e cingolati,
- i Battaglioni "Fulmine" e "Sagittario" della X M.A.S.,
- un Gruppo artiglieria,
- tre Battaglioni paracadutisti: "Nembo", "Folgore" e "Azzurro",
- un Battaglione misto della Caserma Valdocco,
- tutta la Brigata Nera "Ather Capelli".
Tutti questi uomini, nonostante il precipitare della situazione, si mantenevano disciplinati e compatti, confermando la volontà, tante volte manifestata, di volersi battere fino in fondo.
Messi in allarme tempestivamente, istituirono 22 posti di blocco dislocati attorno alla città e si prepararono a sostenere il primo urto. Ma non accadde nulla!
Gli uomini di Barbato non si fecero vedere e le "brigate cittadine", che confidando nell'arrivo delle "bande esterne" e sfruttando la sorpresa erano riuscite a occupare qualche obiettivo non di primaria importanza, furono costrette a ritirarsi dopo poche ore.
Il giorno 27 il Comandante Cabras ricevette l'ordine di ripiegare con tutte le forze disponibili verso la Valtellina e, nella notte tra il 27 e il 28, una interminabile colonna motorizzata, scortata dai mezzi corazzati della "Leonessa", lasciò la città trasportando migliaia di uomini verso la Lombardia».
In realtà, pur essendo stati bloccati gli attacchi provenienti dalle colline, le brigate cittadine registrarono inizialmente alcuni successi, occupando il Municipio, le stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa, la sede de "La Gazzetta del Popolo", gli stabilimenti Nebiolo, Fiat e Ferriere Piemontesi. Ma mentre vennero da subito neutralizzati i tentativi di occupare la Prefettura, la sede dell'Eiar e la Centrale Telefonica, con una decisa reazione furono prontamente rioccupati, nel breve volgere di alcune ore, tutti gli obiettivi sopra citati. In particolare la Fiat, dove si temeva potessero essere messe in atto azioni distruttive, venne rioccupata da un reparto comandato personalmente dal Colonnello Cabras, appoggiato dai carri armati e autoblindo della "Leonessa".
Nel pomeriggio del giorno 27, nella sede della Prefettura, presenti il Generale Adami Rossi (comandante militare regionale), il Prefetto Grazioli, il Colonnello Cabras, il Federale Solaro e altri comandanti di reparto, ebbe luogo una riunione decisiva, nel corso della quale il Colonnello Cabras fece presente che, essendo ormai venuti a mancare i collegamenti con le Autorità Centrali della R.S.I., si rendeva necessario dare esecuzione al "Piano Esigenza Z.2-b-improvviso", che prevedeva il ripiegamento verso la Lombardia. La formazione e il comando della colonna vennero affidati al Colonnello Cabras.