Leggendo l'appassionato, direi travolgente, intervento di Tino Curreli sulla globalizzazione, pubblicato nello scorso
numero 29 di Excalibur, sono rimasto impressionato dall'ottimismo e dalle certezze che lo animano, tanto che mi è parso scritto da Emma Bonino o da Marco Panella.
La tesi che sembra sostenere Curreli si potrebbe riassumere nello
slogan: «
Viviamo nel migliore dei mondi possibili». Eppure, anche nel campo dei più convinti sostenitori della globalizzazione - che certamente non potrebbero essere sospettati di
cripto-marxismo o di
vetero-fascismo - esistono autorevoli esponenti che avvertono qualche preoccupazione sul presente e sul futuro della globalizzazione medesima. Uno fra questi è senz'altro Antonio D'Amato, presidente di Confindustria, il quale recentemente ha scritto che «
la globalizzazione è un processo storico irreversibile, di segno sicuramente positivo, che tuttavia comporta, insieme a grandi vantaggi e opportunità, anche una serie di rischi e di sfide cui bisogna saper far fronte con risposte efficaci a livello transnazionale». Prosegue D'Amato: «
Le economie dei paesi più sviluppati vedono [...] moltiplicarsi i mercati di sbocco dei loro prodotti. Vedono crescere occupazione e reddito grazie all'aumento complessivo della domanda. Inoltre la concorrenza mondiale determina una riduzione dei prezzi di numerosi prodotti, migliorando il tenore di vita delle popolazioni. Se è vero che questi sono i vantaggi della globalizzazione, è altrettanto vero che essa di per sé non è in grado di colmare le enormi diseguaglianze che continuano a far la differenza tra paesi ricchi e paesi poveri. Né riesce a distribuire in maniera equa la ricchezza all'interno dei paesi industrializzati che - esposti alla concorrenza di aree a più basso costo di lavoro - possono vedere compromessa la competitività di interi settori produttivi con conseguenti rischi per l'occupazione e il benessere dei lavoratori. L'ingresso dei paesi in via di sviluppo nel circuito produttivo pone inoltre problemi di utilizzo delle risorse umane e di salvaguardia del patrimonio ambientale. Destano, in particolare, preoccupazione lo sfruttamento del lavoro minorile e la scarsa attenzione alle tematiche ambientali».
Questa citazione - assai lunga e me ne scuso - credo sia significativa del fatto che la globalizzazione possa e debba essere vista, anche da chi rappresenta coloro che da essa traggono i più immediati e sostanziosi vantaggi, in un'ottica più problematica di quanto non faccia Curreli. Il quale, nella foga di menare fendenti a destra e a manca, sviluppa un suo ragionamento contro i dogmatici di tutte le risme per concluderlo, paradossalmente, in maniera totalmente acritica (dogmatica, per l'appunto) cantando le lodi del progresso e della libera iniziativa, dei quali la globalizzazione è figlia.
Giova ricordare che gli stessi
leader del centrodestra, Berlusconi e Fini, hanno più volte ribadito la necessità di un governo della globalizzazione che si impegni a superare o limitare gli attuali e intollerabili squilibri esistenti sia tra Nord e Sud del mondo, sia all'interno delle stesse nazioni occidentali.
Porsi tali questioni significa essere conservatori? Forse, ma essere conservatori può voler dire tante cose, anche le più sbagliate; tuttavia, difficilmente ci si può vergognare di una simile etichetta quando questa significa aderire a una visione del mondo che della socialità coniugata al libero mercato fa la sua bandiera.