Usi, abusi e soprusi: il mobbing
"Mobbing" d'altri tempi
di Giorgio Usai
L'attesa del volo per Cagliari nell'aeroporto di Linate viene ingannata dalla lettura del supplemento "Lavoro" del "Corrierone" di Milano. Nel numero del 5 novembre scorso si tratta del "mobbing", una parola del nuovo gergo inglese che - da buoni provinciali d'Europa - dobbiamo imparare per non restare "off".
Che cos'è questo mobbing? È la violenza morale e psicologica che un superiore di grado può esercitare sui suoi dipendenti, ci spiega l'articolista. Ma non è cosa d'oggi, evidentemente, né va confusa con la ruffianeria e l'adulazione che molti usano verso i superiori per fare carriera e acquisire meriti. Secondo noi questo mobbing è, molto spesso, un atteggiamento mentale di chi, frustrato nella sua vita privata, può rivalersi in qualche modo verso i suoi compagni di lavoro, angariandoli e perseguitandoli per ogni inezia.
Quello però che voglio dire - soprattutto ai più giovani che non hanno vissuto quegli anni - è che negli anni '70 in Italia era diffuso un clima di persecuzione e terrore psicologico che non ha avuto certamente similitudini in altre nazioni d'Europa più civili della nostra. Questo clima era creato nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro pubblici e privati dalla "consorteria sindacale" composta da Cgil, Cisl e Uil. Per mia esperienza personale diretta, posso citare dei casi gravissimi, mai sanzionati dalla legge, che pure ne era a conoscenza. A parte il "picchettaggio", che ordinariamente veniva effettuato sotto gli occhi delle cosiddette "autorità" e tutori dell'ordine (?) - ricordiamo tutti gli scioperi alla Fiat di Torino con i picchetti di attivisti del P.C.I.-Cgil che pestavano i "crumiri" sotto gli occhi di polizia e carabinieri - anche in sede locale avvenivano fatti degni della legge della giungla.
Una ausiliaria dell'Università, M. M., che aveva osato rimettere il mandato sindacale alla Cgil, nel 1973, venne dapprima "avvertita" che la sua futura pratica pensionistica sarebbe stata "più lenta" perché priva della protezione del sindacato. Vista inutile questa azione, gli attivisti del sindacato passarono ad altre pressioni: l'ausiliaria venne trasferita in sede più disagevole, e ogni sorta di molestia venne usata contro di lei da funzionari evidentemente "attivati" dal sindacato. L'automobile della ausiliaria (una bidella) venne più volte danneggiata da ignoti, fino a quando la povera donna riprese la tessera della Cgil...
Un tecnico di laboratorio, M. L., nel 1974, decise di lasciare il sindacato Uil per iscriversi alla Cisnal. Benché il nostro amico avesse inviato regolarmente la sua disdetta all'ufficio centrale dell'Università, dalla sua busta paga continuarono a prelevare la quota sindacale per la Uil per dieci anni, nonostante le proteste dell'interessato. Quando il tecnico presentò la domanda per ottenere il passaggio di livello mansionario, la sua pratica venne smarrita più volte, costringendo questa persona a ripresentare i suoi documenti.
Si verificavano, inoltre, altri tipi di atteggiamento, forse involontari, forse dettati da viltà, che tuttavia andavano a favore del terrorismo morale imposto dalle sinistre nell'Università.
Ricordo il direttore dell'istituto dove prestavo servizio nel 1975, tale P. F. V., un cialtrone democristiano di prima grandezza. Costui tollerava, terrorizzato, ogni sorta di iniziativa e prepotenza delle sinistre, compresa l'affissione di volantini e manifesti politici nelle bacheche dell'istituto. Un giorno affissi anch'io un manifesto della Cisnal in bacheca, convinto di avere uguali diritti dei "compagni" della "triplice". Il direttore, livido di paura, mi chiese di levare il manifesto e, dopo il mio rifiuto, mi inviò una lettera citandomi tutte le leggi e regolamenti che... vietavano l'affissione di comunicati sindacali in quell'albo! Non avendo ottenuto niente anche con la lettera, il pover'uomo riuscì a far rimuovere la bacheca perché "danneggiata da ignoti"!
E fuori dell'Università? Per concludere vi citerò il caso di un caro amico, E. R., operaio dell'industria SANAC a Macchiareddu e iscritto alla Cisl. Nel 1978 E. R. decise di abbandonare il sindacato perché «erano solo soldi rubati e null'altro». Non lo avesse mai fatto! Oltre ai "consueti" danni alla sua automobile, E. R. era particolarmente esposto a frequenti rischi nel lavoro, come strane cadute di mattoni di grès dai carrelli, oppure come improvvisi guasti nei macchinari che obbligavano E. R. a esporsi gravemente, oppure come frequenti rimbrotti da un dirigente evidentemente "legato" al sindacato-mafia.
Non voglio più continuare: sono passati vent'anni ma ancora mi sembra di rivivere quei giorni, con tanta amarezza e tanta rabbia, "non dimentico, non dimenticate".